Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 36775/2024, udienza del 4 luglio 2024, ha affermato l’illegittimità, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, del sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione.
Il principio di proporzionalità, sancito, anche in riferimento alle misure cautelari reali, dall’art. 275 cod. proc. pen. (così, Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Rv. 276979; Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, Rv. 261509) e, a livello sovranazionale, dalle fonti del diritto dell’Unione (art. 5, par. 2 e 4, TUE; art. 49, par. 3, e art. 52, par.1, della Carta dei diritti fondamentali) e dagli artt. 7 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla Corte Edu, assolve ad «una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto» (in termini, Sez. 4, n. 29956 del 14/10/2020, Rv. 279716; Sez. 6, n. 9776 del 12/02/2020).
Le Sezioni unite penali hanno, inoltre, statuito che «ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all’obiettivo di perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco» (Corte Edu, 13 ottobre 2015, Unspead Paket Servisi SAN Ve TIC. A. S. c. Bulgaria).
Dunque, solo valorizzando l’onere della motivazione è possibile, come sottolineato dalla più attenta dottrina, tenere sotto controllo l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti, quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte EDU.
In tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al principio di legalità (Sez. U., n. 36072 del 19/04/2018, Rv. 273548).
In tale contesto, si è inoltre affermato, in tema di acquisizione della prova, che l’autorità giudiziaria, al fine di esaminare un’ampia massa di dati i cui contenuti sono in astratto, potenzialmente, rilevanti per le indagini, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, alla immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti e, in caso di mancata tempestiva restituzione, l’interessato può presentare la relativa istanza e far valere le proprie ragioni, se necessario, anche mediante i rimedi impugnatori offerti ‘dal sistema (Sez. 5, n. 16622 del 14/03/2017; Sez. 6, n. 53168 del 11/11/2016, Rv. 268489; Sez. 2, n. 16544 del 23/01/2013; Sez. 3, n. 27508 del 05/06/2008, Rv. 240254).
Sotto altro profilo, l’esigenza investigativa, in alcuni casi, può depotenziare, quasi vanificandola, la possibilità di verificare nella immediatezza la legittimità del mezzo di ricerca e richiede, perciò, strumenti compensativi di garanzia per il soggetto che subisce la limitazione dei propri diritti. Strumenti di garanzia, cioè, che si collocano già al momento della adozione del mezzo di ricerca della prova e che attengono: alla portata del vincolo; alle ragioni – che devono essere puntualmente esplicitate – per cui si decide di aggredire, ad esempio, la sfera giuridica di soggetti terzi estranei al reato; al motivo per cui il vincolo venga modulato in modo onnicomprensivo; alla necessità di ancorare la durata del sequestro a criteri oggettivi di ragionevolezza temporale; all’esigenza insopprimibile di selezione delle cose davvero necessarie ai fini della prova; alla necessità di evitare che l’ablazione assuma una valenza meramente esplorativa di notizie di reato diverse ed ulteriori rispetto a quella per cui si procede.
Trattasi di profili su cui è necessario specificamente motivare da parte del PM e, eventualmente, del Tribunale del riesame, giacché, diversamente, il mezzo di ricerca si trasforma in uno strumento di illegittima compressione di diritti, con conseguente ingiustificata “rincorsa” da parte del soggetto a cui le cose sono sequestrate al fine di ottenere la restituzione di ciò che sin dall’inizio non avrebbe dovuto essere sequestrato.
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, affermato, con riferimento al decreto di sequestro probatorio di materiale informatico, che l’acquisizione indiscriminata di un’intera categoria di beni, nell’ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole res strumentali all’accertamento del reato, è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il PM adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, della difficoltà di individuare ex ante l’oggetto del sequestro (ex multis, Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Rv. 279949; Sez. 4, n. 29956 del 14/10/2020, Rv. 279716; Sez. 6, n. 9776 del 12/02/2020).
È, dunque, illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Rv. 280838).
In tanto, come anticipato, è possibile disporre un sequestro esteso, e magari totalizzante, in quanto si spieghi, caso per caso, perché ciò è necessario fare, perché, cioè, il nesso di pertinenza tra res, reato per cui si procede e finalità probatoria debba avere, in quella determinata fattispecie, una inevitabile differente modulazione in ragione della fase del procedimento, della fluidità delle indagini e della contestazione provvisoria, del fatto concreto per cui si procede, del tipo di illecito a cui il fatto sembra doversi ricondurre, della difficoltà di individuare nitidamente ex ante l’oggetto del sequestro, della natura del bene che si intende sequestrare (ex plurimis, Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Rv. 274781; Sez. 5, n. 13594 del 27/02/2015, Rv. 262898). Nell’adottare il decreto di sequestro probatorio di uno strumento informatico, pertanto, il Pubblico Ministero non solo deve motivare sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno invasivi strumenti cautelari, ma deve modulare il sequestro – quando ciò sia possibile – in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sottoposto al vincolo reale, anche oltre le effettive necessità dettate dalla esigenza che si intende neutralizzare; il vincolo cautelare deve, dunque, essere conformato in modo tale da non arrecare un inutile sacrificio di diritti, il cui esercizio di fatto non pregiudicherebbe la finalità probatoria e cautelare perseguita (Corte cost. n. 85 del 2013). Inoltre, la Corte, con la richiamata sentenza n. 24265 del 2020, ha chiarito che, creata la c.d. copia originale dei dati contenuti nel contenitore da sequestrare, essa non rileva in sé come cosa pertinente al reato in quanto essa contiene un insieme di dati indistinti e magmatici rispetto ai quali nessuna funzione selettiva è stata compiuta al fine di verificare il nesso di strumentalità tra res, reato ed esigenza probatoria. Ne deriva, come è stato specificato dalla Suprema Corte, che la c.d. copia integrale costituisce solo una copia – mezzo, cioè una copia che consente di restituire il contenitore, ma che non legittima affatto il trattenimento dell’insieme di dati appresi (Sez. 6, n. 12156 del 04/03/2020).
