In tempi di Decreto Sicurezza segnaliamo la sentenza della cassazione sezione 6 numero 13364/2025 che si è soffermata sulla configurabilità della speciale scriminante di cui all’art. 393 bis cod. pen e sulla esegesi letterale delle nozioni di arbitrarietà ed eccesso dalle attribuzioni.
Ricordiamo che ai sensi dell’art. 393 bis c.p., introdotto dall’art. 1 della L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza), non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. L’esimente, nota come «Reazione legittima agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali» il cui disposto, contenuto nell’art. 4 del D.Lgs.Lgt. 14-9-1944, n. 288 era prevista nel Codice Zanardelli (gli artt. 192 e 199 del Codice Zanardelli, prevedevano che le norme relative alla violenza ed all’oltraggio non trovavano applicazione quando il pubblico ufficiale aveva dato causa al fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni) e naturalmente poi abrogata dal codice Rocco, che come è ben noto, fu emanato sotto il regime fascista, regime che faceva del rispetto e dell’obbedienza incondizionata ai pubblici poteri uno dei cardini fondamentali della sua ideologia.
La cassazione nella sentenza richiamata all’inizio del post, ha sottolineato che in relazione alla quaestio iuris della configurabilità della speciale scriminante di cui all’art. 393 bis cod. pen., occorre interrogarsi sulla “portata” della scriminante, già prevista dall’art. 4 D.Lgs. 14 settembre 1944, n. 288, e attualmente dall’art. 393-bis cod. pen.: ciò richiede la perimetrazione dei concetti di “arbitrarietà” dell’atto e di “eccesso” dalle attribuzioni, che devono ex lege caratterizzare la condotta del pubblico ufficiale per rendere applicabile l’invocato istituto.
A tal proposito, secondo parte della giurisprudenza, il concetto di “arbitrarietà” ha una sua autonomia rispetto a quello di “eccesso” e deve essere letto in un’ottica essenzialmente soggettiva, come consapevole volontà (e quindi malafede) del pubblico ufficiale di eccedere i limiti delle sue funzioni.
Ne discende, secondo l’impostazione in parola, che per la configurabilità della scriminante in oggetto occorre che sia adottato un atto “obiettivamente illegittimo, ma anche partecipato dall’agente”, con un consapevole atteggiamento di abuso, se non con una deliberata volontà vessatoria, ingiustamente persecutoria, ovvero, ancora, improntata a malanimo, sopruso o capriccio, che fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione del munus pubblico (Sez. 6 n 27635 del 30/04/2024, non mass.; Sez. 6, n. 25309 del 19/05/2021, Mejri, Rv. 281955; Sez. 5, n. 31267 del 14/09/2020, Lanzetta, Rv. 279750-02; Sez. 6, n. 11005 del 05/03/2020, Nata Salomao, Rv. 278715; Sez. 6, n. 5414 del 23/01/2009, Amara, Rv. 242917).
Per altra parte della giurisprudenza di legittimità – sulla scorta dei principi sanciti con la sentenza n 140 del 1998 dalla Corte Costituzionale, secondo cui ragioni storico – politiche inducono ad una interpretazione più lata della scriminante della reazione ad atti arbitrari – “il doppio richiamo” da parte del testo normativo all’eccesso dai limiti delle proprie attribuzioni e agli atti arbitrari del pubblico ufficiale non impone di costruire l’arbitrarietà come un quid pluris diverso e ulteriore rispetto all’eccesso dalle attribuzioni.
Già la sola esegesi letterale delle espressioni usate consente, dunque, di affermare che arbitrarietà ed eccesso dalle attribuzioni esprimono il medesimo fenomeno, sotto il profilo, rispettivamente, delle modalità con cui il pubblico ufficiale ha dato esecuzione all’atto illegittimo e della illegittimità dell’atto in sé considerato.
