Cassazione penale, Sez. 2, sentenza n. 12497/2025, udienza del 25 marzo 2025, ha ribadito che deve essere inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen. e non in quella di cui all’art. 393 cod. pen. la condotta di chi, anziché denunziare all’autorità il presunto autore di un furto, richieda a quest’ultimo, con violenza o minacce, la restituzione del profitto del reato (cfr., Sez. 2, n. 7964 del 09/01/2024, n. m.; Sez. 2, n. 22952 del 07/04/2022, n. m.; Sez. 2, n. 3516 del 01/12/2022, dep. 2023, n. m.; Sez. 2, n. 9972 del 16/02/2022, n. m.; Sez. 2, n. 23084 del 09/05/2018, Rv. 273433 – 01).
Per la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è necessario che il soggetto agisca per esercitare un proprio diritto – e non la potestà pubblica volta alla individuazione dell’autore di un fatto illecito ed alla repressione dello stesso, che è integralmente attribuita all’autorità di polizia e all’autorità giudiziaria – con la convinzione, non meramente arbitraria, che esso gli possa competere giuridicamente; arbitrarietà che, invece, risulta del tutto evidente in capo a chi ritenga di potere pretendere, con violenza o minaccia, la restituzione del profitto del furto precedentemente commesso ovvero, in alternativa, una somma a titolo di risarcimento da chi soltanto sospetti, in assenza di alcun accertamento in tale senso, di averlo derubato. In altri termini, chi ha subìto un reato non può certo sostituirsi alla pubblica autorità pretendendo di farsi giustizia da sé; anzi, tale condotta denota ancora una maggiore pericolosità del soggetto, che evidentemente si pone completamente al di fuori delle regole dell’ordinamento.
