Omesso versamento di ritenute dovute o certificate: la prova del rilascio delle certificazioni ai lavoratori e dell’ammontare può derivare anche dal loro inserimento nel cassetto fiscale dei dipendenti (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 5020/2025, udienza del 26 novembre 2024, ha chiarito che, ai fini dell’integrazione del delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, di cui all’art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come risultante dalla declaratoria di parziale incostituzionalità ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2022, l’avvenuto rilascio ai lavoratori sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate dal datore di lavoro e l’ammontare di queste può essere provato anche mediante il loro inserimento nel cassetto fiscale di ogni singolo dipendente, in quanto equivalente alla messa a disposizione e conoscenza attraverso la consultazione del sito dell’Agenzia delle Entrate, i cui contenuti conoscitivi sono stati implementati dall’art. 23 d.lgs. 8 gennaio 2024, n. 1.

L’art. 10-bis, d. Igs. n. 74 del 2000 (Omesso versamento di ritenute dovute o certificate), per come novellato dal d. Igs. 24 settembre 2015, n. 158, puniva “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

Successivamente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 115 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, nella parte in cui aveva inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente alle parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o», specificando nella motivazione che “per effetto della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicché da una parte l’integrazione della fattispecie penale dell’art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario.”

La disposizione è stata poi oggetto di modifica ad opera dell’art. 1 comma 1, lett. b) del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 che, da un lato ha recepito la pronuncia della Corte costituzionale e dall’altro ha modificato la struttura del reato. Il nuovo art. 10-bis prevede che sia punito, con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, chiunque non versa, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a 150.000,00 euro, per ciascun periodo d’imposta, se il debito tributario non è in corso di estinzione mediante rateazione, ai sensi dell’art. 3-bis del d.lgs. 462/97.

Si è poi esclusa la punibilità, in caso di decadenza dal beneficio della rateazione ai sensi dell’art. 15-ter del DPR 602/73, il colpevole è punito se l’ammontare del debito residuo è inferiore a 50.000,00 euro.

Viene, dunque, introdotta una condizione obbiettiva di punibilità per cui la rilevanza penale del fatto, sin da principio, di sottrarsi al pagamento dell’obbligazione tributaria, è integrata allorquando, al momento della consumazione del reato, ora differita al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione delle rispettive dichiarazioni annuali di sostituto di imposta, non sia in corso di estinzione il pagamento mediante la rateizzazione delle somme dovute, ovvero questa non sia stata richiesta, ovvero vi sia stata decadenza dalla rateizzazione già concessa in presenza di debito residuo superiore a € 50.000,00.

In tale contesto, le sanzioni e la soglia base di punibilità restano, invece, immutate, così come risulta immutata la condotta e, per quanto qui rileva, l’omissione di versamento delle “ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti”, mentre a cambiare è il momento consumativo del reato, slittato ora al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, a fronte della precedente versione che prendeva in considerazione il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta. Se tale slittamento della rilevanza penale del fatto è coerente con la finalità di rendere effettivi i presupposti per l’avverarsi delle condizioni di non punibilità, e in particolare per l’accesso alla rateizzazione del debito relativo all’imposta evasa, non di meno, sul piano della successione delle leggi penali, comporta un allungamento dei termini di prescrizione del reato a sfavore dell’imputato (che non abbia in corso di estinzione dell’obbligazione tributaria per fatti pregressi alla data di entrata in vigore della legge), sicché deve ritenersi la nuova previsione di cui all’art. 10 – bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, norma più sfavorevole, per effetto dello slittamento di un anno per i fatti pregressi rispetto alla sua entrata in vigore.

La nuova disposizione, invece, sarà applicabile per le condotte di omesso versamento delle ritenute certificate relative all’anno 2023 (non essendo ancora scaduto il termine ante vigente al 31/12/2024) che beneficeranno dello slittamento di un anno, ma per quanto riguarda gli omessi versamenti delle ritenute certificate fino all’anno di imposta 2022, per i quali il termine di rilevanza penale era fissato al 31/12/2023, troverà applicazione la disposizione precedente alla modifica normativa, per individuare la data del commesso reato per coloro, come nel caso in esame, che non hanno in corso alcun piano di pagamento. Sotto altro e rilevante profilo, che viene in rilievo nel caso in esame, deve richiamarsi l’indirizzo interpretativo, già affermato dalla Suprema Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, di cui all’art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente il solo inoltro, in via telematica, all’Agenzia delle entrate della dichiarazione del sostituto d’imposta, non essendo equipollente per ritenere integrato il requisito del “rilascio delle certificazioni ai sostituiti” (Sez. 3, n. 18214 del 07/03/2024, Rv. 286284 – 01; Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743 – 01), rilascio che costituisce, anche dopo la modifica, l’elemento di discrimine tra il fatto di rilievo penale da quello sanzionato in via amministrativa come ben evidenziato dalla citata sentenza della Corte costituzionale.

