Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 17494/2025, udienza del 6 maggio 2025, ha chiarito che ciò che rileva, ai fini del riconoscimento del diritto in favore degli eredi del soggetto per il quale il procedimento che fa da sfondo alla domanda di riparazione si sia concluso con un decreto di archiviazione per morte del reo, rispetto alla definitiva assoluzione dei coimputati, è la verifica che la sentenza assolutoria irrevocabile abbia accertato l’insussistenza del fatto addebitato al soggetto, la cui posizione sia stata archiviata per morte del reo.
Con la sentenza n. 413/2004, la Corte costituzionale, richiamati i plurimi precedenti, con i quali, posto in luce il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione, era stata operata dallo stesso giudice delle leggi una rilettura costituzionalmente corretta della norma di cui all’art. 314 cod. proc. pen., ha affermato, quanto al caso sottoposto a nuovo scrutinio di costituzionalità, che le stesse argomentazioni svolte nelle sentenze interpretative richiamate potevano agevolmente addursi a sostegno di una lettura della disciplina censurata conforme a Costituzione.
Alla luce dei parametri di cui agli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, Cost., ai fini del riconoscimento del relativo diritto, rileva infatti unicamente una privazione della libertà personale rivelatasi a posteriori comunque ingiusta, gli effetti dell’assoluzione con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, pronunciata nei confronti dei coimputati della persona la cui posizione era stata archiviata per morte, non potendo non essere estesi agli eredi di tale soggetto qualora emerga incontrovertibilmente che anch’egli sarebbe stato assolto con la medesima formula adottata per i concorrenti nel reato, ove non fosse deceduto prima della conclusione del procedimento.
Tale lettura, peraltro, è stata ritenuta coerente con i riferimenti normativi, anche di natura sovranazionale: afferma, infatti, la Corte costituzionale che l’art. 2, n. 100, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente la delega legislativa per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, «enuncia la direttiva della riparazione dell’ingiusta detenzione, senza porre alcuna limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le ‘ragioni’ dell’ingiustizia; tra le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia relative ai diritti della persona e al processo penale, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, prevedono il diritto ad un equo indennizzo in caso di detenzione illegale, senza alcuna limitazione».
Di qui la conseguente declaratoria di infondatezza della questione, dovendosi l’art. 314, co. 3, cod. proc. pen. interpretare nel senso che «il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione opera anche in favore degli eredi dell’indagato la cui posizione sia stata archiviata per ‘morte del reo’, qualora nella sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nei confronti dei coimputati risulti accertata l’insussistenza del fatto a lui addebitato».
Sulla questione, peraltro, consta un precedente non recente, con il quale il giudice di legittimità si è, tuttavia, limitato a recepire il principio affermato dal giudice delle leggi con la sentenza n. 431/2004, ritenendo che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione operi anche in favore degli eredi dell’indagato la cui posizione sia stata archiviata “per morte del reo”, qualora nella sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nei confronti dei coimputati risulti accertata l’insussistenza del fatto a lui addebitato (Sez. 4, n. 30315 del 21/06/2005, Bottari, Rv. 232024 – 01, intervenuta proprio sul ricorso che aveva dato causa all’incidente di costituzionalità di cui sopra, promosso dalla Sez. 4, con ordinanza n. 24391 del 28/03/2003)).
Ciò che rileva, ai fini del riconoscimento del diritto in favore degli eredi del soggetto per il quale il procedimento che fa da sfondo alla domanda di riparazione si sia concluso con un decreto di archiviazione per morte del reo, rispetto alla definitiva assoluzione dei coimputati, è – a ben vedere – la verifica che la sentenza assolutoria irrevocabile abbia accertato l’insussistenza del fatto addebitato al soggetto, la cui posizione sia stata archiviata per morte del reo.
Solo in tal caso, dunque, il giudice della riparazione è tenuto ad accertare in maniera incontrovertibile che anch’egli sarebbe stato assolto con la medesima formula adottata per i concorrenti nel reato (vale a dire “il fatto non sussiste”), ove non fosse deceduto prima della conclusione del procedimento. Nel caso all’esame, la risposta approntata dal giudice della riparazione è, pertanto, corretta e del tutto coerente con l’affermazione di principio contenuta nella sentenza del giudice delle leggi, la quale ha espressamente delimitato l’ambito della estensione della previsione normativa alla sola ipotesi di verdetto assolutorio per insussistenza del fatto, formula idonea, con ogni evidenza, a introdurre il tema della verifica che identico esito sarebbe incontrovertibilmente seguito anche nei confronti del soggetto deceduto per il quale è stata disposta l’archiviazione.
Non può, dunque, accedersi, alla stregua del chiaro dictum del giudice delle leggi, alla interpretazione proposta dalla difesa, a mente della quale il diritto spetterebbe anche nelle ipotesi di assoluzione dei coimputati con formule diverse da quella della insussistenza del fatto.
Ne discende la correttezza del ragionamento esplicativo del giudice della riparazione, al quale non competeva di verificare, come sembra sollecitare parte ricorrente, che l’esito del giudizio, alla stregua degli stessi elementi valutati per i coimputati, sarebbe stato incontrovertibilmente analogo anche per il soggetto deceduto.
