Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 14175/2025, udienza dell’1° aprile 2025, rispondendo al quesito posto dal Tribunale di Busto Arsizio con rinvio pregiudiziale per l’individuazione del giudice competente territorialmente, ha affermato che icriteri di cui all’art. 10 cod. proc. pen. per determinare la competenza territoriale nel caso di reato commesso all’estero, possono essere utilizzati solo nel caso di unico reato commesso all’estero da una pluralità di imputati ovvero di più reati tutti commessi all’estero. Ove sussista invece connessione tra reati commessi nel territorio dello Stato e reati commessi all’estero, in osservanza del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, la competenza va determinata in relazione al luogo del commesso reato, avendo riferimento ex art. 16 cod. proc. pen. al più grave dei reati connessi che sia stato realizzato nel territorio dello Stato e, qualora tale luogo non sia determinabile, in base allo stesso criterio riferito al reato immediatamente meno grave.
Provvedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio
Con ordinanza ex art. 24-bis cod. proc. pen., il Tribunale di Busto Arsizio, dopo avere rigettato le eccezioni difensive concernenti: a) il difetto di giurisdizione italiana in relazione ai reati di cui ai capi da 73 a 78 della rubrica delle imputazioni; b) la competenza funzionale dello European Public Prosecutor’s Office (EPPO), rimetteva alla Suprema Corte la questione concernente la competenza per territorio riproposta – dopo che il GIP con ordinanza del 17 febbraio 2023 aveva ritenuto la competenza del Tribunale di Roma ed il GUP con ordinanza del 17 maggio 2024 aveva, invece, ritenuto la competenza del Tribunale di Busto Arsizio – ai sensi dell’articolo 21, comma 2, cod. proc. pen. all’udienza del 21 novembre 2024 dalle difese degli imputati.
In fatto
Al fine di compiutamente ricostruire i termini della questione sottoposta alla Corte è, innanzitutto, doveroso ripercorrere i termini dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale emessa dal Tribunale riportando testualmente il contenuto della stessa nella parte in cui è stata affermata la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra tutti i reati di cui alla rubrica delle imputazioni: «Deve preliminarmente osservarsi che tutti i reati contestati risultano tra loro connessi ex art. 12 co. 1 lett. a), b) e/o c) cod. proc. pen. Deve osservarsi che risultano connessi ex art. 12 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. i reati in cui risultano contestate condotte attuate attraverso la O. SCARL e, quindi, i reati ascritti agli imputati IP (legale rappresentante della società) e ai concorrenti nei medesimi reati LB (figlia e stretta collaboratrice della predetta nell’ambito della società) e CG (genero e stretto collaboratore della predetta nell’ambito della società): in particolare, l’unitario disegno criminoso sotteso a tutti tali reati sarebbe stato costituito nella vendita da parte della O. SCARL di mascherine non commerciabili, in quanto aventi qualità diverse da quelle pattuite, a società private (capi da 1 a 59 compresi, nonché 93, riguardanti il reato di cui all’art. 515 cod. pen.) e a enti pubblici (capi da 60 a 68, reati di cui agli artt. 355, 356, 646 cod. pen.), nonché il reato di falso di cui all’art. 483 cod. pen. contestato al capo 69, funzionale alla realizzazione dei precedenti capi di imputazione. Detti reati risultano connessi anche ex art. 12 co. 1, lett. a), cod. proc. pen., in quanto contestati in concorso o tra IP, LB e CG o tra IP e LB o tra IP e CG. Oltre a tali condotte, vengono contestati al legale rappresentante della O. SCARL, IP, condotte di trasferimento del profitto dei reati precedentemente richiamati (capi di imputazione da 70 a 72, reati di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., e anche 83, trattandosi quest’ultimo di reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. in forma tentata commesso con denaro della O. SCARL di provenienza illecita). Al medesimo fine di profitto perseguito tramite la O. SCARL devono ricondursi anche i reati fiscali, di violazione delle norme doganali e IVA (capi 82, 84 e 85, artt. 2 d.lgs. 74/2000, 292 e 295 d.p.r. 43/73, nonché 70 d.p.r. 633/72), nonché quelli fallimentari e contabili commessi ai danni del patrimonio della fallita O. SCARL. (capi 86, 87, 88, 89, 90, 91). Anche tali reati, tutti ascritti esclusivamente a IP, sono avvinti tra loro e con i reati di cui ai capi da 1 a 69 già richiamati, ex art. 12 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. essendo all’evidenza stati commessi utilizzando illecitamente la O. SCARL come strumento per acquisire facili profitti. A tali reati devono ritenersi connessi – questa volta ai sensi dell’art. 12, co. 1, lett. c) cod. proc. pen. – anche i reati contestati esclusivamente agli altri imputati per le ragioni che seguono. I reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen. (capi da 73 a 78 compresi) riguardano il successivo trasferimento di somme di denaro ricevuto dalla O. SCARL, costituenti il profitto dei reati contestati nei capi precedenti, con finalità di occultamento o reimpiego. Analogo rapporto di connessione di cui all’art. 12 co. 1 lett. c) cod. proc. pen. si ravvisa, quanto ai capi di imputazione 79, 80, 81 e 92 in cui è contestata la violazione dell’art. 8 d.lgs. 74/2000 con riferimento all’emissione di fatture false destinate a garantire un vantaggio fiscale alla O. SCARL. Si tratta quindi di condotte commesse per eseguire il reato di cui all’art. 2 d. lgs. 74/2000 di cui al capo 82. In conclusione, tra tutti i reati è pacificamente ravvisabile la connessione, circostanza non contestata dalle stesse difese».
Dopo avere affermato quanto sopra, il Tribunale nell’ordinanza di rimessione ha rilevato come, alla luce di contrasti giurisprudenziali in materia (che saranno approfonditi nel prosieguo nella parte decisionale della presente sentenza), la determinazione della competenza per territorio in presenza di reati integralmente consumati all’estero (capi 73, 74, 75, 76 e 77 della rubrica delle imputazioni), di un reato contestato come consumato in parte all’estero e parte in Italia (capo 78) e di reati commessi sul territorio nazionale (tutti gli altri indicati nella rubrica delle imputazioni) richiede in via prioritaria la definizione del rapporto tra l’art. 10 e l’art. 16 del codice di rito penale, oltre che in relazione all’applicazione dei possibili criteri suppletivi di cui agli artt. 8 e 9 del medesimo codice.
