Sequestro finalizzato alla confisca di una somma di denaro considerata profitto del reato: gli aggiustamenti giurisprudenziali dopo la decisione Massini delle Sezioni unite penali (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 17718/2025, udienza del 30 aprile 2025, ha illustrato, in tema di sequestro e confisca di somme profitto di reato, il nuovo paradigma interpretativo prospettato dalla recente decisione Massini delle Sezioni unite penali.

Provvedimento impugnato

L’ordinanza impugnata è stata deliberata il 4 febbraio 2025 dal Tribunale del riesame di Firenze, che ha respinto l’appello presentato nell’interesse di LR – in proprio e quale legale rappresentante dell’associazione professionale denominata “Studio legale R.” – quale terzo interessato ad ottenere la restituzione della somma di xxx euro o di parte di essa, somma sequestrata nell’ambito del procedimento per bancarotta fraudolenta pendente in capo a VR e sequestrata sul conto corrente intestato allo studio legale R. e M.

Secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, LR partecipa all’associazione al 55 % e VR al 45 %.

Ricorso per cassazione

Avverso detta ordinanza ricorre LR, a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale, che ha affidato le proprie censure a tre motivi.

Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al vaglio circa la sequestrabilità della somma, benché depositata su conto corrente bancario intestato non già a VR, ma all’associazione professionale cui lo stesso partecipa.

L’associazione professionale, prosegue il ricorrente, viene ricondotta, alternativamente, alla figura della società semplice ovvero a quella dell’associazione non riconosciuta, ma, in entrambi i casi, il patrimonio sociale o il fondo comune sono insensibili alle vicende particolari dell’associato, così da garantire, in primo luogo, i creditori dell’aggregato.

Secondo lo statuto dello studio R. e come riconosciuto in giurisprudenza, l’associazione professionale è anche legittimata a concludere contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli associati e da questi ultimi curati.

Ne consegue – prosegue il ricorrente – che il richiamo, che si legge nell’ordinanza impugnata, al principio della contitolarità con persona estranea al reato non si attaglia al caso di specie, che vede, invece, la somma sequestrata appartenere non già a più persone ma solo all’associazione.

Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al passaggio argomentativo del provvedimento impugnato in cui si paventa che VR avesse una disponibilità di fatto delle somme dell’associazione, disponibilità non accertata; l’indagato, si precisa nel ricorso, non era neanche titolare di una delega ad operare sul conto.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione perché sarebbe stato violato il canone della proporzionalità, dal momento che l’importo era stato erroneamente determinato comprendendovi l’IVA (come segnalato anche dalla Guardia di Finanza), perché alcuni importi erano stati duplicati e perché erano state vincolate anche somme di spettanza dell’altro associato LR.

La difesa di LR ha depositato una nota denominata motivi aggiunti, nota che accompagna due annotazioni della Guardia di Finanza e una lettera di Banca intesa; successivamente è stata depositata una memoria difensiva.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.

Nell’ambito di un procedimento per plurimi fatti di bancarotta patrimoniale a carico di diversi soggetti, tra cui VR (ma non LR), è stata sottoposta a sequestro la somma di euro xxx, che si trovava su un conto corrente bancario acceso presso xxx ed intestato allo studio legale R. e M.; l’associazione professionale cui appartiene il conto vede come partecipi, in percentuali diverse, sia VR che LR. Per quanto è possibile evincere da quegli atti che, soprattutto sulla base di ripetute iniziative dell’ufficio esame preliminare dei ricorsi e del collegio, anteriori alla celebrazione dell’udienza, sono stati trasmessi alla Corte dal giudice a quo, sembrerebbe potersi affermare che il sequestro in discussione riguarda il profitto del reato conseguito da VR grazie alla sua partecipazione ad una serie di reati fallimentari, sequestro prodromico all’esecuzione della confisca di detto profitto.

Il terzo estraneo LR aveva presentato istanza di restituzione delle somme siccome appartenenti all’associazione professionale, estranea ai reati, ma il GIP, il 29 gennaio 2024, aveva respinto la richiesta difensiva; di qui la proposizione di appello cautelare e, a seguito della sua reiezione da parte del Tribunale del riesame, il ricorso oggi al vaglio della Corte.