Ed allora, in tale ambito, diventa rilevante stabilire quando e come si perfeziona “il rilascio delle certificazioni ai sostituiti” e con quali modalità debba essere dimostrato.

Occorre nuovamente tonare alla fattispecie di cui all’art. 10 – bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che, anche all’esito dell’ultima modifica, è rimasta immutata quanto alla condotta punita di omesso versamento delle “ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti”, e rammentare che in questo ambito, la giurisprudenza aveva da tempo precisato che l’inoltro della dichiarazione del sostituto (il mod. 770) in via telematica non era sufficiente essendo richiesto “il rilascio” della certificazione che attestava le ritenute operate dal datore di lavoro. Poi la sentenza n. 115 del 2022 della Corte costituzionale ha specificato, in motivazione, che “per effetto della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicché da una parte l’integrazione della fattispecie penale dell’art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario”, confermando la necessità che l’omesso versamento delle ritenute certificate assume rilevanza penale solo in presenza di prova del rilascio della relativa certificazione al sostituito.

Ed allora, ribadito che la norma penale richiede ai fini dell’integrazione del reato, il rilascio della certificazione ai sostituiti, la questione si sposta su un diverso piano: ovvero la prova del rilascio, inteso quale “messa a conoscenza” del sostituito delle ritenute operate dal datore di lavoro sulla sua retribuzione, che può avvenire attraverso diverse modalità: dalla consegna materiale a diverse forme di “messa a conoscenza” da parte del datore di lavoro delle ritenute operate sulle retribuzioni, da cui la questione sulla prova del rilascio inteso quale “messa a conoscenza”.

Del resto, la questione della prova del rilascio si era già affacciata in tempi risalenti nella giurisprudenza di legittimità che, componendo un contrasto interpretativo, aveva affermato che la prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro poteva essere raggiunta anche tramite indizi, tra cui assumeva rilievo la presentazione del modello 770, (tra le altre, Sez. 3, n. 6203 del 29/10/2014, Rv. 262365; Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, Rv. 262855; Sez. 3, n. 40526 del 08/04/2014, Rv. 260090), non essendo sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod. 770 (Sez. U, n. 24782 del 22/03/2018, Macerata, Rv. 272801 – 01, che in motivazione aveva, peraltro, ritenuto sufficiente indizio della prova del rilascio in sede cautelare del solo modello 770 e in tempi più recenti vedi Sez. 3, n. 18214 del 07/03/2024, Rv. 286284 – 01).

Tirando le fila del discorso, la norma penale nel punire l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciata ai sostituiti, richiede la prova della messa a disposizione e conoscenza della certificazione al lavoratore e in presenza di diverse modalità in cui questa può avvenire, consegna materiale, inoltro via e-mail, deve ritenersi che tale prova possa essere assolta anche mediante inserimento nel cassetto fiscale di ciascun cittadino agevolmente consultabile dal medesimo sul sito dell’Agenzia delle entrate, i cui contenuti conoscitivi sono stati implementati dall’art. 23 del decreto legislativo 8 gennaio 2024, n. 1, da cui la conclusione che l’inserimento nel cassetto fiscale dei singoli dipendenti può costituire la prova del rilascio della certificazione, certamente idonea ad integrare il fumus commissi delicti.

Quanto al caso in esame, risulta dal provvedimento impugnato che tutte le certificazioni uniche emesse dalla società per ogni singolo lavoratore risultavano inviate all’Agenzia delle entrate e poi trasmesse nel cassetto fiscale dei singoli dipendenti, così giungendo a loro conoscenza.

Risultava, altresì, la perfetta coincidenza tra le certificazioni indicate nel modello inviato all’Agenzia delle entrate e quelle rilasciate ai singoli lavoratori, risulta anche che alcune di queste erano state consegnate a mani ai lavoratori o trasmesse a mezzo e-mail.

Sulla scorta di tali elementi il provvedimento impugnato riteneva dimostrata sia la ritenuta operata dal datore di lavoro che non era stata versata, sia la prova del rilascio della certificazione unica al lavoratore attestante la ritenuta e l’ammontare di queste, sia l’omissione del versamento da parte del datore di lavoro per un importo superiore alla soglia di punibilità e, in definitiva, il fumus del reato.

La decisione impugnata è correttamente argomentata in punto fumus commissi delicti, e la censura che si appunta sulla necessità di consegna materiale per la dimostrazione del rilascio non è fondato.

Allo stesso modo la censura che deduce l’illegittimità della c.d. verifica “a campione” per la determinazione dell’ammontare di imposta evasa e per il superamento della soglia di punibilità risulta, strettamente collegata all’assunto difensivo secondo cui sarebbe necessaria la consegna materiale è, per le ragioni sopra esposte, parimenti infondata.

Si impone il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.