In particolare, ha osservato il Tribunale che, a seconda del filone giurisprudenziale che si intende seguire, si potrebbero prospettare soluzioni diverse, in particolare: A) qualora si volesse seguire l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i criteri dettati dall’art. 16 cod. proc. pen. sono di stretta e tassativa interpretazione, con la conseguenza che prevarrebbero i criteri indicati nel disposto dell’art. 10 cod. proc. pen., ciò comporterebbe che, una volta individuato quale primo tra i reati più gravi quello di cui al capo 73, la competenza dovrebbe radicarsi in virtù dell’art. 10, comma 2, cod. proc. pen. (non essendo applicabile l’art. 10, comma 1, cod. proc. pen., tenuto conto della pluralità dei correi residenti in luoghi diversi, considerato che LM risiede a V., nel circondario del Tribunale di Milano, e AB risiede a Budapest, ma è domiciliato a B.A.) presso il Tribunale di Busto Arsizio, luogo nel quale ha sede l’ufficio del PM che per primo ha iscritto la notizia di reato; B) qualora si volesse seguire il diverso filone giurisprudenziale secondo il quale vi sarebbe la necessità di applicare, in luogo dei criteri di cui all’art. 10, commi 1 e 2, cod. proc. pen., i criteri di cui agli artt. 8 e 9, comma 1, cod. proc. pen. – eventualmente per effetto dell’art. 10, comma 3, cod. proc. pen. – in relazione al reato gradatamente meno grave commesso anche in parte in Italia, si aprirebbe una ulteriore problematica non essendo pacifica l’individuazione di detto reato, potendo esso coincidere con quello di cui al capo 78 (unico reato, tra quelli più gravi, indicato come commesso parzialmente in Italia) ovvero quello di cui al capo 70 (reato gradatamente meno grave commesso integralmente in Italia). Ciò in quanto nel capo 78 si contesta il reato di riciclaggio realizzato attraverso il trasferimento di denaro da un conto corrente rumeno a un conto corrente italiano acceso presso Banco BPM di Milano con la conseguenza che occorre pertanto stabilire se a Milano sia avvenuta parte della condotta – come formalmente contestato – ovvero se la condotta si sia in ogni sua parte realizzata in Romania e a Milano si sia verificato un mero effetto della stessa, irrilevante ai fini della determinazione della competenza. L’adesione all’una od all’altra valutazione nel caso appena menzionato potrebbe portare a sua volta a soluzioni alternative in quanto: – ritenendosi che la ricezione della somma sul c/c milanese integri parte della condotta di riciclaggio, l’applicazione dell’art. 10, comma 3, che rinvia all’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., comporterebbe l’individuazione della competenza in capo al Tribunale di Milano (non essendo pacificamente applicabile alcuno dei criteri di cui all’art. 8 cod. proc. pen.); – qualora, invece, si ritenga che la ricezione della somma sul conto corrente di Milano non integri parte della condotta di riciclaggio, la quale si esaurisce, producendo integralmente l’effetto dissimulatorio, nel luogo e nel momento in cui viene disposto il trasferimento del denaro, quindi in Romania, tenuto conto delle modalità di contestazione del reato, che dovrebbe ritenersi a consumazione istantanea, il reato di cui al capo 78 sarebbe stato commesso esclusivamente in Romania, con la conseguenza che, al fine di individuare la competenza territoriale, dovrebbero prendersi in considerazione i reati gradatamente meno gravi, fino a individuare un reato commesso in Italia; così ragionando, si perverrebbe alla individuazione come primo tra i reati più gravi commessi in Italia quello di cui al capo 70 (art. 648-ter cod. pen.), commesso a Roma, con conseguente determinazione della competenza presso il Tribunale di Roma.
Alla luce delle problematiche esposte il Tribunale di Busto Arsizio, ritenendo la questione rilevante ai fini della prosecuzione del processo ha rimesso la decisione ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen. alla Corte di cassazione.
Decisione della Corte di cassazione
…Delimitazione dell’ambito decisionale della Corte
Prima di procedere alla valutazione delle questioni di cui all’ordinanza di rimessione, occorre, innanzitutto, delimitare l’ambito decisionale entro il quale può muoversi la Corte di legittimità.
Deve, innanzitutto, essere ricordato che nella previsione normativa, come introdotta dall’intervento riformatore operato con il d.lgs. 150/2022, è l’ordinanza del giudice remittente che viene ad assumere una funzione centrale del giudizio incidentale destinato a svolgersi dinanzi la Corte di cassazione e ciò pur se sollecitato dalle parti; tale ricostruzione risulta evidente solo che si abbia riguardo al contenuto del secondo comma dell’art. 24 bis cod. proc. pen. secondo cui: «Il giudice, nei casi di cui al comma 1, pronuncia ordinanza con la quale rimette alla Corte di cassazione gli atti necessari alla risoluzione della questione, con l’indicazione delle parti e dei difensori».
…Centralità dell’ordinanza di rimessione alla Corte
Appare pertanto evidente che, seppur negli ambiti frutto delle sollecitazioni delle parti in sede di eccezioni di incompetenza per territorio, un ruolo centrale per il successivo giudizio della Corte di legittimità è assunto dall’ordinanza del giudice remittente che “inquadra” la questione rimessa e ne stabilisce gli esatti termini, invitando il giudice di legittimità ad esprimersi sulla determinazione del giudice competente per territorio, stabilendo così un principio che assicuri il corretto svolgimento del processo, senza il rischio che l’accoglimento della questione nelle fasi dell’impugnazioni imponga una nuova celebrazione del giudizio dinanzi ad un giudice di primo grado diverso.
