Riscontri delle chiamate in reità o correità: nozione di “altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 1300/2025, udienza del 25 settembre 2024, ha ribadito che l’espressione “elementi di prova” per descrivere gli elementi di convalida, fa riferimento a elementi dotati di un’autonoma consistenza e di una, sia pur limitata, capacità rappresentativa. Vi deve essere, peraltro, una correlazione di pertinenza tra i riscontri e l’imputazione contestata. Il riscontro non può limitarsi, dunque, ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante, ma deve proiettarsi verso i fatti delittuosi attribuiti.

In tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Rv. 277134 – 01; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, Rv 74149).

I criteri giurisprudenziali codificati nei commi 3 e 4 dell’art. 192 cod. proc. pen., richiedono che  le dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti ivi indicati siano sottoposte, con riguardo ad ogni singola chiamata in reità o correità e a ogni singolo episodio, a un duplice controllo volto ad accertare tanto l’attendibilità intrinseca del dichiarante, quanto l’affidabilità ab extrinseco delle accuse formulate, mediante l’individuazione e la valutazione di elementi processuali esterni di verifica, tra i quali possono annoverarsi anche le dichiarazioni accusatorie che provengano da altri soggetti, della stessa qualità del dichiarante da confermare, sempre che sia possibile escludere ipotesi di collusione o di reciproco condizionamento (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Rv. 277134 – 01).

Si osserva inoltre, sempre in tema di chiamata in correità, che gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che essi siano precisi, nella loro oggettiva consistenza, nonché idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria.

Detti riscontri, quindi, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo, cioè, riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova autosufficiente perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 – 01; conf. n. 45733 del 2018, Rv. 274151).

Nell’interpretare la locuzione “altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” contenuta nell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., va precisato, poi, che la conferma imposta dalla norma non è direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità è da valutarsi, previamente, in rapporto all’esistenza di indicatori tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato o comunque da rappresentare le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni.

Va, anche, precisato che l’espressione “elementi di prova” per descrivere gli elementi di convalida, fa riferimento a elementi dotati di un’autonoma consistenza e di una, sia pur limitata, capacità rappresentativa. Vi deve essere, peraltro, una correlazione di pertinenza tra i riscontri e l’imputazione contestata. Il riscontro non può limitarsi, dunque, ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante, ma deve proiettarsi verso i fatti delittuosi attribuiti.

Ovviamente, tale idoneità probatoria non può essere intesa in termini di autosufficienza dovendo, comunque, il riscontro fungere da completamento della narrazione oggetto di verifica. Si tratta, quindi, di elementi in posizione subordinata e accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata. Altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell’imputato, non varrebbe la regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., ma quella generale di pluralità di prove e di libera valutazione di queste.