Si tratta di una impostazione che poggia sua una lettura oggettivistica e costituzionalmente orientata della norma, che trova il proprio fondamento nei principi affermati con chiarezza dalla Corte costituzionale nella citata sentenza.
Dovendo i due elementi – rectius “l’eccesso” dalle attribuzioni e “gli atti arbitrari“- essere intesi in modo unitario, la reazione del privato può dirsi giustificata anche solo a fronte di un comportamento oggettivamente illegittimo del pubblico agente, che sia disfunzionale – anche solo per le modalità scorrette, incivili e sconvenienti di attuazione – rispetto al fine per cui il potere è conferito, non essendo di contro necessario che il soggetto abbia consapevolezza dell’illiceità della propria condotta diretta a commettere un arbitrio in danno del privato (Sez. 6, n. 7255 del 26/11/2021, dep. 2022, Guarnieri, Rv. 282906; Sez. 6, n. 54424 del 27/04/2018, Calabrò, Rv. 274680 – 03; Sez. 6, n. 7928 del 13/01/2012, Variale, Rv. 252175; Sez. 6, n. 10733 del 09/02/2004, dep. 09/03/2004, Maroni, Rv. 227991).
Nondimeno, la cassazione ha già avuto modo di affermare come, ai fini del riconoscimento della scriminante in oggetto, occorra altresì accertare che vi sia proporzione e adeguatezza intercorrente tra l’iniziativa assunta e la situazione che la legittima, nel senso che «quanto maggiore è la sproporzione dell’atto rispetto alla finalità legittimante, tanto maggiore è il sopruso utile a scriminare la reazione violenta» (Sez. 6, n. 18957 del 30/04/2014, Bellino, Rv. 260704), sicché «la macroscopica sproporzione della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale esclude la sussistenza della causa di non punibilità per la cui integrazione è necessario che le azioni, che potrebbero integrare i reati in essa indicati, dipendano, in termini di causalità e di proporzionalità, dagli atti arbitrari posti in essere dal pubblico ufficiale» (ex multis, Sez. 5, 2941 dello 08/11/2018, Errabia, Rv275304; Sez. 6, n. 5222 dell’11/03/1993, Belanzoni, Rv. 194025; Sez. 6, n. 14490 del 24/02/1989, Monacelli, Rv. 182368).
Nel caso di specie, dunque, sulla scorta dei principi enunciati, è contra legem la escussione di M.B. nelle forme previste dall’art. 351 cod. proc. pen. per la formale qualifica di persona indagata, che le conferiva la facoltà di non rispondere e il diritto ad essere assistita da un difensore.
Purtuttavia, come già evidenziato dai Giudici di merito nella ricostruzione fattuale della vicenda – che la difesa non ha contestato- la reazione della Bosco assumeva connotati eccessivi, sproporzionati ed esorbitanti una eventuale giustificata reazione. La donna, infatti, danneggiava le suppellettili all’interno dell’ufficio, facendo rovinare in terra il monitor del PC, e – nonostante l’invito alla calma anche da parte del compagno – si scagliava con veemenza contro l’appuntato G.E., schiaffeggiandolo così da fargli cadere gli occhiali e graffiandolo al polso, cagionando lesioni giudicate guaribili in cinque giorni.
Sotto tale profilo, la sentenza impugnata ha congruamente dato atto della mancanza della necessaria proporzionalità tra eccesso arbitrario e reazione: la reazione, concretizzatasi anche in lesioni personali in danno dell’Appuntato dei carabinieri, ha infatti assunto connotati di violenza macroscopicamente sproporzionati rispetto all’azione sia pure illegittimamente tesa, come si è detto, alla escussione della B. secondo modalità procedurali non consentite.
Al cospetto di tale iter argomentativo le deduzioni del difensore non colgono nel segno, non essendosi confrontate con la evidenziata sproporzione della reazione violenta della B. ed essendosi, invece, concentrate sul solo aspetto della illegittimità dell’atto.