Trattandosi di sequestro di somma di denaro reputata profitto del reato, sequestro prodromico alla confisca del medesimo, la soluzione del ricorso passa attraverso una puntualizzazione dei temi dedotti, che deve giovarsi delle motivazioni, pubblicate in data 8 aprile 2025, della sentenza n. 13783 del 26 settembre 2024 delle Sezioni unite penali (ricorrenti Massini e altro), che, per quanto di specifico interesse in questa sede, ha sensibilmente ridefinito la natura della confisca del profitto del reato e del sequestro di somme di denaro ad essa prodromico.

La decisione delle Sezioni unite ha una portata più ampia e parzialmente non sovrapponibile rispetto alla quaestio iuris oggi al vaglio del collegio (si pensi, tra gli altri enunciati ermeneutici, alla “dinamica mobile” attraverso cui individuare la natura della confisca per equivalente); pur tuttavia essa contiene comunque delle puntualizzazioni definitorie di grande impatto nell’odierna decisione, che impongono una rimeditazione complessiva delle doglianze già poste al vaglio del Tribunale dell’appello cautelare, con la precisazione che ogni riflessione che concerne la confisca si estende, per espressa previsione della pronunzia delle Sezioni unite, anche al relativo sequestro.

Un primo enunciato della sentenza Massini rilevante per la soluzione dell’odierna regiudicanda riguarda l’aspetto definitorio della nozione di “profitto del reato” e indica come requisito imprescindibile di quest’ultimo la derivazione del bene dall’illecito, cioè il nesso di pertinenzialità del profitto rispetto al reato cui la confisca accede. Derivazione da reato che può essere anche indiretta, nel senso che di profitto può parlarsi anche quando sia specificamente dimostrato che un bene costituisca il frutto del reimpiego immediato di una somma di denaro proveniente da reato.  Altro requisito per la confiscabilità del profitto è che esso sia effettivamente entrato nel patrimonio del destinatario della misura.

Quando, poi, le Sezioni unite hanno trattato specificamente della confisca di somme di denaro, dopo aver ricordato l’esegesi di Sezioni unite Focarelli, Miragliotta e Gubert, si sono innanzitutto soffermate su Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437, secondo cui «qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato».

L’unico requisito per accedere alla misura ablativa secondo Sezioni unite Lucci «è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo».

A lume dell’esegesi fatta propria da tale decisione, quindi, la confisca di somme di denaro profitto del reato era sempre, per definizione, confisca diretta e non confisca per equivalente, a prescindere dalla dimostrazione del nesso di derivazione di quella somma dal reato.

Questa esegesi, si legge nella sentenza Massini, aveva portato a criticità interpretative in situazioni che le Sezioni unite hanno ricondotto a quattro categorie:

– la prima riguarda la configurabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro che non sia ancora presente nel patrimonio del reo, in quanto destinato a confluirvi in epoca successiva anche rispetto alla data di adozione della misura cautelare;

– la seconda riguarda tutte quelle fattispecie in cui oggetto della confisca diretta sia denaro di provata provenienza lecita (tanto antecedente che successiva rispetto alla commissione del reato) ovvero quelli in cui, al contrario, vi sia la prova che il prezzo del reato o il profitto sia stato, in un dato momento precedente al sequestro o all’ablazione, consumato, occultato, disperso; – la terza classe di fattispecie riguarda i casi di denaro depositato su conto corrente cointestato con soggetti diversi dall’autore del reato, che siano in grado di dimostrare la provenienza lecita del bene; 

– la quarta classe di fatti riguarda le ipotesi in cui il denaro sia già nella disponibilità del reo prima ancora della commissione del reato.

Tali criticità, hanno scritto le Sezioni unite nella recente pronunzia, non erano state superate da Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037, che, ampliando l’esegesi di Sezioni unite Lucci, avevano valorizzato la natura fungibile del denaro, sì da rendere recessiva la sua consistenza fisica, valorizzando l’idoneità di tale sua caratteristica a determinare la confusione automatica nel patrimonio del reo e il suo accrescimento in misura corrispondente, in guisa da rendere indifferenti l’eventuale preesistenza o la sopravvenienza di altre somme di provenienza lecita. In particolare, la sentenza Massini si pone in termini critici rispetto all’affermazione, contenuta nella decisione del 2021, secondo cui la natura fungibile del denaro e la confusione che si determina con altri attivi monetari consentirebbero di prescindere dalla dovuta pertinenzialità, perché, così facendo, si individuerebbe un tertium genus di confisca rispetto a quella di proprietà e di valore, sconosciuto al nostro ordinamento.