La centralità dell’ordinanza di rimessione nel rinvio pregiudiziale di cui all’art. 24 bis cod. proc. pen., oltre a risultare dal dato normativo, emerge anche dalle prime interpretazioni giurisprudenziali sul tema; si è così dapprima negato che l’ordinanza possa avere funzione e contenuto meramente esplorativo affermandosi (Sez. 2, n. 28561 del 23/06/2023, n.m. allo stato) che è inammissibile per difetto di autosufficienza la questione rimessa ex art. 24-bis cod. proc. pen. dal giudice di merito senza che sia stata effettuata una specifica delibazione della stessa, rimettendo alla Corte di legittimità la questione della competenza, limitandosi ad indicare la posizione adesiva del pubblico ministero sul punto.
…Requisiti minimi dell’ordinanza di rimessione
Inoltre, si è successivamente aggiunto (Sez. 2, n. 2034 del 19/12/2023, dep. 2024, rinvio pregiudiziale Trib. Milano non massimata) che l’ordinanza di cui all’art. 24-bis cod. proc. pen. integra i requisiti minimi necessari per la valida proposizione del rimedio allorquando la stessa articoli una dettagliata disamina delle questioni in fatto e in diritto prospettate concernenti l’incompetenza per territorio, tenti una loro composizione ed illustri compiutamente il percorso argomentativo in concreto effettuato, indicando le ragioni che non hanno consentito di risolvere la questione secondo gli ordinari strumenti processuali, assumendo conseguentemente una motivata determinazione; ancora sul punto va richiamata quella analoga statuizione (Sez. 2, n. 51715 del 23/11/2023, rinvio pregiudiziale Trib. Reggio Calabria, non massimata) secondo cui in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio ex art. 24-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 4, comma I, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice investito della questione non può limitarsi a prendere atto delle sollevate eccezioni sulla competenza e della “complessità della fattispecie” ma deve esporre le questioni sollevate dalle parti, analizzarle e compiere una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza, spiegando le ragioni dell’impossibilità di risolverla con gli ordinari strumenti. Il giudice, investito della questione o che intenda rilevarla ex officio è tenuto, quindi, ai fini dell’ammissibilità del rinvio, a motivare la propria determinazione, analizzando la questione e compiendo una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza della stessa qualora ritenga di essere competente, operando una motivata selezione degli atti necessari alla risoluzione della questione da trasmettere alla Corte di cassazione, non essendo sufficiente l’affermazione della semplice opportunità di disporre il rinvio pregiudiziale in ragione della complessità del procedimento.
…Ammissibilità della questione posta dal Tribunale rimettente
L’applicazione del sopra esposto principio al caso in esame comporta, innanzi tutto, la possibilità di affermare l’ammissibilità della questione proposta dal Tribunale di Busto Arsizio posto che detto giudice, con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del giorno 19 dicembre 2024, ha proceduto preliminarmente ad un’analisi specifica di ciascuna delle eccezioni proposte dalla difesa degli imputati, pervenendo alla soluzione della non manifesta infondatezza delle stesse sotto diversi parametri tutti adeguatamente esposti.
Imposto al giudice remittente l’obbligo di delineare esattamente la questione controversa attraverso una dettagliata disamina delle questioni in fatto e in diritto, ne discende che il provvedimento di rimessione, in quanto idoneo a superare il preventivo vaglio di ammissibilità, viene ad acquistare una funzione di preciso inquadramento della questione rimessa e dei punti controversi della stessa, alla luce delle eccezioni già formulate; gli argomenti esposti nell’ordinanza di rimessione costituiscono, quindi, i limiti del successivo giudizio della Corte di legittimità chiamata a pronunciarsi ex art. 24-bis cod. proc. pen., come reso chiaro anche da un’altra recente pronuncia secondo cui in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio ex art. 24-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 4, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice investito della questione o che intenda rilevarla “ex officio” è tenuto, ai fini dell’ammissibilità del rinvio, a motivare la propria determinazione, individuando tutti gli elementi concreti che rilevano ai fini della individuazione della competenza, non potendo devolversi al giudice di legittimità questioni che attengono alla ricostruzione di fatti, anche processuali, i quali esulano dalla sua cognizione. (Sez. 6, ordinanza n. 31809 del 10/05/2023, Rv. 285089 — 01).
…Inammissibilità dei profili di incompetenza differenti da quelli posti dinanzi al GUP o al giudice dibattimentale
Tale essendo l’oggetto della valutazione del giudice di legittimità deve essere escluso che in sede di trattazione del rinvio pregiudiziale dinanzi la Corte di cassazione ex art. 24-bis cit. le parti possano formulare profili di incompetenza differenti rispetto a quelli sollevati dinanzi al GUP ovvero dinanzi al giudice del dibattimento e che risultano avere formato oggetto dell’ordinanza di rimessione della questione; il vaglio preventivo introdotto con l’art. 24 bis cod. proc. pen. mira, infatti, a stabilire la competenza in una fase ancora preliminare l’instaurazione del dibattimento, a fronte delle prospettazioni delle parti valutate come non palesemente fondate od infondate dal giudice che procede ed esclude, quindi, che ulteriori e differenti profili possano essere sollevati dinanzi al giudice di legittimità chiamato a pronunciarsi esclusivamente sulle questioni dedotte con l’ordinanza e non anche con le successive ed eventuali prospettazioni dedotte con memorie delle parti o con argomenti esposti nella fase della discussione.
L’applicazione del sopra esposto principio al caso in esame comporta affermare l’inammissibilità dei successivi argomenti introdotti dalle parti, pure esposti nell’udienza di trattazione ex art. 127 cod. proc. pen. dinanzi alla Corte di legittimità, laddove due dei difensori hanno eccepito (seppure in via subordinata) l’incompetenza del Tribunale di Busto Arsizio in favore dell’autorità giudiziaria di Savona in quanto trattasi di questione che non risulta prospettata dal Tribunale nell’ordinanza di rimessione, ove vengono prese in considerazione solo le eccezioni dell’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Busto Arsizio rispetto alle autorità di Milano o di Roma.
