Maltrattamenti in famiglia e l’imposizione della dipendenza economica (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 12444 depositata, oggi, 31 marzo 2025 ha stabilito che integra il delitto di maltrattamenti in famiglia l’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente, quando i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche e organizzative assunte in seno alla famiglia, unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza o di prevaricazione psicologica.

La Suprema Corte ha richiamato il recente precedente della medesima sezione sentenza numero 1268/2025 che ha affermato le condizioni per le quali il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi è configurabile quando con atti di violenza o prevaricazione psicologica si esercita una forma di controllo economico della persona offesa.

Ricordiamo che la cassazione sezione 2 con la sentenza numero 11290/2023 ha ricordato che il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso verso il quale sia finalizzata, fin dalla rappresentazione iniziale, la serie di condotte tale da cagionare le abituali sofferenze fisiche o morali alla vittima, essendo invece sufficiente la sola consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già avvenuta in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima stessa (Sez. 1, n. 13013 del 28/01/2020, D., Rv. 279326; Sez. 3, n. 1508 del 16/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274371; Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D’A., Rv. 259677).

Inoltre, affinché sia integrato il delitto previsto dall’art. 572 cod. pen., non è necessario che gli atti vessatori vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando neppure, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (dr., ad es., Sez. 3, n. 10378 del 08/01/2020, M., non mass. sul punto nonché Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, D.L, Rv. 272452).

Alla luce di questo ultimo principio, in conformità ad altre pronunce risalenti nel tempo (Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, C., Rv. 201148; Sez. 6, n. 2359 del 09/12/1969, dep. 1970, F., Rv. 113944), si è osservato che, laddove «la pluralità dei fatti, idonea ad integrare la struttura del reato di maltrattamenti, si esaurisca per poi manifestarsi di nuovo, la consistenza dello iato temporale intercorrente tra le due serie di condotte non ha rilievo al fine di escludere, di ciascuna, la prescritta abitualità.

L’interruzione può valere, al più, infatti, ove risulti notevolmente dilatata nel tempo, a far ritenere, delle distinte serie, la natura di due autonomi reati di maltrattamenti in famiglia, eventualmente uniti dal vincolo della continuazione nella sussistenza del medesimo disegno criminoso» (così Sez. 6, n. 56961 del 19/10/2017, F., Rv. 272200).