Perizie e consulenze di parte: non è consentito alcun automatismo “gerarchico”, spettando al giudice di orientarsi sull’accertamento di maggior pregio scientifico la cui scelta deve adeguatamente motivare (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 13526/2025, udienza del 5 dicembre 2025, consolida l’orientamento interpretativo contrario all’attribuzione di un “vantaggio competitivo” al contributo tecnico offerto dal perito, a discapito di quello proveniente dal consulente di parte.

Il collegio di legittimità ha anzitutto escluso l’esistenza di una sorta di “gerarchia probatoria” in virtù della quale l’accertamento dell’esperto nominato dal giudice dovrebbe prevalere su quelli degli esperti nominati dalle parti.

Ha richiamato a tal fine i precedenti giurisprudenziali che riconoscono al giudice la possibilità, da legittimare attraverso un’idonea motivazione, di non porre a fondamento della decisione conclusioni peritali che ritenga non convincenti (così, tra le altre, Sez. 1^, sentenza n. 46432/2017 del 19 aprile 2027), ovvero la facoltà di privilegiare tra più tesi consulenziali quella che, indifferentemente dalla fonte da cui promana, gli appaia più fondata (in termini, tra le altre, Sez. 5^, sentenza n. 43845/2022 del 14 ottobre 2022), ovvero ancora, nell’ipotesi in cui non si sia avvalso della possibilità di disporre d’ufficio un accertamento peritale, di avvalersi della tesi di un consulente tecnico di parte (si veda Sez. 4^, sentenza n. 8527/2015).

È quantomai opportuno nella medesima direzione il richiamo delle argomentazioni sviluppate dalla Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 7004/2025, udienza del 16 gennaio 2025, per la quale non può affermarsi una ontologica prevalenza delle opinioni del perito su quelle di tutti i consulenti, con una primazia, tra di essi, di quelle del c.t. nominato dal P.M. in ragione della previsione dell’art. 358 cod. proc. pen. (ove, peraltro, la emersione a livello di diritto positivo dei requisiti di indipendenza e di imparzialità del magistrato sarebbe da individuare negli artt. 107-108 Cost. e nelle norme di ordinamento giudiziario, piuttosto che nel richiamato art. 358 cod. proc. pen., che ne disciplina una conseguenza, ossia: essendo il P.M. indipendente ed imparziale, ergo deve svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato).

Ben altri, e più complessi, infatti, sono gli approdi cui è giunta da tempo la giurisprudenza di legittimità in tema di introduzione e di impiego nei processi del c.d. “sapere esperto”. In tema di acquisizione al processo di informazioni scientifiche attendibili si è puntualizzato quanto segue (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, n. 7 dei “motivi della decisione”, pp. 12-13): «Questa Suprema Corte (Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, Cozzini, Rv. 248943) ha già avuto modo di porre in luce i pericoli che incombono in questo campo: la mancanza di cultura scientifica dei giudici, gli interessi che talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali oppure occulte tra i membri di una comunità scientifica; la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche; addirittura, in qualche caso, la manipolazione dei dati; la presenza di pseudoscienza in realtà priva dei necessari connotati di rigore; gli interessi dei committenti delle ricerche. Tale situazione rende chiaro che il giudice non può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico, ma deve svolgere un penetrante ruolo critico, divenendo (come è stato suggestivamente affermato) custode del metodo scientifico. Si è pure posto in luce che il primo e più indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilità delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo è costituto dall’apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all’indipendenza di giudizio dell’esperto. Tuttavia, ciò può non bastare. Infatti, non si tratta tanto di comprendere quale sia il pur qualificato punto di vista del singolo studioso, quanto piuttosto di definire, ben più ampiamente, quale sia lo stato complessivo delle conoscenze accreditate. Pertanto, per valutare l’attendibilità di una tesi occorre esaminare gli studi che la sorreggono; l’ampiezza, la rigorosità, l’oggettività delle ricerche; il grado di consenso che l’elaborazione teorica raccoglie nella comunità scientifica. Inoltre, è di preminente rilievo l’identità, l’autorità indiscussa, l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove. Insomma, dopo aver valutato l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni, occorre infine tirare le fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Naturalmente, il giudice di merito non dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un’indagine siffatta: le informazioni relative alle differenti teorie, alle diverse scuole di pensiero, dovranno essere veicolate nel processo dagli esperti. Costoro, come si è accennato, non dovranno essere chiamati ad esprimere (solo) il loro personale seppur qualificato giudizio, quanto piuttosto a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l’indagine. Di tale indagine il giudice è infine chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e fornendo razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di indagine afferente alla sfera del fatto e dunque rimessa alla valutazione del giudice di merito; mentre il controllò di legittimità attiene solo alla razionalità ed alla rigorosità dell’apprezzamento compiuto. Alla stregua di quanto precede risulta chiarito e nobilmente enfatizzato il ruolo di peritus peritorum tradizionalmente conferito al giudice. Nessuna rivendicazione di potere e di supremazia. Piuttosto, l’indicazione di un metodo. Il giudice, con l’aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile: il più alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di tecnico del giudizio. Il perito non è più (non avrebbe mai dovuto esserlo!) l’arbitro che decide il processo, ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito–ciii il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati della scienza o della tecnologia. Tutto ciò ha a che fare con i temi della legalità, della determinatezza e della colpevolezza. Si vuol dire che l’ontologica “terzietà” del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto ed al giudizio di rimprovero personale».

