La nozione di medesimo procedimento ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti: gli aggiornamenti espansivi della decisione Cavallo delle Sezioni unite penali (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 18413/2025, udienza del 14 aprile 2025, ha affermato che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempre che dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. 

Ricorso per cassazione

Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 270, 380 e 266 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale degli imputati. Si deduce che i risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti posti a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati nel presente processo sono in realtà inutilizzabili, in applicazione dei principi espressi da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 – 01, perché: a) le operazioni di captazione sono state disposte ed eseguite nell’ambito di un altro processo, definito con provvedimento di archiviazione; b) tra i reati oggetto del procedimento archiviato e quelli oggetto del presente processo non sussiste alcuna connessione sostanziale ex art. 12 cod. proc. pen.; c) i reati oggetto del presente processo, inoltre, non rientrano tra quelli per i quali l’art. 270 cod. proc. pen. consente l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti. 

Si rappresenta, innanzitutto, che le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni poste a fondamento delle affermazioni di responsabilità sono state disposte nell’ambito di un procedimento a carico di AP per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, nella specie il “clan S.”, al fine di «ricostruire compiutamente la rete di rapporti e di interessi imprenditoriali» di detto gruppo criminale, ed hanno riguardato le utenze e i veicoli del medesimo AP e di ST.

Si segnala, poi, che il procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. a carico di AP è stato archiviato per infondatezza della notizia di reato anche perché «non sono stati acquisiti elementi denotanti un’attività di illecita raccolta di scommesse su eventi sportivi on line sul territorio italiano, constando al più attività all’estero».

Si evidenzia, quindi, che il P.M.: a) aveva disposto, già prima di richiedere l’archiviazione del procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., l’iscrizione di un nuovo procedimento penale a carico degli attuali ricorrenti per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere, di esercizio abusivo di giochi e scommesse, e di trasferimento fraudolento di valori; b) aveva fatto confluire nel nuovo procedimento i risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen.; c) non aveva chiesto di effettuare ulteriori intercettazioni.

Si rimarca, ancora, che la difesa aveva formulato eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni indicate sia davanti al G.u.p., sia con memoria alla Corte d’appello, evidenziando in particolare l’assenza di connessione qualificata tra il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., e i reati oggetto del presente processo, nonché l’estraneità di questi ultimi al catalogo dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, all’epoca delle captazioni indispensabile presupposto di utilizzabilità ex art. 270 cod. proc. pen.    

Si osserva, a questo punto, che la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità incorrendo in travisamento della prova per “invenzione”.

Si rileva, precisamente, che, secondo la Corte d’appello, il procedimento a carico di AP per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. non si è concluso con un’archiviazione, bensì con una «“reiscrizione formale” a seguito di stralcio delle posizioni degli odierni appellanti che hanno definito la loro posizione mediante rito abbreviato».

Si deduce che questa premessa fattuale è errata, perché, come risulta dagli atti allegati al ricorso, il procedimento per i reati oggetto della sentenza impugnata è stato oggetto di una nuova iscrizione, e non costituisce l’esito di una separazione dal procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen. Si conclude che, data l’alterità dei due procedimenti, la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare perché tra il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. e i reati da essa esaminati sussistesse un rapporto di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. 

Si deduce, ancora, che la questione non può essere risolta ritenendo che nella specie si versi: a) in una ipotesi di diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto, perché le iscrizioni sono state distinte, ed effettuate in tempi diversi nonché a carico di persone diverse; ovvero b) in una ipotesi di concorso formale o di continuazione o di commissione del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso per eseguire o per occultare gli altri reati, a parte tutto perché per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. è stata disposta l’archiviazione. 

Si aggiunge, infine, che, esclusa la configurabilità delle ipotesi precedentemente indicate, non sono ravvisarsi altri criteri per ritenere utilizzabili i risultati delle intercettazioni in questione, attese le precise indicazioni ermeneutiche delle Sezioni unite (il riferimento è a Sez. U, Cavallo, cit.), e l’estraneità dei reati per cui si procede al catalogo dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, condizione indispensabile per utilizzare gli esiti delle captazioni in altri procedimenti.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 270, 380 e 266 cod. proc. pen. e 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante intercettazioni telefoniche e tra presenti, con specifico riguardo al reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse.

