Come far annullare in cassazione un processo per omicidio colposo sul luogo di lavoro.
La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 8298/2025 ha stabilito che in tema di mezzi di ricerca della prova, l’ispezione locale, in quanto volta ad accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato, diversamente dall’attività di osservazione descrittiva dello stato dei luoghi, obbliga l’organo di polizia che ne cura l’esecuzione, anche se per effetto di delega del pubblico ministero, al rispetto delle garanzie previste, a pena di nullità assoluta, dall’art. 364 cod. proc. pen..
Da tale statuizione in concreto è derivato l’annullamento di un procedimento iniziato nel 2014 con le conseguenze facilmente immaginabili in tema di prescrizione del reato.
Nel caso in esame, la difesa degli imputati ha dedotto la nullità – con conseguente inutilizzabilità – del verbale di accertamenti urgenti compiuti il 20/02/2014 da personale in servizio presso la ASL di Pavia nonché delle dichiarazioni testimoniali riguardanti il relativo atto, in quanto assunto in violazione delle garanzie difensive previste dagli artt. 370, 364 e 369 cod.proc.pen., ovvero – in caso di qualificazione dell’atto come urgente – degli artt. 354, 356 e 114, disp.att., cod.proc.pen..
Le argomentazioni sono complessivamente fondate, con particolare riferimento a quelle esposte nel primo motivo.
Va premesso che l’atto in questione è stato adottato previa emissione di una delega di indagine ai sensi dell’art.370 cod.proc.pen., con la quale il p.m. procedente aveva disposto il compimento di “ogni accertamento necessario ed opportuno al fine di individuare il luogo e le modalità del trauma che ha portato al decesso di T.L.”, con richiesta di assunzione contestuale di informazioni da parte della moglie della vittima, del C. e del R., con richiesta di procedere al rilievo fotografico del luogo (premessa sulla base della quale risultano quindi assorbiti i riferimenti alle disposizioni contenute negli artt. 354, 356 e 114, disp.att., cod.proc.pen., specificamente attinenti all’attività compiuta su iniziativa della polizia giudiziaria).
Si verte, pertanto, nell’ambito di indagini disposte dal p.m. sulla base del generale disposto dell’art.358 cod.proc.pen. e in riferimento alle quali, pure in presenza della delega conferita alla p.g. e stante l’espressa previsione dell’art.370, comma 2, cod.proc.pen., l’autorità delegata era tenuta al rispetto delle garanzie difensive previste dall’art.364 cod.proc.pen. in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri.
A tale proposito – in riferimento all’affermazione della Corte di appello in base alla quale si verterebbe in una mera attività di polizia amministrativa – deve ritenersi che quella delegata alla p.g., comportando (tra l’altro) l’ingresso nell’altrui proprietà, debba essere qualificata a tutti gli effetti nell’ambito dell’attività ispettiva, in base al disposto generale dell’art.244 cod.proc.pen., il quale stabilisce che l’ispezione “delle persone, dei luoghi e delle cose” è disposta “quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato”; nonché alla luce dell’art.246 cod.proc.pen., il quale, in caso di ispezione locale, prevede la consegna del relativo provvedimento al soggetto che abbia la disponibilità del luogo.
Sul punto, pure in relazione ad altra argomentazione spesa dalla Corte territoriale, va infatti ritenuto che non sia assimilabile all’attività ispettiva il solo mero svolgimento da parte della polizia giudiziaria di una attività di osservazione descrittiva dello stato dei luoghi, eventualmente documentata con rilievi fotografici (Sez. 3, n. 31640 del 31/05/2019, Manna, Rv. 276680); situazione non ravvisabile nel caso di specie, nella quale l’atto di indagine delegato aveva ad oggetto l’accesso presso l’altrui proprietà proprio al fine di reperire tracce ed effetti materiali del reato.
Pertanto, in conseguenza del concreto tenore dell’attività svolta dall’autorità delegata, i ricorrenti hanno lamentato la violazione delle garanzie difensive previste in materia di ispezioni dal citato art.364; ai sensi del quale l’esecuzione dell’attività deve essere preceduta dall’invito rivolto all’indagato – che debba partecipare all’esecuzione dell’atto – a presentarsi (comma primo) e dall’avviso all’indagato stesso della presenza di un difensore d’ufficio, salva la facoltà di nominarne uno di fiducia (comma secondo), il quale ha “in ogni caso” il diritto di assistere al compimento dell’atto (comma quarto), fatti salvi i soli casi di necessità e urgenza nei quali, ai sensi del comma quinto, l’autorità può precedere al compimento dell’atto anche in assenza del difensore.
