Il caso
Il presidente di una società cooperativa, ravvisando che la compagine sociale rappresentata fosse persona offesa e danneggiata dai reati previsti dagli artt. 388, 640 e 646 c.p., il 24 aprile 2019 sporgeva querela presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Latina che, con provvedimento del 29.11.2019, trasmetteva il fascicolo per competenza alla Procura di Roma.
Ne conseguiva l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di tre soggetti per il reato previsto e punito dall’art. 388 c.p.
Dopo due anni dalla denuncia-querela, il 10 maggio 2021 il PM di Roma emetteva l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p. a carico dei tre indagati ascrivendogli l’elusione fraudolenta, in concorso, dei provvedimenti dell’A.G. indicati dalla persona offesa nella notitia criminis ex artt. 388 e 110 c.p.
Stante il decorso del tempo, il 16 settembre 2024 (oltre 3 anni dopo l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari) dopo l’ennesima attestazione ex art. 335 c.p.p. che indicava “Emesso avviso ex art. 415 bis c.p.p. il 10/05/2021” la persona offesa tramite il proprio difensore presentava alla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma una formale richiesta di avocazione per “inerzia” del PM.
Il procedimento di avocazione veniva archiviato il 5 dicembre 2024.
La richiesta di avocazione
Segnatamente l’istanza si basava sulla considerazione che il procedimento penale è sorto a seguito di notizia di reato dell’anno 2019 e che “nonostante risulti emesso avviso ex art. 415 bis c.p.p. in data 10.05.2021”, il pubblico ministero non si fosse ancora determinato né nel senso dell’esercizio dell’azione penale né nel formulare richiesta di archiviazione. A sostegno della richiesta di avocazione veniva indicato che “L’inerzia in parola è tale da arrecare un notevole pregiudizio” in quanto “l’iscrizione nel registro notizie di reato è avvenuta per i reati p. e p. ex artt. 388, 110 c.p. “commesso in data 11.4.2019” e che la dolosa inottemperanza del provvedimento dell’A.G. fosse ancora perdurante.
La decisione della Procura Generale
Con provvedimento del 5.12.2024 la Procura generale ha archiviato la richiesta di avocazione con la seguente motivazione “..ritenuto che nella procedura di “accantonamento”, in ossequio ai provvedimenti dei Presidenti del Tribunale che si sono succeduti nel corso di questi ultimi anni, non sia riscontrabile nessuna inerzia tale da imporre il provvedimento di avocazione, in quanto il Procuratore di Roma ha rappresentato che è in corso attualmente la procedura di notifica dell’avviso 415 bis c.p.p. “previa scansione degli atti del procedimento”.
La questione dell’accantonamento e dei criteri di priorità
Il cosiddetto “accantonamento” consiste nella trattazione postergata di una notizia di reato non considerata prioritaria.
“I criteri di priorità rappresentano un esempio concreto di problem solving giudiziario. Infatti, essi sono stati originariamente ideati e attuati dagli uffici giudiziari quale soluzione concreta all’annoso contrasto tra la mole degli affari penali, da un lato, e le risorse disponibili, intese in termini di capitale umano giudiziario e amministrativo, dall’altro: contrasto che rischiava di lasciare senza una risposta di giustizia fatti criminosi dotati di particolare offensività e caratterizzati da elevata rilevanza sociale, se si fosse seguito pedissequamente il criterio di ordine temporale nella trattazione degli affari penali” (LucaForteleoni, Criteri di priorità degli uffici di procura, in magistraturaindipendente.it, 8 aprile 2019).
Con la “Riforma Cartabia” è stato introdotto il sistema dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale; segnatamente, tali criteri di dovranno essere individuati dagli uffici del pubblico nell’ambito di criteri più generali stabiliti dal Parlamento con legge. Pertanto, possono ritenersi superate le prassi introdotte a partire dagli anni Novanta da singole procure, e avallate dal C.S.M., di stabilire in autonomia criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale.
L’art. 127 bis disp. att. cod. proc. pen
La decisione in commento riguarda la tematica della correlazione tra i c.d. “criteri di priorità” e l’istituto dell’avocazione per inerzia del pubblico ministero di cui all’art. 412 c.p.p.
Tale rapporto è disciplinato dall’art. 127 bis disp. att. c.p.p., a norma del quale “1. Nel disporre l’avocazione delle notizie di reato nei casi previsti dagli articoli 412 e 421 bis, comma 2, del codice, il procuratore generale presso la corte di appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato.” [Disposizione inserita dal D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. “Riforma Cartabia”].
La disposizione è in linea con l’art. 3-bis disp. att. c.p.p. che così prevede: “1. Nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio”.
La posizione della parte civile all’esito della postergazione della trattazione della notizia di reato
Il provvedimento, in linea con l’attuale art. 127 bis disp. att., fa scaturire una riflessione di carattere generale sulla posizione della persona offesa che si risulta (forse irragionevolmente) differenziata in base alla fattispecie di reato che la coinvolge. Tutto ciò suscita degli interrogativi alla stregua del principio di uguaglianza costituzionalmente previsto atteso che “formalmente” l’art. 112 Cost. risulta osservato perché i criteri di priorità non escludono l’esercizio dell’azione penale, neanche lo limitano o lo rendono facoltativo bensì lo posticipano.
Tuttavia, la postergazione della trattazione della notizia di reato può condurre ad ipotesi di giustizia negata perché entra in gioco l’istituto della prescrizione ed ancor prima, la preclusione di certe attività investigative per il decorso del tempo (si pensi, ad esempio, all’indisponibilità dei tabulati telefonici dopo 24 mesi).
La questione sembra meritevole di apprezzamento nella sede di Corte europea dei diritti dell’uomo la quale ha violato l’articolo 6 della Convenzione quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano stati dovuti a circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie procedenti, e in special modo nell’ipotesi di ritardi procedurali eccessivi comportanti la prescrizione del reato [ Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 18 marzo 2021 (ricorso n. 24340/07)].