Si deduce che i risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti sono comunque inutilizzabili con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, perché, anche a voler ritenere sussistente la connessione tra questo delitto e quello per il quale le captazioni sono state autorizzate, occorre comunque, come precisato da Sez. U, Cavallo, cit., che il reato connesso rientri nell’elenco di quelli indicati dall’art. 266, comma 1, cod. proc. pen., e tale condizione non ricorre per il reato di 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989, in considerazione dei limiti edittali per esso previsti all’epoca dei fatti. Si evidenzia che il principio enunciato dalle Sezioni unite: a) è stato espressamente disapplicato dalla sentenza impugnata, la quale lo ha ritenuto mero obiter dictum; b) è stato ribadito ed indicato in modo chiaro ed esplicito come vincolante dalle successive decisioni di legittimità (si cita Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, evidenziandosi come la stessa, a sua volta, richiami numerose altre decisioni di identico contenuto). Si rappresenta, poi, che la precisata regola di “sbarramento”, secondo cui l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni con riguardo al reato connesso a quello per cui la captazione è stata disposta presuppone comunque l’inscrizione del primo nel catalogo delle fattispecie di cui all’art. 266 cod. proc. pen., serve proprio ad evitare un uso abusivo dell’attività di indagine oltre i limiti consentiti dalla legge.

Si aggiunge che, nella specie, non sussiste nemmeno il rapporto di connessione tra il reato per i quale è stata disposta l’intercettazione, quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., e il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, in quanto il primo era contestato al solo AP. Si osserva, ancora, che il fatto storico qualificato a norma degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. è diverso da quelli contestati nel presente processo.

Si rileva, infine, che la sentenza impugnata, per ritenere dimostrato il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, ha fatto concreto riferimento ai soli risultati delle intercettazioni, perché i risultati delle attività di pedinamento ed osservazione effettuate dalla polizia giudiziaria sono genericamente evocati mediante rinvio alla sentenza di primo grado, senza alcuna specificazione. Si rimarca che, in questo modo, la sentenza impugnata ha violato il dovere di confrontarsi effettivamente con i motivi di appello (si cita, per l’affermazione di questo principio, Sez. 5, n. 19207 del 03/04/2024).

Decisione della Suprema Corte

Infondate sono le censure enunciate nel primo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate, deducendo che le stesse sono state effettuate in altro procedimento, per un diverso reato, quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., nemmeno connesso ex art. 12 cod. proc. pen. con quelli per cui si procede in questa sede, e che non sussistono inoltre i presupposti richiesti dall’art. 270 cod. proc. pen. per consentirne il valido impiego processuale ai fini dell’accertamento dei reati oggetto del presente processo. 

Ai fini dell’esame delle censure poste nel motivo appena sintetizzato, occorre premettere che le intercettazioni di cui si discute possono essere utilizzate ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede solo se è corretto affermare che le stesse sono state disposte nel “medesimo procedimento”. 2.1.1. Secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite, e precisamente da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 – 01, non contestato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, né dalle parti del presente processo, e in relazione al quale non emergono ragioni per chiedere un ripensamento ex art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge» (questa l’affermazione contenuta nel § 12 della sentenza delle Sezioni Unite). 

Ciò posto, deve anzitutto escludersi la configurabilità di una ipotesi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra i reati per cui si procede in questa sede e quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., indicato a base dei provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni.

Il rapporto di connessione tra reati, infatti, consiste in un legame tra i medesimi e, quindi, per la sua natura “relazionale”, presuppone indefettibilmente la sussistenza di ciascuno di essi.

Di conseguenza, non può ipotizzarsi, nemmeno in astratto, un rapporto di connessione con un reato la cui sussistenza è stata esclusa e in relazione al quale non è pendente alcun procedimento penale. 