Lo stesso art. 24-bis, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte già esaminata stabilisce poi che è il giudice che dispone il rinvio a trasmettere gli atti che ritiene utili ai fini della decisione, indicati come necessari alla risoluzione della questione; anche sotto tale profilo, pertanto, l’ordinanza del giudice remittente e gli adempimenti successivi ad essa connessi assumono un preciso effetto delimitativo l’oggetto della valutazione della Corte di cassazione. L’espressa indicazione dell’onere incombente sul giudice remittente di trasmissione di una selezione di atti del procedimento vale a “fissare” la materia oggetto della successiva valutazione da parte della Corte di cassazione escludendo la possibilità di indiscriminati richiami o di produzioni di atti e documenti “nuovi” in sede di discussione del rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di cassazione ex art. 24-bis cod. proc. pen. Del resto non avendo la Corte di cassazione cognizione dell’intero fascicolo processuale, né potendosi ammettere una indiscriminata trasmissione di atti e documenti, l’onere di selezione imposto dalla disciplina dettata dall’art. 24-bis sul giudice remittente limita il materiale valutabile, fermo rimanendo che le parti in sede di eccezione di incompetenza dinanzi al giudice a quo possono certamente fare riferimento ad atti, i quali poi, sulla base della valutazione discrezionale del giudice remittente potranno essere trasmessi, unitamente al provvedimento di rimessione, al giudice. di legittimità chiamato a dare risposta al rinvio pregiudiziale.
…Inammissibilità dei richiami ad atti non trasmessi alla Corte
Tale essendo la conclusione cui si è pervenuti in forza dell’interpretazione normativa del secondo comma dell’art. 24 bis cod. proc. pen. e dei primi interventi giurisprudenziali che hanno preso in considerazione il tema del rinvio pregiudiziale, fissandone esattamente i termini, deve essere esclusa l’ammissibilità e la rilevanza di richiami ad atti non trasmessi alla Corte di legittimità come è il caso delle difese di due imputati che hanno prospettato che l’originaria iscrizione della notitia criminis nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. non sarebbe stata operata dal PM di Busto Arsizio ma da quello presso il Tribunale di Savona.
…La decisione deve essere fondata solo su orientamenti giurisprudenziali consolidati
Escluso quindi che nel corso della trattazione del rinvio pregiudiziale dinanzi la Corte di cassazione possano essere rilevati profili di incompetenza per territorio non esaminati dal giudice remittente ovvero prodotti ed acquisiti atti da questi non trasmessi, va poi ancora escluso che la decisione sulla competenza per territorio assunta ex art. 24-bis cit. abbia parametri di riferimento differenti da quelli già valutati da orientamenti giurisprudenziali consolidati; si fa riferimento al proposito a quanto ribadito anche dalle Sezioni unite penali secondo cui una delle regole essenziali in punto criteri di determinazione della competenza è che la competenza giurisdizionale va attribuita sulla base di ciò che si prospetta e non di ciò che si ritiene, e, quindi, facendo riferimento alle linee fattuali contenute nella originaria notizia di reato, prescindendo da ogni valutazione di merito in ordine alla sua fondatezza o alla effettiva ravvisabilità delle originarie ipotesi di connessione (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223 – 01 in motivazione).
La stessa pronuncia delle Sezioni unite prosegue affermando che la competenza per territorio nell’ipotesi di reati connessi deve determinarsi avuto riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero a meno che la stessa non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili.
Detto orientamento, che attribuisce rilievo essenziale alla contestazione, risulta costante nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità essendosi affermata l’esclusiva rilevanza della o delle imputazioni ai fini di valutare la competenza per territorio ed anche la competenza per connessione (Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Rv. 236997- 01; Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018, Rv. 273484 – 01; Sez. 1, n. 11047 del 24/02/2010, Rv. 246782 – 01).
Tale orientamento deve ribadirsi anche successivamente all’entrata in vigore dell’art. 24-bis cod. proc. pen. che, volendo ancorare alla fase iniziale del procedimento la soluzione di ogni possibile questione sulla competenza per territorio, non ha inteso in alcun modo sovvertire il principio secondo cui la decisione su tale tema va assunta avendo come riferimento l’imputazione formulata dal pubblico ministero, pur prevedendo al comma secondo la possibilità per il giudice remittente di trasmettere gli “atti necessari alla risoluzione della questione”.
…Individuazione dei presupposti di fatto rilevanti per la decisione
Doverosamente premesso quanto sopra, al fine di procedere al compiuto esame della questione relativa alla competenza territoriale sottoposta alla Corte di legittimità occorre prendere le mosse da alcuni presupposti in fatto che possono ritenersi come assodati. Innanzitutto, ritiene il collegio che, per le ragioni evidenziate nell’ordinanza di rimessione come sopra riportate, è condivisibile l’affermazione secondo la quale tutti i reati di cui alla rubrica delle imputazioni devono considerarsi tra loro connessi, ivi compresi quelli commessi all’estero.
Quanto ai reati in contestazione, rilevato che: a) ai capi da 1 a 59 e 93 è contestato il reato di cui all’art. 515 cod. pen. (punito con la reclusione fino a 2 anni); b) ai capi 60, 62, 64 e 66 è contestato il reato di cui all’art. 355 cod. pen. (punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni); c) ai capi 61, 63, 65 e 67 è contestato il reato cui all’art. 356 cod. pen. (punito con la reclusione da 1 a 5 anni); d) al capo 68 è contestato il reato di cui all’art. 646 cod. pen. (punito con la reclusione da 2 a 5 anni); 2 anni); e) al capo 69 è contestato il reato di cui all’art. 483 cod. pen. (punito con la reclusione fino a f) ai capi 70, 71 e 72 è contestato il reato di cui all’art. 648-ter.1 (punito con la reclusione da 2 a 8 anni); g) ai capi 73, 76 è contestato il reato il reato di cui agli artt. 99, comma 4, 61-bis e 648-ter cod. pen. (punito con la reclusione da anni 6 e mesi 8 a 20 anni); h) ai capi 74, 75, 77 e 78 è contestato il reato di cui agli artt. 99, comma 4, 61-bis e 648-bis cod. pen. (punito con la reclusione da anni 6 e mesi 8 a 20 anni); i) ai capi 79, 80, 81 e 92 è contestato il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000 (punito con la reclusione da 4 a 8 anni); l) al capo 82 è contestato il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 (punito con la reclusione da 4 a 8 anni); m) al capo 83 è contestato il reato di cui agli artt. 56 e 648-ter.1 (punito con la reclusione da anni 1 e mesi 4 ad anni 5 e mesi 2); n) ai capi 84 e 85 sono contestati reati relativi alla violazione di disposizioni doganali; o) ai capi 86 e 87 è contestato il reato di cui agli artt. 322, comma 1, lett. a), 329, comma 1 e 326 commi 1 e 2 lett. a), del d. lgs. n. 14/2019 (punito con la reclusione da anni 4 e mesi 6 a 15 anni); p) al capo 88 è contestato il reato di cui agli artt. 322, comma 1, lett. b), 329, comma 1 e 326 commi 1 e 2 lett. a), del d. lgs. n. 14/2019 (punito con la reclusione da anni 4 e mesi 6 a 15 anni); q) al capo 89 è contestato il reato di cui all’art. 329, comma 2, lett. b) del d. lgs. n. 14/2019 (punito con la reclusione da 3 a 10 anni); r) al capo 90 è contestato il reato di cui all’art. 322, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 14/2019 (punito con la reclusione da 3 a 10 anni); s) al capo 91 è contestato il reato di cui all’art. 2621 cod. civ. (punito con la reclusione da 1 a 5 anni); è di tutta evidenza che i reati più gravi sono quelli di cui ai capi da 73 a 78 (tutti puniti con pene identiche anche con riguardo alle sanzioni pecuniarie).