La conseguenza che l’autorevole precedente ne trae è che «la confisca del denaro è per equivalente tutte le volte in cui si smarrisce la rintracciabilità fisica del bene: la circostanza che un bene non possa essere rintracciato perché di per sé non marcabile, porta alla conclusione per cui, per effetto della contaminazione del denaro nel patrimonio del reo, il bene perde la sua individualità e l’ablazione ha ad oggetto il suo valore corrispondente: una confisca che attiene al tantundem».

Corollari di queste riflessioni, indicate in via esemplificativa, sono che: «la confisca del denaro è diretta nei casi in cui: –  risulti che la somma confiscata sia proprio “quella” derivata dal reato; – si è in presenza di “metamorfosi” del profitto o del prezzo del reato, cioè si sia in presenza di una utilità economica mediata ed indiretta acquisita successivamente al reato (surrogato, reimpiego), ma, in ogni caso, collegata eziologicamente all’illecito e, soprattutto, all’uso del profitto o del prezzo derivante dal reato: occorre la prova che la somma di denaro o il bene utilizzato per il reimpiego siano derivanti dal reato (Sez. U, Focarelli, cit.; Sez. U, Miragliotta, cit.); – sussista la prova, sulla base delle concrete circostanze di tempo e di luogo, che proprio il denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato – versato sul conto- sia poi stato prelevato e utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di un ulteriore bene (es. transito immediato della somma, che è versata e prelevata in circostanze di tempo e di fatto dimostrative del fatto che si tratti della stessa somma). La confisca del denaro non è invece diretta se ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato ovvero, comunque, a questo certamente non riconducibili; in particolare, la confisca di somme giacenti sul conto corrente non è diretta in tutti i casi in cui, attraverso il “tracciamento” degli incrementi patrimoniali in denaro, non sia provato che si tratti di denaro derivante da reato».

Questa breve rassegna, che dà conto della ricca elaborazione concettuale che si deve alla sentenza Massini solo nella parte che rileva per l’odierna res iudicanda, è funzionale a chiarire le ragioni per cui, alla luce dell’importante novità giurisprudenziale che si innesta sui temi oggetto del ricorso, occorre che il Tribunale di Firenze riesamini l’appello proposto da LR, fornendo adeguata giustificazione alle ragioni del sequestro della somma rinvenuta sul conto corrente dell’associazione professionale, nei termini sopra precisati; ossia spiegando se esista il nesso di derivazione del denaro appreso rispetto ai reati per cui si procede a carico di VR, nesso oggi preteso dalla giurisprudenza di legittimità nella sua più autorevole fonte.

Qualora questo vaglio si concludesse con esito negativo, il sequestro in essere non potrebbe che essere ritenuto per equivalente, il che imporrebbe di prendere atto che non esiste una base legale per la confisca di valore rispetto al reato di bancarotta fraudolenta.

Qualora, al contrario, si rinvenisse il nesso di pertinenzialità del denaro sequestrato rispetto alle bancarotte ascritte a VR, qualora, cioè, si accertasse la diretta derivazione della somma sequestrata sul conto dell’associazione dai reati quale profitto, allora l’ulteriore questione posta nel ricorso, quella dell’autonomia patrimoniale dell’associazione professionale, perderebbe ogni rilevanza.

Sarebbe, infatti, consentito comunque assicurare quella somma alle ragioni del procedimento penale, al di là della formale appartenenza del denaro all’aggregato ed a prescindere dalla natura di quest’ultimo e delle eventuali ragioni dell’altro associato, in quanto “quel” denaro si identificherebbe non già nel tandundem, ma esattamente nella somma provento dell’attività delittuosa posta in essere dall’indagato, che, in quanto tale, dovrebbe essere vincolata a prescindere dalla sua collocazione su un conto non intestato o non intestato esclusivamente a VR.

Le ragioni dell’annullamento impongono di ritenere assorbita ogni questione relativa al quantum del sequestro, che il collegio dell’incidente cautelare dovrà riesaminare se riterrà che la somma in vinculis sia profitto dei reati nei sensi sopra precisati.

Alla luce di queste considerazioni, il provvedimento impugnato deve essere annullato e la questione deve essere rimessa al vaglio del Tribunale di Firenze, che dovrà giudicare nuovamente sull’appello proposto da LR, tenendo conto dei principi di diritto elaborati dalle Sezioni unite successivamente alla pronunzia dell’ordinanza.