Ora, nella specie, per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., richiamato a fondamento delle attività di captazione, così come precisato anche nella sentenza impugnata, è stata disposta l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato. 

Ne discende che, nella vicenda in esame, l’avvenuta archiviazione delle indagini per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., preclude in radice la configurabilità di un rapporto di connessione tra di esso e qualunque altra fattispecie di reato.  

Deve inoltre escludersi che, nella specie, sussistano i presupposti per l’operatività della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., la quale prevede le condizioni che rendono ammissibile l’utilizzazione delle intercettazioni in un procedimento diverso da quello nel quale sono state effettuate. 

Invero, per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., è condizione indispensabile che i reati oggetto del diverso procedimento siano delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. E, però, i reati per cui si procede – precisamente quelli di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis cod. pen.) – sono tutti delitti per i quali “non” è obbligatorio l’arresto in flagranza. Tuttavia, il principio enunciato dalle Sezioni unite nella sentenza “Cavallo” non preclude l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente indicati a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione.   

Invero, Sez. U, Cavallo, cit., afferma espressamente che, nell’ambito della disciplina delle intercettazioni, la nozione di “altro procedimento”, dalla quale dipende l’operatività del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen, non corrisponde a quella di “reato” (cfr., in motivazione, § 10).  E, a spiegazione di questo assunto, osserva, per un verso, che la nozione di “procedimento” non ha connotati univoci nel lessico generale del codice di procedura penale, e, sotto altro profilo, che il legislatore, anche quando si occupa specificamente della disciplina delle intercettazioni, mostra chiaramente di distingue tra “procedimento” e “reato”, come si desume dalle vicende relative alla disposizione di cui all’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., in tema di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante captatore informatico.  Sez. U, Cavallo, cit., anzi, a precisazione di questa premessa, rappresenta pure che la nozione di “procedimento” non può essere correlata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (cfr. ancora § 10).  

Evidenzia, infatti, e specificamente, che, a voler ancorare la nozione di “procedimento” all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., «dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” [anche] quello iscritto nei confronti di una persona nota per un certo reato a seguito delle intercettazioni disposte in un procedimento contro ignoti per quel medesimo fatto-reato», per poi sottolineare: «esito, questo, all’evidenza disallineato rispetto alla disciplina codicistica (che, per le intercettazioni “ordinarie”, richiede, ex art. 267, comma 1, cod. proc. pen., solo la sussistenza di “gravi indizi di reato”)», oltre che contrario all’univoco indirizzo ermeneutico in forza del quale «se un’intercettazione telefonica è validamente autorizzata, essa può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato», (esito) «all’evidenza irrazionale».

Aggiunge che, seguendo questa impostazione legata al dato formale dell’iscrizione, «dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” anche quello nuovamente iscritto a seguito di riapertura delle indagini ex art. 414, comma 2, cod. proc. pen., laddove, come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di rimarcare, in tale ipotesi non si instaura un procedimento diverso e possono legittimamente essere utilizzati i risultati delle indagini già svolte, compresi gli esiti delle intercettazioni»; e, a tal proposito, cita espressamente Sez. 6, n. 1626 del 16/10/1995, dep. 1996, Rv. 203741 – 01. 

Sez. U, Cavallo, cit., inoltre, ritiene utilizzabili i risultati delle intercettazioni anche con riguardo ai reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. proprio perché gli stessi sono da considerare inclusi nel “medesimo procedimento” avente ad oggetto le fattispecie poste a base dei provvedimenti di captazione: precisamente, in queste ipotesi, ricorre un “medesimo procedimento” in ragione del «“legame sostanziale” tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione». 

In particolare, la sentenza Cavallo evidenzia: «La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’”autorizzazione in bianco”», vietata dall’art. 15 Cost. (cfr., in motivazione, § 11.1).  