E già il dictum (espressamente richiamato, come si è visto, dal precedente di legittimità appena citato) di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri, aveva preso posizione, ancora con maggiore approfondimento argomentativo, sul tema della centralità del sapere scientifico, sulle modalità di introduzione dello stesso nel processo, sul significato da attribuire al tradizionale brocardo iudex peritus peritorum e sul ruolo del giudice, vero e proprio “custode e garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo” (cfr. punti nn. 14-17 dei “motivi della decisione”, pp. 36-50): nell’occasione la Corte di legittimità, tra l’altro, aveva posto in luce che, in tema di utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale, «occorre in primo luogo considerare che il problema della prova scientifica prende corpo quando l’inferenza probatoria che è alla base dell’accertamento del fatto non può essere articolata sulla base di conoscenze ordinarie, del sapere diffuso» e che la valutazione delle emergenze istruttorie «attiene al fatto, è al servizio dell’attendibilità dell’argomentazione probatoria ed è dunque rimessa al giudice di merito che dispone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema è chiamato ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime» (così sub n. 14, pp. 36-37, di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri).

Si tratta di condivisibili affermazioni, in plurime occasioni ribadite dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui Sez. 4, n. 36149 del 07/07/2021, , non mass. (sub n. 2.2. del “considerato in diritto”, pp. 12-17), e Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, Rv. 271668, che ha puntualizzato quanto segue (sub nn. 2-3 del “considerato in diritto”, pp. 4 e ss.): «[…] l’art. 220 cod. proc. pen, prevede l’espletamento della perizia ogniqualvolta sia necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze di natura tecnica.

La specificità delle competenze va rapportata alle conoscenze ordinarie dell’uomo medio. La perizia va dunque disposta allorché occorrano competenze che esulano dal conoscitivo dell’uomo medio, in un dato momento storico e in un dato contesto sociale (Cass., Sez. 1, n. 11706 dell’11-11-1993, Rv. 196075). Lo svolgimento di indagini comprende la ricerca e l’estrapolazione di dati da una determinata realtà fenomenica nonché la loro analisi e rielaborazione critica. L’acquisizione di dati implica la rilevazione, selezione e organizzazione di dati già esistenti, in modo funzionale rispetto alle richieste del giudice.

L’acquisizione di valutazioni comprende l’individuazione ed enunciazione di nozioni e di regole tecniche, di leggi scientifiche, di massime di esperienza e di inferenze fondate su dati già acquisiti mediante altri mezzi di prova o direttamente ottenuti attraverso le operazioni peritali. È vero, pertanto, che l’ammissione della perizia è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice (Cass., Sez. 6, n. 34089 del 7-7-2003; Sez. 5, n. 22770 del 15-4-2004). Tuttavia non si può prescindere dal rilievo che la perizia rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorché si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificità delle competenze occorrenti per l’acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell’esperto, perché l’eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validità dello stesso (Cass., Sez. 5, n. 9047 del 15-6-1999, Rv. 214295).

L’ontologica terzietà del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. È ben vero, infatti, che al giudice è attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma ciò non lo autorizza affatto ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l’aiuto dell’esperto, il sapere accreditato che può orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell’evento. Il perito non è l’arbitro che decide il processo ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati a cui è possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico. Toccherà poi al giudice tirare le fila e valutare se si sia addivenuti a una spiegazione dell’eziologia dell’evento e delle dinamiche in esso sfociate sufficientemente affidabile e in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni, che possano supportare adeguatamente l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Il sapere scientifico costituisce infatti un indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, il quale dovrà però valutare l’autorità scientifica dell’esperto nonché comprendere se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nell’ambito della comunità scientifica (Cass., Sez. 4, n. 43796 del 17-9-2010, Rv. 248943). Il giudice deve dunque esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l’ampiezza, la rigorosità e l’oggettività della ricerca; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica nonché il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunità scientifica (Cass., Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621), fermo rimanendo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, è utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità delle conoscenze scientifiche (Sez. U., 25-1-2005, Rv. 230317; Cass., Sez. 4, n. 36280 del 21-6-2012, Rv. 253565).

Di tale indagine il giudice è chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il più possibile, comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti e valutazioni di fatto, insindacabili in cassazione, ove sorretti da congrua motivazione, poiché il giudizio di legittimità non può che incentrarsi esclusivamente sulla razionalità, completezza e rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimità, infatti, non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate (Cass., Sez. 4, n. 1826 del 19-10-2017), di talché esso non può, ad esempio, essere chiamato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria, sia o meno fondata (Cass., Sez. 4, n. 43786 del 17-9-2010, cit.)

La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico scientifico, che riguarda la preliminare e indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (Cass., Sez. 4, n. 42128 del 30-9-2008)».

Ebbene, facendo applicazione dei richiamati principi, nella nuova – più completa e matura – accezione del tradizionale brocardo iudex peritus peritorum, connotata, come si è visto (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, cit., p. 13), da «Nessuna rivendicazione di potere e di supremazia. Piuttosto, l’indicazione di un metodo. Il giudice, con l’aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile: il più alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di tecnico del giudizio. Il perito non è più (non avrebbe mai dovuto esserlo!) l’arbitro che decide il processo, ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito cui il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati della scienza o della tecnologia», non vi è spazio per automatismi decisori.

E nemmeno vi può essere spazio per affidamenti, che rischiano di essere fideistici, sulla maggiore persuasività di un elaborato peritale per il solo fatto della legittimazione derivata dallo statuto professionale del soggetto conferente l’incarico. Invece, i saperi esperti introdotti nel processo da periti e consulenti dovranno tutti essere oggetto di prudente e motivato apprezzamento del giudice, che, nel “tirare le fila” del ragionamento, dovrà farsi carico delle aporie emerse ed esplicitare le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate per pervenire alla spiegazione maggiormente razionale dell’evento.