Quanto al contestato locus commissi delicti: a) i reati di cui ai capi 73, 74, 75, 76 e 77 sono contestati come commessi interamente all’estero; b) il reato di cui al capo 78 risulta (da ultimo) contestato come commesso in parte all’estero ed in parte a Milano.
Quanto, infine, al tempus commissi delicti, il primo tra essi è quello di cui al capo 73 contestato come commesso in Ungheria dal 20 aprile 2020 al 4 maggio 2020. 6. Le regola generale per la determinazione della competenza in caso di reati connessi è quella di cui all’art. 16, comma 1, cod. proc. pen. che testualmente stabilisce: «La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato». Per quanto riguarda, poi, i reati commessi all’estero la competenza è disciplinata dall’art. 10 cod. proc. pen. che testualmente recita: «1. Se il reato è stato commesso interamente all’estero, la competenza è determinata successivamente dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell’arresto o della consegna dell’imputato. Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi. 1-bis. Se il reato è stato commesso a danno del cittadino e non sussistono i casi previsti dagli articoli 12 e 371, comma 2, lettera b), la competenza è del tribunale o della corte di assise di Roma quando non è possibile determinarla nei modi indicati nel comma 1. 2. In tutti gli altri casi, se non è possibile determinare nei modi indicati nei commi 1 e 1-bis la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335. 3. Se il reato è stato commesso in parte all’estero, la competenza è determinata a norma degli articoli 8 e 9».
…Utilizzo delle regole della competenza per connessione tra reati commessi in Italia e reati commessi all’estero
Ai fini della corretta determinazione della competenza per territorio, si tratta, quindi, di combinare le regole della competenza per connessione tra reati commessi in Italia e reati commessi all’estero, accantonando per un attimo la circostanza che tra i reati più gravi, come si è già detto, ve ne è anche uno (quello di cui al capo 78) contestato come commesso parte in Italia e parte all’estero che però non è il primo in ordine cronologico tra quelli di pari gravità, non prima di avere ricordato la presenza di un assunto giurisprudenziale secondo il quale «In tema di competenza territoriale, la regola suppletiva dettata dall’art. 9, comma primo, cod. pen. trova applicazione esclusivamente quando nel territorio nazionale si è consumata una parte della condotta essenziale per l’integrazione della fattispecie, dovendosi in caso contrario fare riferimento ai criteri contemplati dai successivi commi della norma menzionata» (Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Rv. 236996 – 01).
Ciò detto, deve evidenziarsi come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che la connessione può operare anche tra reati commessi all’estero e reati commessi in Italia, in virtù della sussistenza per tutti della giurisdizione italiana (cfr. Sez. 1, n. 14666 del 18/03/2008, Rv. 239706 – 01; Sez. 6, n. 4089 del 06/11/2000, Rv. 217908).
…Criteri di individuazione del giudice competente e pertinenti indirizzi giurisprudenziali
Si pone quindi la questione di individuare l’unico giudice competente per tutti i reati contestati, tra loro connessi.
Seguendo un primo orientamento giurisprudenziale (Sez. 1, n. 2850 del 02/11/2004, dep. 2005, Rv. 230787-01, in motivazione; Sez. 1, n. 29202 del 02/07/2004, Rv. 228950-01, in motivazione), che ritiene le norme di cui all’art. 16 cod. proc. pen. di stretta interpretazione, la competenza si radicherebbe in capo al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato.
L’applicazione di detti principi comporta l’individuazione – come si è già sopra evidenziato quale fattispecie più grave quella nella quale è stata contestata la violazione degli artt. 99, comma 4, 61-bis, 648-ter cod. pen. e, parimenti, quella (di identica gravità) nella quale è stata contestata la violazione degli artt. 99, comma 4, 61-bis, 648-bis cod. pen., ovverossia dei reati contestati ai capi da 73 a 78 della rubrica delle imputazioni.
Trattandosi poi di reati di pari gravità l’attenzione si dovrebbe spostare sull’individuazione del reato commesso per primo che è quello contestato al capo 73 agli imputati AB e LM, reato commesso in Ungheria, tra il 20 aprile 2020 e il 4 maggio 2020.
Ne consegue che, trattandosi di reato commesso integralmente all’estero, dovrebbero pertanto trovare applicazione i criteri di determinazione della competenza indicati in via gradata nei commi 1 e 2 dell’art. 10 cod. proc. pen. Dato però che – come correttamente osservato dal Tribunale rimettente – non potrebbe applicarsi il disposto dell’art. 10, comma 1, cod. proc. pen., tenuto conto che la contestazione è stata elevata nei confronti di imputati residenti in luoghi diversi (LM risiede a V., nel Circondario del Tribunale di Milano, e AB risiede a Budapest, ma è domiciliato a B.A.), la competenza territoriale non potrebbe che radicarsi, in virtù dell’art. 10, comma 2, cod. proc. pen., presso il Tribunale di Busto Arsizio, luogo nel quale ha sede l’ufficio del PM che per primo ha iscritto la notizia di reato.
