Il dibattito successivo alla notizia della decisione della Consulta sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio
Com’era prevedibile, la decisione della Consulta che ha dichiarato inammissibili o infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ha rilanciato il dibattito su tale iniziativa legislativa.
Mentre è ancora ignota la motivazione della decisione, note di plauso e di soddisfazione si contrappongono ad altre in cui prevalgono gli accenti critici che peraltro, almeno al momento, sembrano risparmiare l’operato della Consulta e riproporre piuttosto un giudizio di inopportunità e dannosità delle legge di abrogazione.
Si inscrive in questo novero un articolo redatto a quattro mani dal Dr. Raffaele Cantone, attuale capo della Procura di Perugia e già presidente dell’ANAC, e dal Prof. Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale presso l’Università statale di Milano.
Lo scritto, titolato “Abuso d’ufficio. Il problema resta”, è stato pubblicato l’11 maggio 2025 sul quotidiano La Repubblica e poi riproposto sulla rivista web Sistema Penale (a questo link per la consultazione) di cui il Prof. Gatta è direttore.
Gli Autori si premurano in premessa di escludere che l’esito del giudizio costituzionale equivalga ad un imprimatur dell’abrogazione del delitto d’abuso d’ufficio ed alla negazione di qualsiasi problematicità che ne possa derivare: non spetta alla Consulta, infatti, di avallare scelte politiche.
Hanno poi preso in rassegna le condotte oggetto dei procedimenti penali dai quali sono scaturite le ordinanze di rimessione degli atti e ne hanno desunto che ognuna di esse giustifica i dubbi di costituzionalità espressi dai giudici a quibus in relazione a molteplici principi costituzionali, ivi compresi quelli inerenti al buon andamento ed all’imparzialità della pubblica amministrazione.
È quindi evidente, a loro avviso, la necessità che il Parlamento riveda la sua posizione e restituisca rilievo penale a quelle stesse condotte che oggi non lo hanno.
Affrontano infine il tema essenziale e provano a spiegare come mai, date tali premesse, la Consulta non abbia bollato di incostituzionalità l’abrogazione dell’abuso d’ufficio.
È una spiegazione evidente, dicono.
Spetta al Parlamento e solo ad esso stabilire quali sono i fatti meritevoli di sanzione penale e quali i fatti che non la meritano più.
La Corte costituzionale non poteva quindi, a pena di violare il principio della riserva di legge e il divieto di sindacato delle leggi penali con effetti in malam partem, emettere una decisione il cui effetto sarebbe stato la reintroduzione di un reato abolito.
Nondimeno, nell’opinione degli Autori, il solo fatto che la Consulta abbia dichiarato non inammissibili ma soltanto infondate le questioni poste con riguardo agli obblighi derivanti dalla Convenzione ONU contro la corruzione (Convenzione di Merida) significa che i dubbi sollevati al riguardo non erano peregrini ed implica il riconoscimento della possibilità di dichiarare incostituzionale una legge abolitiva di reati se contrastante con un obbligo di incriminazione posto da un trattato internazionale vincolante per il nostro Paese.
Ritengono di aggiungere una riflessione finale: la Consulta non ha avuto la possibilità di far valere la violazione di altri principi, tra i quali l’imparzialità della p.a. perché “aveva le mani legate”.
Resta comunque aperta, concludono, la possibilità di un diverso scenario allorché la Corte si pronuncerà sulla legittimità della parziale abolizione del reato di traffico di influenze illecite che, a loro giudizio, sarebbe imposto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa contro la corruzione.
Era già tutto previsto
“Era già tutto previsto, fino al punto che sapevo che oggi tu mi avresti detto quelle cose che mi dici”.
Questi versi, che fanno parte di una vecchia canzone di Riccardo Cocciante, esprimono assai bene il senso delle affermazioni di Cantone e Gatta.
La Consulta? Ovvio che non potesse accogliere alcuna delle quattordici ordinanze di rimessione, lo sanno tutti che non può violare la riserva di legge e il divieto di sindacato delle leggi penali con effetti in malam partem.
Il buon andamento della pubblica amministrazione? Ma come volete che potesse essere preso in considerazione, la Corte aveva le mani legate.
E la Convenzione di Merida? Il giudice delle leggi ha considerato non peregrini i dubbi sugli obblighi che ne derivano, facciamocelo bastare.
Era già tutto previsto, allora.
Va bene, ne prendiamo atto.
Ci limitiamo solo a notare che, mentre si archivia una discussione iniziata fin dai primi accenni alla volontà di farla finita con l’abuso d’ufficio ed alla quale hanno partecipato con dovizia di interventi e abbondanza di argomentazioni entrambi gli Autori, gli stessi ne iniziano contestualmente un’altra, questa volta tarata sul destino del ridimensionamento della fattispecie del traffico di influenze illecite.
Le cose potrebbero andare diversamente – ipotizzano – dati gli obblighi derivanti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa contro la corruzione.
Una riedizione del “Ce lo chiede l’Europa” e ci sarà sicuramente da parlarne ancora.
