Sentenza predibattimentale di non luogo a procedere e contestuale trasmissione degli atti al PM perché proceda per lo stesso fatto diversamente qualificato: provvedimento abnorme (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 7691/2025 ha stabilito che è abnorme il provvedimento con cui il giudice, all’udienza predibattimentale, anziché invitare il pubblico ministero, nel contraddittorio tra le parti, ad apportare, ex art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen., le necessarie modifiche all’imputazione ritenuta errata, emette sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 554-ter cod. proc. pen. e dispone contestualmente la restituzione degli atti alla pubblica accusa per l’eventuale esercizio dell’azione penale in ordine al medesimo fatto diversamente qualificato, determinandosi, in tal modo, un’indebita regressione del procedimento e l’impossibilità di esercitare nuovamente l’azione penale per l’originaria imputazione, stante la vigenza del principio del “ne bis in idem”, allorquando la sentenza di proscioglimento sia passata in giudicato.

Fattispecie in cui il giudice, non condividendo l’imputazione di ricettazione formulata dal pubblico ministero, aveva “spezzato il processo in due”, emettendo contestualmente sentenza di non luogo a procedere per tale reato e restituendo gli atti affinché si procedesse per lo stesso fatto riqualificato in termini di furto.

La decisione del Tribunale di Siena è errata poiché, pur nell’ambito di una attività di riqualificazione della fattispecie concreta che rientra certamente tra le prerogative del giudice di merito, ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell’imputato per la fattispecie di ricettazione, ritenuta insussistente sul rilievo che gli elementi acquisiti deporrebbero per la riconducibilità all’imputata di una sottrazione furtiva, anziché di una ricezione di una res già proveniente da delitto, ed ha contemporaneamente disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per l’eventuale nuovo esercizio dell’azione penale in relazione alla diversa fattispecie di furto, disponendo financo la formazione di un autonomo fascicolo.

Ritenendo di dover dare al fatto una diversa qualificazione, il giudice avrebbe dovuto procedervi direttamente senza “rimandare indietro” il processo e senza provocare la stasi denunciata dal Pubblico Ministero, essendo a tale soluzione non ostativi né il diverso titolo di reato (che, se mai, ne è la premessa), né la diversità degli elementi costitutivi, giacché il nucleo del fatto, tanto del furto quanto della ricettazione, erano entrambi racchiusi nella descrizione dell’imputazione che ricomprendeva la data dei furti, il luogo in cui erano avvenuti, i soggetti derubati, gli estremi identificativi degli autoveicoli furtivamente sottratti (corrispondenti a quelli per cui era contestata la ricettazione), elementi dai quali era agevole individuare il contenuto di impossessamento della condotta avente ad oggetto le cose sottratte.

In ogni caso, in virtù del disposto di cui all’art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen., il giudice, se avesse ritenuto il fatto diverso avrebbe dovuto invitare il pubblico ministero – previa interlocuzione anche con la difesa dell’imputata – a modificare l’imputazione e, laddove la difformità indicata fosse rimasta, giammai avrebbe potuto emettere sentenza di non luogo a procedere, ma disporre, anche d’ufficio la restituzione degli atti al pubblico ministero.

La decisione del tribunale monocratico di emettere, ai sensi dell’art. 554-ter cod. proc. pen., sentenza di non luogo a procedere e, al tempo stesso, di disporre la regressione del processo alla fase delle indagini preliminari costituisce pertanto atto abnorme poiché “spezza il processo in due”, facendone regredire una parte ad una fase anteriore ed inducendo così il pubblico ministero all’adozione di un provvedimento (la nuova imputazione) destinato a confliggere, in virtù del divieto di doppio processo, con la sentenza di “assoluzione”, una volta passata in giudicato, con conseguente stasi del procedimento (in termini sull’affermato principio, Sez. 2, n. 35630 del 16/05/2023, Smaniotto, Rv. 284955 – 01; Sez. 5, n. 42996 del 14/09/2016, Ciancio, Rv. 268202 – 01).

Nel caso di specie il giudice, infatti, non solo ha saltato la fase di interlocuzione con le parti al fine di dare al fatto quella che egli riteneva la corretta qualificazione giuridica, ma ha definito il processo con due diversi provvedimenti: uno interlocutorio che, appunto, non prevede alcuno strumento di impugnazione (in termini, seppur con riguardo a fattispecie differente, Sez. 6, n. 36635 del 3/06/2014, Grossi, Rv. 260254 – 01), ed uno decisorio che prevede uno strumento di impugnazione, l’appello, non idoneo a rimuovere il vizio determinato dalla pretermissione della fase procedimentale.

Invero, il pur previsto atto di gravame ha il solo scopo di ottenere che il giudice di appello fissi l’udienza dibattimentale laddove non condivida la decisione del giudice di primo grado.

Ma tale giudizio, anche laddove il giudice di appello non concordasse con la decisione del giudice predibattimentale, non consentirebbe di recuperare l’interlocuzione idonea a rimuovere l’impasse determinato dall’omesso contraddittorio sulla verifica dell’imputazione.

Né sarebbe possibile per il pubblico ministero esperire il ricorso per saltum, poiché detta facoltà è conferita dall’art. 569 cod. proc. pen. esclusivamente avverso la sentenza che definisce nel merito il primo grado di giudizio, ovvero altre tipologie di decisioni espressamente previste, tra le quali non rientra quella in esame (in termini, Sez. 3, ord. n. 5452 del 27/10/2022, dep. 2023, P., Rv. 284138 – 01; Sez. 5, n. 12864 del 12/04/2024, P., Rv. 286561 – 01).

Inoltre, se la Corte d’appello ritenesse corretta la decisione del giudice nell’escludere la ragionevole prevedibilità di condanna sulla fattispecie oggetto di sentenza – la ricettazione – determinerebbe un ulteriore vulnus, che è appunto quello determinato dalla sentenza di proscioglimento, ovvero di costringere il pubblico ministero ad esercitare l’azione penale esclusivamente per il reato di furto, essendogli inibito dalla sentenza di proscioglimento di esercitarla nuovamente (se lo ritenesse) per il reato di ricettazione, in virtù del principio del ne bis in idem.

Nessuna norma, e nemmeno il novello art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen., infatti, impone al pubblico ministero, cui siano ritrasmessi gli atti affinché provveda alla riqualificazione del fatto, di aderire alla prospettazione effettuata dal giudice.

Quando evidenziato, consente di ritenere che i provvedimenti adottati dal giudice determinino un’indebita regressione del procedimento, non solo perché distonici rispetto alla fisiologica sequenza procedimentale, ma poiché comportano una stasi consistita nella impossibilità per il pubblico ministero di esercitare le proprie prerogative consistenti nell’esercizio dell’azione penale per il reato che intenda qualificare.