Nell’ambito di un secondo orientamento giurisprudenziale si è sostenuto invece che «I criteri di cui all’art. 10 cod. proc. pen. per determinare la competenza territoriale nel caso di reato commesso all’estero, possono essere utilizzati solo nel caso di unico reato commesso all’estero da una pluralità di imputati ovvero di più reati tutti commessi all’estero. Ove sussista invece connessione tra reati commessi nel territorio dello Stato e reati commessi all’estero, in osservanza del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, la competenza va determinata in relazione al luogo del commesso reato, avendo riferimento ex art. 16 cod. proc. pen. al più grave dei reati connessi che sia stato realizzato nel territorio dello Stato e, qualora tale luogo non sia determinabile, in base allo stesso criterio riferito al reato immediatamente meno grave» (Sez. 6, n. 4089 del 06/11/2000, Rv. 217908 – 01).
Nella sentenza appena citata si è ritenuto di precisare che i criteri indicati dall’art. 10 cod. proc. pen. non sembrerebbero derogare al regime della competenza per connessione; e ciò sul presupposto che tale norma si riferisce all’ipotesi di unico reato commesso all’estero da una pluralità di soggetti tutti designati dal comune referente dell’operatività dei criteri di collegamento indicati dalla prima parte del comma 1 dell’art. 10. Resterebbe però da stabilire se, alla stregua delle regole che impongono che la competenza sia individuata preliminarmente in base ad indici oggettivi e considerato che il codice del 1988 ha designato la connessione come criterio autonomo di determinazione della competenza, non possa trarsi la conclusione che, ove sussista connessione, sia più rispondente ad una effettiva osservanza del principio costituzionale del “giudice naturale precostituito per legge”, fare riferimento al criterio oggettivo della competenza determinata dalla connessione in relazione al più grave dei reati connessi, che sia stato realizzato nel territorio dello Stato.
Il principio appena enunciato è stato infatti ribadito in tempi più recenti dalla Suprema Corte (Sez. 1, n. 13076 del 03/03/2020, confl. comp. sollevato dal GUP di Lucca, Rv. 279327 – 01) nella motivazione della quale è dato testualmente leggere «Il Collegio intende infatti dare continuità al principio, già enunciato, con dovizia di argomentazioni, da Sez. 6, n. 4089 del 06/11/2000, Rv. 217908-01, secondo cui i criteri di cui all’art. 10 cod. proc. pen. – atti a determinare la competenza territoriale per il reato estero, a partire da quello incentrato sul luogo di residenza (ovvero dimora, domicilio, arresto o consegna) dell’imputato, dei coimputati o del loro maggior numero – possano essere utilizzati solo nel caso in cui si proceda per fatti interamente realizzati al di fuori dei confini nazionali; mentre, ove sussista connessione tra reati realizzati all’estero, e reati realizzati, anche solo in parte, nel territorio dello Stato, la competenza vada determinata, in osservanza del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, in relazione al luogo del commesso reato richiamato dagli artt. 8 e 9, comma 1, cod. proc. pen., avendo riferimento– ex art. 16 dello stesso codice – al più grave dei reati connessi, che sia stato realizzato, anche in parte, in territorio nazionale. Se, per il reato connesso più grave, tale ultima condizione non si verifica (ovvero nel caso in cui il luogo interno, cui riferirla, non sia comunque determinabile), sarà preso in considerazione il reato immediatamente meno grave, che presenti l’indice di collegamento voluto dai citati artt. 8 e 9, comma 1».
…Adesione al secondo indirizzo giurisprudenziale
Tale principio, inopinatamente disatteso da successive pronunce (Sez. 1, n. 2850 del 02/11/2004, dep. 2005, Rv. 230787-01, in motivazione; Sez. 1, n. 29202 del 02/07/2004, Rv. 228950-01, in motivazione), appare viceversa pienamente coerente con il criterio di individuazione della competenza per territorio da connessione, che pacificamente vige, ormai, in caso di reati a consumazione tutta interna.
Ove, rispetto ad essi, non sia possibile individuare, a norma delle disposizioni testé citate, il luogo di commissione del reato connesso più grave, le Sezioni unite penali (v. S.U., n. 40537 del 16/07/2009, Orlandelli, Rv. 244330-01) hanno statuito che la competenza spetti al giudice del luogo individuato in base agli stessi criteri, riferiti al reato immediatamente meno grave, e, solo quando tale individuazione risulti impossibile con riferimento alla totalità dei reati connessi, entrino in gioco i residuali criteri di competenza, indicati dall’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen. (luogo di residenza, domicilio o dimora dell’imputato, o luogo in cui si è per la prima volta proceduto), largamente sovrapponibili a quelli di cui al successivo art. 10 e aventi, alla pari di questi ultimi, carattere “artificiale”.
Hanno osservato le Sezioni unite che la ratio dell’art. 16, comma 1, cod. proc. pen. è quella di preservare, per quanto possibile, il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione criminosa, o almeno di un segmento di essa, garantendo il principio, espresso dall’art. 25 Cost., della «fisiologica allocazione» del processo nel locus commissi delicti. Questa esigenza sarebbe certamente frustrata, se il criterio oggettivo di collegamento dovesse, in caso di connessione di reati, venire totalmente meno, e dovesse darsi applicazione agli incerti criteri suppletivi, solo perché sia impossibile accertare il luogo di commissione del reato più grave, sebbene sia certo il luogo di commissione degli altri reati connessi.
L’identità di ratio porta a concludere, anche rispetto alla fattispecie in esame, per l’accoglimento di «quella interpretazione che privilegi comunque la necessaria presenza di un collegamento della competenza territoriale con il luogo di commissione di almeno uno dei diversi reati commessi, anche quando tale luogo non sia accertato con riferimento al reato più grave, rispetto ad altre interpretazioni che possano portare ad una competenza territoriale del tutto sganciata dal luogo di manifestazione di almeno una parte della complessa fattispecie criminale» (Sez. U, n. 40537 del 2009, citata; in termini, Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Rv. 276812-01; Sez. 2, n. 3850 del 21/10/2016, dep. 2017, Rv. 269246-01; Sez. 1, n. 40825 del 27/10/2010, Rv. 248467-01).
