Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 11478/2025, udienza del 12 marzo 2025, ha precisato che, in tema di patteggiamento, nonostante il ruolo del giudice non possa considerarsi meramente “notarile” (egli esercitando, comunque, un potere tipicamente giurisdizionale nell’accogliere o rigettare la richiesta di patteggiamento), il suo orizzonte decisionale è, tuttavia, definito dal contenuto dell’accordo delle parti, residuando in suo favore spazi cognitivi autonomi limitatamente a quei contenuti estranei, per loro natura o per espressa volontà della legge, alla struttura negoziale del rito.
Provvedimento impugnato
Il Tribunale di Verona ha applicato ad AM su richiesta la pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 589-bis, cod. pen., con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per anni due.
Ricorso per cassazione
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto la violazione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra la sentenza e la richiesta di applicazione pena, espressamente subordinata alla sospensione condizionale di essa.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso deve essere accolto nei termini di seguito precisati.
Le coordinate ermeneutiche per individuare i poteri del giudice rispetto al contenuto dell’accordo ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., sono state recentemente ben delineate dal giudice della nomofilachia (chiamato a dirimere, tra l’altro, la questione del potere del giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena a uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma 1, cod. pen., pur in mancanza di esplicito consenso dell’imputato): l’elaborazione della giurisprudenza, quanto ai rapporti tra la base negoziale del rito e il potere decisionale del giudice, ha consentito di rinvenire l’equilibrio di tale modello processuale nella necessaria corrispondenza tra le due componenti menzionate.
Si è, infatti, precisato che, nonostante il ruolo del giudice non possa considerarsi meramente “notarile” (egli esercitando, comunque, un potere tipicamente giurisdizionale nell’accogliere o rigettare la richiesta di patteggiamento), il suo orizzonte decisionale è, tuttavia, definito dal contenuto dell’accordo delle parti, residuando in suo favore spazi cognitivi autonomi limitatamente a quei contenuti estranei, per loro natura o per espressa volontà della legge, alla struttura negoziale del rito e la cui ampiezza varia, a causa del regime differenziato introdotto dalla legge n. 134/2003, in ragione dell’entità della pena in concreto concordata.
Alla stregua di tale premessa, si è dunque affermato che l’essenza del patteggiamento non si esaurisce nella retribuzione premiale della rinunzia dell’imputato a contestare l’accusa ed al contraddittorio sulla prova, ma sia definita altresì dalla prevedibilità in concreto della decisione, ossia della possibilità offerta allo stesso imputato di controllo sul contenuto della sentenza (Sez. U, n. 23400 del 27/1/2022, Boccardo, in motivazione).
Anche successivamente, si è chiarito che, in tema di patteggiamento, il giudice, nel ratificare l’accordo intervenuto tra le parti, non può alterarne il contenuto, per esempio, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di un obbligo rimasto estraneo alla pattuizione, posto che, ove reputi l’imputato immeritevole del beneficio, in assenza del previo adempimento dell’obbligo a suo carico, non ha alcuna alternativa rispetto al rigetto dell’istanza (Sez. 3, n. 19605 del 25/01/2023, Rv. 284614 – 01). Nella specie, sussiste il vizio di difetto di correlazione denunciato dalla difesa, ma le conseguenze non determinano l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, nella premessa della decisione censurata, il giudice ha dato espressamente atto del contenuto dell’accordo, comprensivo della pattuita subordinazione della efficacia della richiesta alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Nel corpo della motivazione, poi, a fronte di tale premessa, il Tribunale ha ritenuto che il beneficio della non menzione (da ritenersi, però, estraneo al patto, lo stesso giudice non avendovi fatto alcun riferimento in sentenza) seguisse per legge, sebbene neppure di esso vi sia menzione in dispositivo.
Appare decisivo nel senso della configurazione di un errore materiale la circostanza che è lo stesso giudice a richiamare il contenuto dell’atto negoziale comprensivo della subordinazione dell’accordo al beneficio non menzionato in dispositivo, posto che, ove tale beneficio non fosse stato ritenuto accordabile, il giudice avrebbe dovuto rigettare in toto il patto.
