Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 16467/2025, udienza del 24 aprile 2025, ha affermato che il Tribunale di sorveglianza cui sia rivolta un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale non può imporre all’istante eccessivi ed ingiustificati oneri dimostrativi, spettandogli, al contrario, di attivare i suoi poteri istruttori d’ufficio allorché, come nel caso di specie, siano necessari accertamenti da compiere in territorio estero e quindi disagevoli da compiere per un privato.
Provvedimento impugnato
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, avanzata dal condannato DA in relazione a titolo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
Poiché la misura alternativa avrebbe dovuto eseguirsi in Germania, Paese di cittadinanza dell’istante, la difesa era stata onerata dal Tribunale della produzione del certificato penale tedesco, del certificato di buona condotta e di documentazione, debitamente tradotta in italiano, in ordine all’attività lavorativa svolta all’estero.
A sostegno del diniego della misura alternativa il Tribunale richiamava il mancato assolvimento dell’onere, con riferimento al profilo dell’attività lavorativa.
Ricorso per cassazione
Ricorre il condannato per cassazione, con il ministero del difensore di fiducia, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione. Il ricorrente rileva che la documentazione sull’attività lavorativa svolta in Germania era stata già allegata all’istanza di misura alternativa e che, in ogni caso, sussisterebbe il potere/dovere del Tribunale di sorveglianza di istruire d’ufficio i procedimenti e di acquisire le informazioni del caso sulle allegazioni difensive incidenti sulla decisione.
Il ricorrente censura, inoltre, il fatto che il diniego di misura alternativa sia incentrato unicamente sul mancato riscontro dell’attività lavorativa, senza la necessaria valutazione conclusiva di sintesi sul percorso del condannato, successivo alla consumazione dei reati oggetto dell’esecuzione penale di cui si tratta.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso è fondato.
L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è misura alternativa alla detenzione carceraria, che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena.
La misura può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che la medesima, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla menzionata rieducazione, prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.
Ciò che assume rilievo, rispetto all’affidamento, è l’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, Rv. 274993-01; Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, Rv. 257001-01).
Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal Codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, Rv. 248984-01; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, Rv. 244654-01; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, Rv. 202413).
Nell’ottica della prognosi di reinserimento, la disponibilità di un lavoro costituisce un elemento importante ai fini di una favorevole valutazione, ancorché in assoluto non dirimente, potendo il requisito essere surrogato dall’impegno in altre attività, anche volontaristiche, utili in chiave di reintegrazione sociale (Sez. 1, n. 18939 del 26/02/2013, Rv. 256024-01; Sez. 1, n. 26789 del 18/06/2009, 244735-01; Sez. 1, n. 5076 del 21/09/1999, Rv. 214424-01).
Occorre poi ricordare che – se rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento sull’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle dedotte prospettive di reinserimento – la relativa valutazione resta incensurabile in sede di legittimità solo se sorretta da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Rv. 189375-01), la quale non può prescindere da un’esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio nel loro insieme.
Tale ricognizione deve essere preceduta dall’assunzione, anche officiosa, di congrue informazioni, a norma dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 678 stesso codice, e le eventuali difficoltà connesse ad accertamenti da effettuare in territorio estero debbono essere superate anche mediante l’attivazione dei previsti canali di cooperazione giudiziaria, senza imporre all’interessato oneri radicalmente condizionanti.
L’ordinanza impugnata è viziata alla luce dei principi innanzi esposti, sia perché in merito all’attività lavorativa in Germania era stata effettuata un’allegazione specifica in istanza e il Tribunale avrebbe potuto e dovuto svolgere autonomamente, in merito, la debita istruttoria, sia perché la decisione è interamente focalizzata su detto presupposto lavorativo ed è priva di una visione d’insieme sul percorso di vita del condannato, successivo ai fatti di reato per cui è intervenuta condanna, anche in rapporto alle caratteristiche della devianza e alle prospettive di reinserimento e contenimento che erano state dall’interessato indicate e in qualche misura già documentate.
Il provvedimento, non adeguatamente motivato alla stregua delle esposte considerazioni, deve essere pertanto annullato, con rinvio al giudice che l’ha adottato per rinnovato giudizio al riguardo.