Dal sistema, così ricostruito, deve trarsi dunque la conclusione che la deroga alla regola, per cui la competenza per territorio si radica nel luogo del commesso reato, si imponga necessariamente nel caso di una pluralità di reati connessi, ciascuno dei quali realizzato interamente all’estero, dovendo la regola stessa essere ripristinata ove anche uno solo dei reati stessi sia stato commesso, anche parzialmente, in Italia, e possano così utilizzarsi i criteri “naturalistici” stabiliti dagli artt. 8 e 9, primo comma, cod. proc. pen.
Ritiene il collegio di aderire a quest’ultimo degli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati. È consapevole il collegio che la citata sentenza delle Sezioni unite “Orlandelli” ha risolto un caso giuridico diverso da quello per il quale si procede in questa sede. Tuttavia, ciò non toglie che i principi fondamentali indicati nella sentenza de qua possono ritenersi estensibili anche al caso in esame. Si è così espressa la sentenza “Orlandelli”: «… può invero osservarsi che la tradizione penalistica, fin dall’epoca romana, ha da sempre ritenuto naturale che l’individuazione del giudice penale territorialmente competente a giudicare un dato reato debba richiedere la presenza di un collegamento con il luogo di commissione del reato stesso, per tutta una serie di intuitive ragioni, che vanno dall’esigenza di assicurare un effettivo controllo sociale, a quella di agevolare la raccolta delle prove, a quella di ridurre i disagi per le parti e per i testi. Questa peculiare caratteristica della determinazione della competenza territoriale in materia penale è stata sottolineata anche dalla sentenza n. 168 del 2006 della Corte costituzionale, la quale ha rilevato che, se è vero che la locuzione “giudice naturale” non ha nell’art. 25 Cost. un significato proprio e distinto da quello di “giudice precostituito per legge”, deve tuttavia “riconoscersi che il predicato della “naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi delicti“.
Secondo la Corte, quindi, qualsiasi istituto processuale che producesse l’effetto di “distrarre” il processo dalla sua sede, “inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella – più che tradizionale – per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati“.
La radicazione della competenza nel luogo di manifestazione del reato esprime dunque un valore di rilevanza costituzionale, il cui contenuto non si esaurisce nella garanzia della precostituzione, ma esalta il significato della naturalità del giudice designato come competente.
Tali principi e tali valori sono stati recepiti anche in sede di redazione del vigente codice di procedura penale. Nella Relazione al Progetto preliminare, infatti, si sottolinea che i casi di connessione sono stati rigorosamente delimitati “al fine di non vulnerare il principio costituzionale del “giudice naturale precostituito per legge” (pag. 4), chiaramente sottintendendo che sia normalmente tale quello che abbia un collegamento con il luogo di commissione del reato. Si sottolinea anche che la disciplina della competenza per connessione – divenuta “criterio attributivo della competenza analogo a quello stabilito per materia e per territorio” (pag. 4) – è stata costruita nell’ottica di una rigorosa delimitazione della connessione al fine di rispettare il principio del giudice naturale e di perseguire la massima semplificazione, escludendo ogni discrezionalità nella determinazione del giudice competente (pag. 11).
È quindi evidente, già sulla sola base di questi principi generali e valori costituzionali, che in caso di dubbio debba essere preferita quella interpretazione che privilegi comunque la necessaria presenza di un collegamento della competenza territoriale con il luogo di commissione di almeno uno dei diversi reati commessi, anche quando tale luogo non sia accertato con riferimento al reato più grave, rispetto ad altre interpretazioni che possano portare ad una competenza territoriale del tutto sganciata dal luogo di manifestazione di almeno una parte della complessa fattispecie criminale.
A questa doverosa scelta ermeneutica si potrebbe rinunciare solo qualora la lettera della disposizione fosse talmente chiara ed inequivoca, da non lasciare spazio per una interpretazione che privilegi la ratio legis e la stessa intenzione del legislatore storico.
Ora, è proprio l’orientamento dominante quello che attribuisce preferenza ad un collegamento “certo” con il luogo in cui è stato commesso almeno uno dei segmenti del complesso criminoso, rispetto ai criteri sussidiari di cui all’art. 9, nei quali il nesso tra luogo e fatto illecito si fa più labile. Tra questi criteri, invero, vi è sia quello del luogo di residenza dell’imputato, che potrebbe spostare la competenza in un luogo completamente sganciato da quello di commissione anche della totalità dei reati connessi meno gravi, sia quello fondato sulla iscrizione della notitia criminis, che è sempre stato visto con grande sospetto e giustamente ritenuto utilizzabile solo in caso di assoluta indispensabilità, perché considerato teoricamente esposto al rischio di manipolazioni. La diffidenza verso questo criterio, del resto, è stata espressa dallo stesso legislatore, tanto che la Relazione al Progetto preliminare al cod. proc. pen. vigente afferma che tale criterio suppletivo, ispirato alla direttiva 35, “non consente di superare ogni riserva in ordine alla possibilità del denunciante di scegliere il giudice competente” (pag. 9)».
Non v’è quindi dubbio che, in applicazione di tali condivisibili principi, il rapporto tra l’art. 10 e l’art. 16 del codice di rito penale debba essere risolto nel caso qui in esame privilegiando la soluzione che porti alla determinazione della competenza per territorio in almeno uno dei luoghi entro i confini nazionali nei quali è stata commessa, in tutto od in parte, una delle azioni delittuose e non certo al luogo – da ritenersi ultima ratio – in cui ha sede l’ufficio del PM che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. 10.
Così stabilito l’ambito normativo entro il quale la presente decisione si deve muovere, si rende a questo punto necessario dare risposta all’ultimo dei quesiti che l’ordinanza di rimessione ha sottoposto a questa Corte: se il reato di cui al capo 78 – in relazione al quale, come detto, il PM nel modificare la contestazione, ha aggiunto come locus commissi delicti anche la città di Milano – sia comunque da intendersi commesso integralmente all’estero.