Tale conclusione costituisce, peraltro, riaffermazione di un principio già formulato dalla Suprema Corte che, in un’ipotesi perfettamente sovrapponibile, ha precisato che il giudice, ove la richiesta concordata di applicazione della pena sia subordinata alla concessione della sospensione condizionale, è tenuto a pronunziarsi sulla concedibilità o meno del beneficio, ratificando in caso positivo l’accordo delle parti, oppure rigettando in toto la richiesta di patteggiamento (Sez. 5, n. 13103 del 03/12/2015, dep. 2016, Rv. 267555 – 01, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha annullato la decisione del giudice che aveva reso sentenza ex art. 444, cod. proc. pen., senza pronunciarsi sulla concordemente chiesta sospensione condizionale della pena).
Come anticipato, tale errore può essere, tuttavia, emendato in questa sede, senza necessità di annullamento. Intanto, la previsione dell’art. 619, cod. proc. pen., non ha carattere speciale e derogatorio rispetto a quella di cui all’art. 130 cod. proc. pen., che, ove il provvedimento da emendare sia impugnato, prevede la competenza del giudice dell’impugnazione, a condizione che quest’ultima non sia dichiarata inammissibile (Sez. 4, n. 40112 del 20/06/2023, Rv. 285067 – 01).
Infatti, l’art. 130 cod. proc. pen., norma di carattere generale, trova applicazione in tutti i casi di correzione di errori materiali, ivi compresi quelli disciplinati dalla specifica disposizione di cui all’art. 619 cod. proc. pen., «che non può essere considerata derogatoria rispetto alla prima, non soccorrendo al riguardo alcun decisivo argomento letterale né sistematico idoneo a differenziare la disciplina dell’emenda dell’errore materiale dinanzi alla Corte di legittimità, il cui presupposto resta la presentazione di un ricorso che sia (anche) pertinente a vizi di legittimità».
Del resto, anche il ricorso per cassazione costituisce ordinario mezzo di impugnazione, sicché la disposizione di cui all’art. 130 cod. proc. pen., che esclude il potere di rettifica del giudice dell’impugnazione qualora la stessa sia dichiarata inammissibile, non può che trovare applicazione anche al giudizio di legittimità, posto che altrimenti tale disposizione non avrebbe ragione di essere.
In tale prospettiva, dunque, va ribadito il principio per il quale la norma di cui all’art. 619 cod. proc. pen. va interpretata nel senso che la rettifica (del provvedimento impugnato) è sempre possibile, nei termini indicati dalla specifica disposizione in questione, a condizione che il ricorso sia stato proposto per motivi che lo rendano ammissibile ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Nella specie, il ricorso non è certamente inammissibile, risultando al contrario fondato il denunciato difetto di correlazione, cosicché questa Corte può esercitare il suo potere di rettifica.
Tale conclusione trova, ancora una volta, l’avallo della giurisprudenza legittimità, secondo la quale, in caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, nella quale il giudice abbia omesso di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena a cui era subordinata l’efficacia dell’accordo, qualora dal tenore della decisione possa desumersi che siffatta mancata pronuncia sia da ascrivere ad una mera omissione, si configura un’ipotesi di errore materiale che, in difetto di cause ostative alla concessione del beneficio, può essere emendato ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. anche dalla Corte di cassazione mediante diretta integrazione della sentenza sul punto (Sez. 4, n. 5357 del 04/02/2020, Rv. 278444 – 01; Sez. 3, n. 3741 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280872 – 01, in cui, in ipotesi di accordo la cui efficacia era stata subordinata al beneficio, come risultava da verbale di udienza, la Corte ha sottolineato l’alternativa secca posta al giudice dal procedimento speciale, tra accogliere la richiesta in modo aderente alla proposta, se conforme ai presupposti di legge, ovvero, invece, rigettarla, procedendo oltre nel giudizio).
Nel caso all’esame, in difetto di cause ostative al riconoscimento del beneficio, non evidenziate nella sentenza impugnata e, invero, neppure emergenti dal certificato aggiornato del casellario giudiziale, può procedersi, pertanto, alla correzione del dispositivo nel senso richiesto e nei termini di cui al dispositivo.
Si dispone quindi la correzione del dispositivo della sentenza pronunciata dal Tribunale di Verona nei confronti di AM, nel senso che, laddove è scritto «la pena di anni 1 mesi 6 di reclusione, operata la diminuzione per il rito» deve leggersi «la pena condizionalmente sospesa di anni 1 mesi 6 di reclusione, operata la diminuzione per il rito».
