La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 7672/2024 ha esaminato la questione della nozione di “udienza” e se la stessa ricomprenda, estensivamente, qualsiasi attività giudiziaria posta in essere dal magistrato che implichi la presenza o l’intervento di altri soggetti processuali, e nello specifico se l’interrogatorio del pubblico ministero rientri nella fattispecie in esame.
La Suprema Corte ha stabilito che le espressioni lesive dell’onore del pubblico ministero rese nel corso di un interrogatorio, svolto nelle indagini preliminari, integrano il delitto di oltraggio a un magistrato in udienza di cui all’art. 343 cod. pen.
Secondo un risalente e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il termine «magistrato» che ricorre nella fattispecie di reato di cui all’art 343 cod. pen. si riferisce, indifferentemente, sia ai magistrati che esercitano funzioni giurisdizionali, sia ai magistrati che svolgono le funzioni del pubblico ministero (Sez. 6, n. 24774 del 06/06/2022, Calafiore, Rv. 283607 – 01; Sez. 6, n. 20085 del 26/04/2011, Prencipe, Rv. 250070 – 01; Sez. 1, n. 14591 del 02/03/2011, Matarrese, Rv. 249737 – 01; Sez. 6, n. 14201 del 06/02/2009, Dodaro, Rv. 243833 – 01; Sez. 6, n. 1514 del 25/06/1969, Fiorentino, Rv. 112935 – 01).
La Corte costituzionale, del resto, nella sentenza n. 380 del 1999, ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 343 cod. pen., nella parte in cui prevede che le offese arrecate nel corso del dibattimento dal difensore al pubblico ministero integrino il reato di oltraggio a un magistrato in udienza, in quanto non è arbitrario o irragionevole avere esteso la protezione della dignità della funzione giurisdizionale anche all’attività del pubblico ministero in udienza, e la parità delle parti, pubblica e privata, che è inerente al processo, non implica necessariamente l’identica qualificazione giuridica di esse, né impone l’eguaglianza del loro stato e della loro condizione.
L’interrogatorio dinanzi al pubblico ministero può, inoltre, essere ascritto al novero dei significati letterali della espressione «udienza» e, dunque, l’interpretazione adottata dalla sentenza impugnata non viola il principio di tassatività della fattispecie penale.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, rilevato che ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 343 cod. pen., deve ritenersi che il magistrato si trovi in «udienza» ogni volta che sia presente nel luogo deputato alla celebrazione della stessa, anche se intento a compiere atti preparatori al giudizio o conseguenti allo stesso (Sez. 6, n. 18486 del 29/03/2022, Volpe, Rv. 283158 – 01, fattispecie in cui è stato ritenuto sussistente il reato nonostante l’offesa fosse intervenuta al termine dell’attività processuale, alla presenza del giudice e delle parti nel luogo di svolgimento dell’udienza).
È «udienza», ai sensi di cui all’art. 343 cod. pen., qualsiasi seduta, nella normale aula di udienza o altrove ed in qualunque fase processuale essa si svolga, destinata allo svolgimento dell’attività giudiziaria del magistrato (Sez. 6, n. 7730 del 7/7/1982, Pifano, Rv. 154887), che implichi, per previsione legislativa, l’intervento o la presenza degli altri soggetti del rapporto e dei loro difensori, anche se tale presenza in concreto non si verifichi.
È pertanto configurabile il reato previsto dall’art 343 cod. pen. anche se l’oltraggio al magistrato non avvenga durante una udienza dibattimentale (Sez. 1, n. 1487 del 29/09/1976 (dep. 1977), Berloco, Rv. 135144 – 01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, dunque, ai sensi dell’art. 343 cod. pen. il magistrato deve ritenersi «in udienza» tutte le volte che si trovi ad amministrare giustizia con l’intervento delle parti (Sez. 6, n. 26178 del 21/06/2012, Cincimino, Rv. 253121 – 01; Sez. 6, n. 17314 del 03/02/2003, Giubbini, Rv. 225432 – 01).
L’interrogatorio svolto dal pubblico ministero è, dunque, attività di udienza nel senso accolto dall’art. 343 cod. pen., in quanto costituisce esercizio di attività giudiziaria ed è caratterizzato dalla necessaria presenza del magistrato, della persona sottoposta a indagine e del suo difensore.
Infine si ricorda che la cassazione ha avuto modo più volte di puntualizzare (da ultimo cassazione sezione 6 sentenza numero 24774/2022) come integrino gli estremi del delitto de quo le espressioni e gli apprezzamenti denigratori della reputazione e del prestigio rivolti, anziché agli atti e ai provvedimenti, direttamente alla persona del magistrato (così, tra le altre, Sez. 5, n. 31267 del 14/09/2020, Lanzetta, Rv. 279750-01; Sez. 6, n. 20085 del 26/04/2011, Prencipe, Rv. 250070): e ciò perché, come si è chiarito nella giurisprudenza costituzionale, “tutti gli atti e ogni condotta nel processo devono rispecchiare il dovere di correttezza anche nelle forme espressive usate dalle parti” (Corte cost., sent. n. 380 del 1999).