La questione è rilevante perché se si ritiene che l’azione delittuosa sia stata commessa almeno in parte in Italia, essendo tale reato il più grave tra quelli commessi sul territorio nazionale, la competenza territoriale dell’intero processo non potrebbe che radicarsi presso l’A.G. di Milano, mentre se si ritiene che – indipendentemente dalla contestazione – tale reato sia stato consumato interamente all’estero (nella specie in Romania) l’attenzione dovrebbe allora rivolgersi sul reato commesso per primo in Italia tra quelli gradatamente meno gravi che non è quello di cui al capo 70 (nel quale è contestata la violazione dell’art. 648-ter.1 cod. pen. commessa in Roma) erroneamente indicato dal Tribunale, quanto piuttosto quello di cui al capo 89, pur sempre commesso in Roma.
Occorre al riguardo prendere le mosse dal capo di imputazione n. 78 contestato al solo imputato LM che, nella parte qui di interesse, è così formulato: «Delitto p. e p. dagli artt. 61-bis, 81 cpv e 648-bis c.p., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, fuori dei casi di concorso nel reato, trasferiva denaro proveniente da delitto non colposo, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. In particolare, trasferiva dal proprio c/c rumeno n. R016 BRDE 060S V370 8113 0600 acceso presso BRD – Groupe Société Generale SA, filiale di Bistrita Nàsaud – c/c ove in precedenza erano state accreditate le somme versate dalla MATLINI BROKER KFT per euro 35.00,00 – (già oggetto di riciclaggio in quanto parte della somma versata ancor prima dalla O. SCARL e provenienti dai delitti non colposi […] tutti meglio indicati ai superiori capi di incolpazione) con i seguenti bonifici, privi di causale per un importo complessivo di 18.000,00 euro: […] in data 15.07.2020 per euro 10.000,00 a favore di GAP sul c/c italiano n. 70755 acceso presso Banco BPM S.p.a. filiale di Milano, con descrizione “prestito”. Con l’aggravante di aver commesso il fatto con il contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Commessi in Romania e Milano in data 15.07.2020. Con la recidiva reiterata, specifica di cui all’art. 99 c.p. per LM».
Si è già sopra evidenziato come le Sezioni unite penali (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223 – 01 in motivazione) hanno affermato che la competenza per territorio nell’ipotesi di reati connessi deve determinarsi avuto riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero a meno che la stessa non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili e che detto orientamento, che attribuisce rilievo essenziale alla contestazione, risulta costante nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità essendosi affermata l’esclusiva rilevanza della o delle imputazioni ai fini di valutare la competenza per territorio ed anche la competenza per connessione (Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Rv. 236997- 01; Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018, Rv. 273484 – 01; Sez. 1, n. 11047 del 24/02/2010, Rv. 246782 – 01). In applicazione di tale principio può pertanto ritenersi bastevole la contestazione come formulata dal PM per incardinare a Milano la competenza territoriale a conoscere del presente procedimento non avendo, come detto, la Corte di legittimità alcuna possibilità di operare una valutazione nel merito del contenuto di tale contestazione nella quale non sono rilevabili rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili.
Per solo dovere di completezza appare comunque doveroso chiarire la questione di diritto legata al momento consumativo e quindi alla collegata individuazione del locus commissi delicti del reato de quo.
L’ipotesi di riciclaggio in contestazione è quella del “trasferimento” transfrontaliero di denaro di provenienza delittuosa. La Suprema Corte ha avuto modo di occuparsi di una situazione ancorché non completamente assimilabile a quella in esame, tuttavia relativa al trasferimento “fisico” di denaro dall’estero al territorio nazionale evidenziando che «In tema di riciclaggio di denaro tramite movimentazione transfrontaliera di valuta, il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si è realizzato il trasporto con modalità dissimulatorie, idonee ad ostacolare la rilevazione del transito ad opera delle autorità preposte ai valichi di confine e, conseguentemente, la provenienza illecita di tali provviste» (fattispecie in cui il luogo di consumazione del reato è stato individuato in quello di materiale introduzione in Italia di denaro di provenienza illecita, occultato nel doppio fondo di autovetture, attraverso i valichi frontalieri con la Svizzera, anche se poi consegnato in plurimi e distinti luoghi del territorio nazionale) (Sez. 1, n. 43315 del 27/10/2021, Rv. 282314 – 01).
Nella decisione appena richiamata la Corte ha, in premessa, ricordato che, siccome il delitto di riciclaggio è a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, perché può essere realizzato con modalità frammentate e progressive, “qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato ed acceso presso un differente istituto di credito, integra, di per sé, un autonomo atto di riciclaggio” – in tal senso si sono espresse altre precedenti sentenze opportunamente ivi citate: Sez. 2, n. 43881 del 9/10/2014, Rv. 260694; Sez. 6, n. 13085 del 3/10/2013, dep. 2014, Rv. 259487; Sez. 2, n. 546 del 7/1/2011, Rv. 249446 – poi aggiungendo che il delitto si consuma al momento in cui si realizza l’effetto dissimulatorio.
Sempre la Corte di legittimità, occupandosi di un caso nel quale il denaro di provenienza illecita è stato trasferito dall’Italia all’estero ha ricordato (v. Sez. 2, n. 4583 del 10/12/2021, dep. 2022, Rv. 282812 – 01, in motivazione) che ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia e quella realizzata in territorio estero.
Traslando questi principi al caso in esame, ritiene il collegio che in occasione di un trasferimento elettronico di una somma di denaro da un conto estero ad un conto acceso da altro soggetto presso un istituto di credito italiano non può revocarsi in dubbio che almeno una frazione della complessiva condotta costituente l’azione dissimulatoria integrante il reato di riciclaggio (complessivamente intesa) sia stata realizzata in Italia.
Ne consegue che la competenza territoriale a conoscere del procedimento deve individuarsi anche per tale profilo nella Autorità Giudiziaria di Milano.
Alla luce dei principi sopra esposti deve, pertanto, dichiararsi la competenza territoriale del Tribunale di Milano ed ordinarsi, ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen. la trasmissione degli atti al PM presso detto Tribunale.
La cancelleria provvederà inoltre a comunicare immediatamente l’estratto della presente sentenza al Tribunale di Busto Arsizio, al PM presso il medesimo Tribunale ed al PM presso il Tribunale di Milano, nonché alla notifica dell’estratto stesso alle parti private.
