Richiesta di pene sostitutive in appello e riforma Cartabia: la Cassazione chiarisce il regime transitorio (Redazione)

La Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 18239 depositata il 14 maggio 2025 interviene su una delle questioni più controverse della prima applicazione della riforma Cartabia (D.L.vo n. 150/2022): quando e come può essere richiesta la pena sostitutiva nel giudizio di appello?

La Suprema Corte ha stabilito che per le impugnazioni proposte contro sentenze di primo grado emesse prima del 30 dicembre 2022, continua a valere l’art. 95 del D.L.vo 150/2022, che consente di richiedere le pene sostitutive anche nelle conclusioni scritte, senza necessità di inserirle nell’atto di appello o nei motivi nuovi ex art. 585, co. 4, c.p.p.

La Suprema Corte sottolinea che sebbene, la normativa che ha modificato l’art. 598-bis cod. proc. pen. introdotta dal d.lgs. n.31/2024 (c.d. correttivo della “riforma Cartabia”), entrata in vigore il 4 aprile 2024, non contenga una disciplina transitoria con riferimento alle norme che qui rilevano, si deve ritenere che secondo i criteri fissati dalle Sezioni Unite n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537, in applicazione della regola del “tempus regit actum”, assuma rilievo il tempo in cui è stata emessa la sentenza impugnata e non anche il tempo in cui è stato proposto l’appello o è stata fissata l’udienza per il giudizio di appello.

La introduzione di limiti all’esercizio di facoltà processuali che la legge attribuisce all’imputato deve essere regolata dalla legge vigente al momento in cui è sorto il diritto, trattandosi di modifiche legislative che ne comprimono l’esercizio.

Ciò anche per i riflessi di diritto penale sostanziale, che impongono il rispetto del principio di retroattività della lex mitior, e, quindi, in coerenza con la prevalenza da riconoscere al regime processuale di maggiore favore collegato all’introduzione delle pene sostitutive.

Pertanto si ribadisce il principio tempus regit actum e si riconosce un favor per l’imputato, ispirato al principio di retroattività della lex mitior, valorizzando una lettura garantista della disciplina transitoria.

In tema, ricordiamo quanto stabilito dalla medesima sezione con la sentenza numero 8215/2025 che ha indicato che la richiesta di pene sostitutive di pene detentive brevi può essere avanzata, per la prima volta, anche in appello, posto che nessuna disposizione lo vieta, sicché è ricorribile per cassazione la decisione d’appello che non abbia provveduto su tale richiesta.

Diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, in discussione non viene l’applicazione dell’anzidetta disciplina transitoria ed a quale giudice se ne dovesse fare richiesta.

Non si tratta, cioè, di stabilire se, pendendo il processo in primo grado all’atto della entrata in vigore del citato art. 95, l’istanza dovesse essere necessariamente presentata al giudice procedente o potesse essere proposta anche nel giudizio di appello (nel qual caso, peraltro, va detto per inciso che ciò è comunque avvenuto tempestivamente, essendo stata avanzata dal P. con i motivi del gravame ed essendo sufficiente che ciò avvenga, ai più tardi, nel corso dell’udienza di discussione dell’appello e non necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen.: vds. Sez. 2, n. 12991 dei 01/03/2024, Generali, Rv. 286017; Sez. 4, n. 4934 dei 23/01/2024, Skrzyszewski, Rv. 285751; Sez. 2, n. 1995 del 2. 19/12/2023, dep. 2024, Di Rocco, Rv. 285729; Sez. 6, n. 3992 del 21/11/2023, dep. 2024, Z., Rv. 285902).

La questione controversa, piuttosto, è quella se sia possibile avanzare detta richiesta per la prima volta con l’atto d’appello, quando, cioè, essa non sia stata formulata, neppure in sede di conclusioni, al giudice di primo grado, e dunque se l’imputato dolersi, sostanzialmente, della mancata determinazione officiosa in tal senso da parte di quel giudice.

La soluzione non può che essere affermativa (in questi termini, con riferimento alla sanzione sostitutiva pecuniaria ex art. 53, legge n. 689 del 1981, Sez. 1, 1T 15293 del 08/04/2021, Vrbanovic, Rv. 281064).

A differenza, infatti, di quanto accade per il ricorso per cassazione, per i quale l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., prevede il divieto di proporre doglianze non avanzate con i motivi d’appello, non vi è alcuna disposizione, nel codice di rito, che vincoli l’appellante a circoscrivere i motivi del gravame ai soli capi e punti oggetto delle richieste conclusive da lui rassegnate al giudice di primo grado o, comunque, alle questioni già sottoposte a tale giudice.

Ne consegue che, a prescindere dalla relativa disciplina transitoria, e non dovendo essere necessariamente attivato a richiesta dell’imputato il subprocedimento di cui all’art. 545-bis, cod. proc. pen., legittimamente P. aveva censurato con l’atto d’appello il mancato esercizio officioso, da parte del primo giudice, del relativo potere discrezionale, chiedendo di porvi rimedio al giudice d’appello, il quale sarebbe stato conseguentemente tenuto a provvedere sul punto (sull’obbligo del giudice dell’impugnazione di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, una volta che l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante, vds. Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216238).

Limitatamente, dunque, all’applicazione o meno delle pene sostitutive, la sentenza impugnata dev’essere annullata, con rinvio al giudice di merito perché provveda sul punto, implicando tale decisione valutazioni di fatto, non consentite alla cassazione.