Intraneità ad un’associazione mafiosa: bastano a dimostrarla l’affectio societatis e il fattivo inserimento (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 13797/2025, udienza del 21 marzo 2025, ha ribadito, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, che la costituzione di un gruppo formalmente nuovo all’interno di un territorio già controllato da cosche mafiose non vale ad escludere la configurabilità del reato, allorché il nuovo sodalizio riproduca struttura e finalità criminali del “clan” storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie (Sez. 2, n. 20926 del 13/05/2020, Rv. 279477).

Deve, poi, ricordarsi che il giudizio di intraneità ad un’associazione mafiosa non presuppone necessariamente, sul piano indiziario, la sussistenza di elementi a conferma di condotte di reato integrate all’interno del programma associativo e, dunque, di specifici atti esecutivi della condotta criminosa programmata. L’illecito addebitato a colui che sia indicato in tesi accusatoria quale associato mafioso non consiste, infatti, nell’aver tenuto uno specifico comportamento, nell’aver mantenuto determinate relazioni personali, nell’avere tenuto azioni riprovevoli, ma richiede, sul terreno soggettivo, la sussistenza della c.d. ‘affectio societatis ‘, ossia la consapevolezza e volontà del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, il «fattivo inserimento» nell’organizzazione criminale, attraverso la ricostruzione – sia pure per indizi – di un «ruolo» svolto dall’agente o comunque di singole condotte che – per la loro particolare capacità dimostrativa – possano essere ritenute quali «indici rivelatori» dell’avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed organizzativa del gruppo, del prendere parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi” (S.U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).

Pertanto, in mancanza di prove direttamente rappresentative dell’ingresso del singolo nella compagine criminosa, le Sezioni unite penali hanno chiarito che la dimostrazione della partecipazione possa essere legittimamente desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza, tratte dalla realtà già riscontrata e dalle modalità di funzionamento dello specifico fenomeno criminoso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza quale stabile inserimento dell’associato nella configurazione organizzativa del sodalizio. Tale indirizzo giurisprudenziale è stato confermato da altre sentenze, con le quali è stato ribadito che il giudizio di intraneità ben può riposare su significativi “facta concludentia” in grado di dimostrare, fuori da automatismi probatori, il fatto del vincolo associativo che lega il partecipe alla compagine, l’adesione al “pactum sceleris”, la volontà individuale di appartenenza e quella del gruppo di annoverare e riconoscere il singolo tra i suoi esponenti. (Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Rv. 269040).