
Consiglio di Stato, Sez. 3^ giurisdizionale, sentenza n. 3169/2025, udienza del 10 aprile 2025, pubblicata il 14 aprile 2025 (allegata in versione anonimizzata alla fine del post), ha avuto ad oggetto un ricorso in appello avverso la decisione del TAR Piemonte che aveva confermato il diniego dell’iscrizione nella white list della ricorrente nonché l’informazione interdittiva antimafia e i successi provvedimenti emessi nei confronti di quest’ultima.
Il collegio decidente ha ricostruito preliminarmente le coordinate che guidano l’esercizio del sindacato di legittimità nella materia disciplinata dal d.lgs. n. 159/2011 (Codice antimafia), riconoscendosi senza riserve nella costante giurisprudenza della terza sezione.
Ha ribadito, pertanto, ognuno degli indirizzi interpretativi che seguono:
- “gli elementi posti a base dell’informativa antimafia (ed anche della revoca o al diniego dell’iscrizione nelle white list), non devono essere letti ed interpretati in una visione atomistica e parcellizzata, ma nel loro insieme, così da avere un quadro complessivo, da cui si possano inferire dati di un possibile condizionamento della libera attività concorrenziale”;
- sono autonome “la sfera dell’indagine penale e quella del procedimento amministrativo che conduca ad un provvedimento interdittivo, considerata la funzione di misura preventiva e non inquisitoria del secondo”, che “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa”;
- “Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori”;
- “Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi”;
- “il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, “non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»”;
- “la funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini”, sicché “solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi”.
Nelle successive parti della motivazione, il collegio si è soffermato sulle caratteristiche del contraddittorio procedimentale cui fare ricorso allorché il Prefetto competente debba valutare l’adozione dell’informazione interdittiva antimafia o l’applicazione delle misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale disciplinate dall’art. 94-bis Codice Antimafia.
Ha ricordato in proposito il disposto dell’art. 92, comma 2-bis, stesso Codice, per poi osservare che “La natura dell’istituto così disciplinato, che per certi aspetti mutua la propria ratio dall’articolo 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241 concernente la comunicazione di avvio del procedimento e applicabile in via generale a qualsiasi provvedimento amministrativo, è stata ben inquadrata dalla giurisprudenza della Sezione, secondo cui, anche con riguardo all’inapplicabilità dell’articolo 21-octies, comma 2, “l’avviso ex art. 92 comma 2 bis d.lgs. n. 159 del 2011 non è una comunicazione di avvio del procedimento, poiché esso impone al Prefetto l’obbligo del necessario confronto con il potenziale destinatario della informazione interdittiva solo dopo che il procedimento preordinato all’adozione del provvedimento finale sia stato avviato e, in massima parte, istruito (“sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2”) e prima che sia destinato a sfociare in uno dei possibili esiti alternativamente previsti (informazione di tipo interdittivo o misure di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94 bis)”.
Ha osservato ulteriormente che “La partecipazione procedimentale non ha valore assoluto e inderogabile e può essere omessa, laddove sussistano “particolari esigenze di celerità del procedimento”.
Sulla base delle considerazioni di merito contenute nella sentenza, infine, il collegio ha rigettato l’appello e confermato la pronuncia del primo giudice.

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