Si verte nell’ambito di garanzie difensive la cui violazione non dà luogo a un’ipotesi di nullità assoluta ai sensi dell’art.179 cod.proc.pen., trattandosi di atti in relazione ai quali la presenza del difensore non è prevista come obbligatoria, essendo necessario il solo avviso, determinandosi conseguente una nullità a regime intermedio (cfr. Sez. 1, n.7255 del 02/12/2005 n. 7255, Murinu, RV. 234048; Sez. 6, n. 13523 del 22/10/2008, dep. 2009, De Lucia, Rv. 243829); rilevandosi, sotto tale profilo, che – sulla base dell’esame degli atti del processo – la relativa eccezione è stata sollevata dalla difesa già di fronte al giudice di primo grado e poi riproposta in sede di motivo di appello.
Deve quindi ritenersi che, in riferimento al dedotto profilo di patologia processuale inerente al rispetto delle garanzie difensive previste dall’art.364 cod.proc.pen., sussista il lamentato vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione.
Difatti, come detto, la Corte ha speso argomentazioni – inerenti alla qualificazione dell’atto delegato come rapportabile a un’attività di polizia amministrativa e alla non qualificabilità dello stesso nel genus dell’ispezione – da ritenersi contrarie rispetto al disposto degli artt.244 e ss., cod . proc. pen..
Ma, d’altra parte, la motivazione deve ritenersi omissiva in relazione all’affermazione inerente alla non applicabilità dell’art.364 cod.proc.pen., giustificata per non avere ancora assunto gli odierni ricorrenti, al momento dell’espletamento dell’atto, la veste formale di indagati (motivazione posta alla base anche del rigetto della relativa eccezione da parte del giudice di primo grado).
A tale proposito, in tema di rispetto delle suddette garanzie difensive, non può assumersi quale punto di riferimento il solo dato formale rappresentato dall’omessa iscrizione del nominativo del destinatario dell’atto nel registro degli indagati.
Difatti, appare utilmente richiamabile la giurisprudenza consolidata e in forza della quale – nell’ambito specifico degli accertamenti tecnici non ripetibili disciplinati dall’art.360 cod.proc.pen. – l’avviso relativo all’espletamento, con la conseguente assicurazione dei diritti di assistenza difensiva, deve essere dato anche alla persona che, pur non iscritta nel registro degli indagati, risulti nello stesso momento raggiunta da indizi di reità quale autore del reato oggetto delle indagini (Sez. 5, n. 5581 del 08/10/2014, dep. 2015, Ciodaro, Rv. 264216; Sez. 2, n. 34745 del 26/04/2018, Tassone, Rv. 273543); con argomentazioni che appaiono logicamente estensibili a tutte le ipotesi dello svolgimento di atti di indagine comportanti il necessario rispetto di garanzie difensive.
Nel caso di specie – sulla base di un elemento fattuale specificamente sottolineato nel motivo di ricorso – la predetta delega conferita dal pubblico ministero faceva esplicito riferimento alla denuncia-querela presentata da C.A., moglie della persona offesa, la quale aveva formulato un’espressa istanza di punizione nei confronti degli odierni imputati, a seguito di una specifica ricostruzione di fatto delle circostanze in cui aveva trovato la morte la vittima.
Per l’effetto, nell’operare un mero riferimento alla mancanza in capo ai ricorrenti della qualità di indagati al momento del fatto, la motivazione della Corte territoriale deve ritenersi omissiva e non adeguatamente raffrontata con i suddetti principi.
Deve quindi ritenersi che sussista un complessivo vizio di violazione di legge nonché una lacuna motivazionale in ordine allo specifico punto di doglianza con la quale i ricorrenti avevano replicato l’eccezione di nullità riferito all’atto di ispezione e alle relative istanze istruttorie.
Per l’effetto, con assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano; la quale dovrà valutare nuovamente la fondatezza dell’eccezione di nullità dei suddetti risultati probatori alla luce dei principi suddetti e quindi – in riferimento alla soluzione adottata – prendere comunque in esame le ulteriori risultanze dell’istruttoria espletata nel primo grado di giudizio.