Le indicazioni offerte da Sez. U, Cavallo, cit., hanno trovano significativa rispondenza e ulteriore svolgimento nella successiva elaborazione giurisprudenziale, la quale ha ribadito da più prospettive come la nozione di “medesimo procedimento” è ancorata specificamente a profili sostanziali e non ad evenienze meramente processuali.  In particolare, una pronuncia ha precisato che, sulla base della disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, Rv. 282027 – 01). 

Secondo altra decisione, poi, i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, riguardanti distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 266 cod. proc. pen., sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, atteso che, in tal caso, non trova applicazione l’art. 270 cod. proc. pen. che postula l’esistenza di procedimenti ab origine tra loro distinti (Sez. 2, n. 4341 del 15/01/2025, Rv. 287542 – 01).

Diverse pronunce, ancora, hanno affermato l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche in caso di diversa e meno grave qualificazione del reato per il quale le stesse sono state disposte, se questa nuova definizione giuridica del fatto consegua agli esiti delle captazioni o comunque alla fisiologica evoluzione delle investigazioni (cfr. Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, Rv. 284074 – 01, e Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Rv. 281501 – 01).

In considerazione di quanto esposto nei §§ 2.1.2 e 2.1.3, appare ragionevole concludere che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempre che dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. 

Invero, si è già detto che, in materia di intercettazioni, secondo la giurisprudenza anche delle Sezioni unite, la nozione di “procedimento” è più ampia di quella di “reato”, e si estende anche a fatti per i quali vi è solo parziale coincidenza, quali i reati connessi. In considerazione di questo assunto, di conseguenza, va anche esclusa l’individuazione della nozione di “procedimento” sulla base di quella di identità del fatto evocata nella memoria presentata nell’interesse dei ricorrenti, quale «corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, esso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona»; del resto, la nozione appena richiamata è relativa al ben diverso istituto del divieto di bis in idem

Ciò posto, deve rilevarsi che la riferibilità del “medesimo procedimento” a tutte le fattispecie contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento dei provvedimenti legittimanti le intercettazioni, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, non sacrifica l’esigenza garantita dall’art. 15 Cost. di evitare che l’autorizzazione del giudice ad effettuare le captazioni assuma la fisionomia di una “autorizzazione in bianco”.

La corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni, o parte di esso, e il “nucleo centrale” del fatto storico enunciato della nuova imputazione, in effetti, consente di concludere che pure quest’ultimo rientra tra i «fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede», ossia tra i “fatti” che debbono essere necessariamente predeterminati nel provvedimento del giudice (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).     

Del resto, è proprio in ragione della medesimezza del fatto storico posto a fondamento delle intercettazioni, o di parte di esso, e del “nucleo centrale” del fatto storico posto a base dell’imputazione non enunciata nel provvedimento autorizzativo, che è possibile ritenere, come concludono le decisioni citate, l’utilizzabilità dei risultati delle attività di captazione anche in caso di diversa e meno grave qualificazione della condotta delittuosa per la quale le stesse sono state disposte.  

Prive di specificità sono le censure esposte nel secondo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate con riguardo al reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, deducendo che per questo reato, in ragione dei limiti edittali all’epoca vigenti, le intercettazioni non erano ammissibili, e, quindi, non possono essere impiegate, come precisato da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo.

Deve premettersi, per chiarezza, che, ad avviso del collegio, la sentenza “Cavallo” ha fissato, con estrema decisione, e puntuale motivazione, il principio dell’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per l’accertamento dei reati che, quand’anche connessi, non rientrano nel catalogo di quelli previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. 

Invero, che la sentenza “Cavallo” abbia inteso enunciare il principio appena indicato si evince, in particolare, da quanto espressamente affermato dalla medesima pronuncia diffusamente, ma, in particolare, nel § 8. 

E il collegio non ravvisa ragioni idonee ad investire nuovamente le Sezioni unite in materia, come sarebbe altrimenti doveroso ex art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. 

Tuttavia, nella specie, viene in rilievo il diverso principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, laddove risulti l’inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, è consentito ricorrere alla cd. “prova di resistenza”, valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata (così, per tutte, Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, Rv. 285533 – 01, nonché Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258007 – 01).