La Corte EDU, terza sezione, sentenza dell’8 aprile 2025, caso Backović contro Serbia (n. 2) ricorso n. 47600/17, ha escluso che l’inflizione di una sanzione pecuniaria ad un avvocato che ha usato espressione offensive verso un giudice implichi la violazione in suo danno dell’art. 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti umani.
Segue la traduzione a nostra cura del relativo comunicato stampa, comunque allegato alla fine del post nella versione originale in lingua inglese.
Avvocato multato per aver insultato un giudice serbo perde la causa a Strasburgo
Nella sentenza odierna della Camera nel caso Backović contro Serbia (n. 2) (ricorso n. 47600/17), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito, con 5 voti contro 2, che non vi è stata: nessuna violazione dell’articolo 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il caso riguardava una multa inflitta al signor Backović, un avvocato, per oltraggio alla corte in un procedimento elettorale in cui chiedeva fosse riconosciuto che lui e altre sei persone fossero ancora consiglieri comunali. Tra le altre cose, aveva definito la decisione “una sciocchezza suprema” e i giudici del caso “geni del diritto”.
La Corte ha osservato che i termini utilizzati dal signor Backović, come “giganti del diritto” e “ingegno” giuridico, avevano ridicolizzato la professionalità del giudice in questione e del tribunale. Ha ritenuto che la multa fosse stata motivata in modo sufficiente e che non fosse sproporzionata.
Fatti principali
Il ricorrente, Čedomir Backović, è un cittadino serbo nato nel 1956 e residente a Sombor (Serbia). È un avvocato.
Con sentenza del 13 ottobre 2008, il Tribunale distrettuale di Sombor stabilì che il mandato dei consiglieri comunali di Sombor – all’epoca in cui il signor Backović era tra loro – era terminato. Tuttavia, nel settembre 2011, la Corte costituzionale serba incaricò il Tribunale amministrativo di modificare la sentenza, in quanto violava i diritti del signor Backović e degli altri ricorrenti. Ciò avvenne nel novembre dello stesso anno, ad opera del Tribunale amministrativo di Novi Sad.
Il signor Backović, insieme e in qualità di consulente legale di alcuni altri consiglieri, chiese l’esecuzione di quella nuova sentenza, vale a dire la conferma del loro status di consiglieri comunali. Non ottenne l’esito voluto in primo grado e presentò ricorso. Nelle sue memorie affermò che si trattava di “una sorta di interpretazione restrittiva e ‘sbagliata’ [šaltersko] della legge sulla procedura di esecuzione” e definì i giudici del tribunale esecutivo “geni del diritto e giganti giuridici [gromade]”. Continuò affermando che “la sentenza [del Tribunale Amministrativo] è una sciocchezza assoluta, che semplicemente non merita ulteriori commenti. Che sia stata redatta per dolo … o per mancanza di conoscenza, tale decisione e la sua motivazione sono incompatibili con l’operato di una magistratura professionale in un Paese caratterizzato dallo stato di diritto come la Serbia professa di essere”.
A seguito di queste dichiarazioni, il giudice di primo grado gli inflisse una multa di 100.000 dinari serbi (RSD, all’epoca circa 910 euro), avendo ritenuto che il loro contenuto fosse volto a offendere la corte. La multa fu successivamente ridotta a 50.000 dinari. Un successivo ricorso costituzionale è stato respinto.
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Il signor Backović aveva già presentato un ricorso non correlato alla Corte europea, la cui sentenza fu emessa il 7 febbraio 2012.
Reclami, procedura e composizione della Corte
Facendo riferimento all’articolo 10 (libertà di espressione), il signor Backović ha contestato la multa inflittagli, sostenendo che le sue dichiarazioni non fossero offensive.
Il ricorso è stato depositato presso la Corte europea dei diritti dell’uomo il 21 giugno 2017.
La sentenza è stata emessa da una Camera di sette giudici, così composta:
Ioannis Ktistakis (Grecia), Presidente,
Peeter Roosma (Estonia),
Lətif Hüseynov (Azerbaigian),
Darian Pavli (Albania),
Oddný Mjöll Arnardóttir (Islanda),
Úna Ní Raifeartaigh (Irlanda),
Mateja Đurović (Serbia),
e Milan Blaško, Cancelliere di Sezione.
Decisione della Corte
Le parti non hanno contestato che la sanzione pecuniaria abbia costituito un’interferenza con la libertà di espressione del signor Backović. La Corte ha concordato. Tale interferenza aveva un fondamento giuridico, in particolare nell’articolo 46 della Costituzione e negli articoli 33 e 51 della Legge sulle procedure di esecuzione (Zakon o izvršenju I obezbeđenju). Ha ritenuto che la sanzione pecuniaria avesse il legittimo scopo di preservare l’autorità della magistratura.
Il tribunale nazionale, irrogando la sanzione, ha rilevato che le dichiarazioni erano state offensive e che non erano state concepite per contestare la decisione di esecuzione, bensì per insinuare una mancanza di professionalità, competenza e dignità da parte del tribunale e del giudice. La Corte ha osservato che la decisione in questione era stata definita dal signor Backović come “una tattica scorretta” e una “sciocchezza giuridica”, frutto di dolo o ignoranza, e certamente poco professionale; egli aveva ridicolizzato la professionalità dei giudici definendoli “geni del diritto” e “giganti del diritto”, riferendosi alla loro “ingegnosità”; aveva insinuato che la loro condotta costituisse un abuso; e poiché la decisione era stata pronunciata in un procedimento monocratico, le osservazioni avevano quindi un risvolto personale, rivolte esclusivamente al giudice che si occupava del suo caso.
Soprattutto, la Corte ha ritenuto che le osservazioni mirassero a sminuire il tribunale serbo e a ledere la professionalità del giudice coinvolto. Ha rilevato che la decisione di multare il signor Backović era stata soggetta a un effettivo controllo giurisdizionale e che l’ammenda era stata commisurata al livello minimo consentito.
Le motivazioni fornite dai giudici nazionali per la sanzione erano “pertinenti e sufficienti” e l’azione non era stata sproporzionata. La Corte non ha pertanto riscontrato alcuna violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
Opinioni separate
I giudici Hüseynov e Pavli hanno espresso una congiunta opinione dissenziente che è allegata alla decisione.
La decisione è disponibile soltanto in inglese.
