Premessa
È ovvio ma mai inutile sottolineare che le libertà individuali essenziali hanno una necessità: per rimanere fedeli a se stesse e continuare ad assolvere al loro scopo devono essere costantemente aggiornate.
Così è anche per la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
L’inviolabilità garantita dall’art. 15 Cost., e il suo principale baluardo costituito dalla duplice riserva di legge e di giurisdizione, diventerebbero un misero simulacro se il legislatore e il giudice non aggiornassero costantemente la loro consapevolezza del modo in cui i consociati corrispondono e comunicano e non adattassero di conseguenza le loro funzioni e i loro atti tipici.
A dispetto dell’evidenza di questa necessità “manutentiva”, sempre più viva in un periodo di rapidissime ed incessanti acquisizioni tecnologiche che hanno profondamente mutato il paradigma delle comunicazioni umane, sia il legislatore che il giudice appaiono in grave ritardo, l’uno e l’altro arrancando faticosamente all’inseguimento di una realtà così mutevole.
Si trovano peraltro tracce di un’ulteriore e forse ancora più preoccupante tendenza: il difetto di analisi e la lentezza dell’aggiornamento sembrano talvolta dovuti al privilegio accordato alla difesa sociale a scapito delle libertà individuali. Detto diversamente, l’ancoraggio ai vecchi significati della corrispondenza e l’omessa considerazione di quelli nuovi e ben più ampi potrebbe rispondere all’esigenza di preservare un’elevata discrezionalità riguardo alla legittimazione dei vari strumenti investigativi utilizzabili allorché serva sapere chi ha detto o scritto cosa.
Su questa premessa si svilupperà l’oggetto dello scritto, focalizzandolo su uno specifico segmento del dibattito più recente attorno alla nozione di corrispondenza: quello alimentato dalla visione espressa dalla Consulta nella sentenza n. 170/2023 e quello della giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione.
Giurisprudenza costituzionale: la sentenza n. 170/2023
Questa decisione, che non si esita a definire una pietra miliare lungo il percorso della definizione contemporanea dell’istituto in esame, è stata annotata all’indomani della sua pubblicazione in un nostro precedente post (a questo link per la consultazione).
Ad esso si rinvia per la compiuta esposizione del caso da cui è scaturita la pronuncia.
Qui è sufficiente, pertanto, ricordarne i passaggi salienti.
…L’acquisizione di messaggi di posta elettronica e via WhatsApp non è un’intercettazione
“le parti concordano sul fatto che l’acquisizione di messaggi di posta elettronica e WhatsApp operata nel caso di specie non sia qualificabile come intercettazione. L’affermazione è pienamente condivisibile. Non, però, per la ragione indicata nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (doc. XVI, n. 9) e ripresa anche nel ricorso del Senato, stando alla quale il discrimen tra le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni e i sequestri di corrispondenza sarebbe segnato principalmente dalla forma della comunicazione: […] La linea di confine tra le due ipotesi passa, in realtà, altrove. […] Affinché si abbia intercettazione debbono quindi ricorrere, per quanto qui più interessa, due condizioni. La prima è di ordine temporale: la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’extraneus; questa deve cogliere, cioè, la comunicazione nel suo momento “dinamico”, con conseguente estraneità al concetto dell’acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta (dunque, nel suo momento “statico”). La seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione: l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti, tra i quali la comunicazione intercorre”.
…Gli scambi di messaggeria elettronica sono una forma di corrispondenza
“che lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. non può essere revocato in dubbio. […] questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale […] Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”.
…Sono inclusi nella nozione di corrispondenza anche i messaggi elettronici conservati nella memoria del dispositivo del destinatario o del mittente
“Con indirizzo che appare, allo stato, consolidato, la Corte di cassazione ha, infatti, affermato che i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, hanno natura di «documenti» ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. La loro acquisizione processuale non soggiace, pertanto, né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis cod. proc. pen.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui al citato art. 254 cod. proc. pen., la quale implica una attività di spedizione in corso [la tesi] non può essere, peraltro, condivisa.
Degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione”.
Una decisione importante, come si diceva, che al pregio garantistico unisce quello della chiarezza cristallina.
La giurisprudenza di legittimità
Come era prevedibile, la sentenza della Consulta ha prodotto immediati e non sempre omogenei riflessi negli orientamenti interpretativi della Suprema Corte.
Rinvio per una loro analisi dettagliata a S. Grieco, Le nuove frontiere del concetto di “corrispondenza” nel processo penale, in PenaleDP, 28 aprile 2025, (consultabile a questo link).
Mi limito quindi a qualche osservazione desunta da Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 31180/2024, udienza del 21 maggio 2024, decisione anch’essa approfonditamente analizzata nello scritto della Grieco.
Il collegio di legittimità si è occupato di un caso in cui, a seguito dell’annullamento di un sequestro probatorio, il PM ha utilizzato lo strumento dell’ispezione informatica per recuperare i dati perduti.
I giudici della sesta sezione penale non hanno apprezzato la manovra dell’inquirente, valutandola alla stregua di un espediente surrettizio.
Hanno pienamente accolto la nozione di corrispondenza affermata dalla Corte costituzionale e respinto la suggestione del PG di udienza secondo il quale gli effetti della sentenza n. 170 dovevano intendersi limitati alle guarentigie parlamentari ex art. 68 Cost.
Gli è bastato a tal fine citare un passaggio testuale delle medesima sentenza dal quale si evinceva con chiarezza la portata erga omnes del principio.
Hanno infine lasciato ben più che uno spiraglio sulla possibilità, a fronte di violazioni procedurali così imponenti, di superare la dottrina del male captum bene retentum, a dispetto della sua fin qui implacabile applicazione.
Note conclusive
Nel frattempo, continuano a manifestarsi, e ne stiamo offrendo una costante documentazione, decisioni che sembrano accomunate dalla tendenza a minimizzare e banalizzare il portato della decisa presa di posizione del Giudice delle leggi.
Così è avvenuto da ultimo con Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 11743/2025, udienza del 25 marzo 2025, oggetto di un nostro recentissimo post (consultabile a questo link) secondo la quale l’acquisizione di “screenshots” di messaggi “WhatsApp” forniti da uno dei conversanti non richiede il provvedimento di sequestro del pubblico ministero, trattandosi di corrispondenza non più “in itinere“, ma ormai pervenuta sui dispositivi dei soggetti interessati.
Si finisce, quindi, tornando alla premessa.
C’è ancora parecchio lavoro da fare perché la sensibilità istituzionale riguardo alla protezione della libertà di corrispondenza e di comunicazione torni ad essere quella voluta dai Costituenti.
Lo stesso vale riguardo alla rinuncia a metodi – ma talvolta sarebbe più corretto definirli espedienti – che si fanno beffe di quella libertà e che non sempre trovano gli sbarramenti necessari.
