Richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto : ordinanza di imputazione coatta a seguito di opposizione dell’indagato (Riccardo Radi)

Segnaliamo la decisione della cassazione che ha sottolineato l’interesse dell’indagato all’accesso ad un procedimento che consenta, quale esito definitorio, l’estinzione del reato e non invece l’archiviazione per particolare tenuità del fatto ( evitare l’iscrizione nel casellario giudiziale, quale effetto dell’archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto) in ragione degli effetti più favorevoli che sono collegati al primo dei due percorsi descritti

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 5265/2025 ha stabilito che in tema di archiviazione, non è abnorme l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari, a seguito di opposizione avanzata dall’indagato avverso la richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, disponga che il pubblico ministero formuli l’imputazione coatta.

L’art. 411 comma 1-bis cod. proc. pen. stabilisce che: “[…] Se l’archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta“.

Il comma richiamato – introdotto dal D.Igs. 28/2015 – prevede che, a fronte di una richiesta di archiviazione proposta dal Pubblico ministero per particolare tenuità del fatto, l’indagato nel presentare l’atto di opposizione esprima “le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.”

La espressione utilizzata dalla norma rimanda evidentemente ad un interesse della parte ad ottenere una decisione in senso a lui più favorevole.

Se questo appare evidente nell’ipotesi in cui l’interesse è quello di dimostrare l’insussistenza del reato, può tuttavia ravvisarsi egualmente un interesse rilevante e oggetto di tutela laddove la decisione più favorevole che si intende ottenere consenta di evitare l’iscrizione nel casellario giudiziale, quale effetto dell’archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto.

Al riguardo, infatti, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, ferma restando la non menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione. (S.U. n. 38954 del 30/05/2019, PM c. De Martino, Rv. 276463).

Dunque, ben può il ricorrente avere interesse all’accesso ad un procedimento che consenta, quale esito definitorio, l’estinzione del reato e non invece l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in ragione degli effetti più favorevoli che sono collegati al primo dei due percorsi descritti.

Nel caso in esame l’indagato ha rappresentato nell’atto di opposizione l’interesse di presentare domanda di sospensione del procedimento, con contestuale richiesta di messa alla prova, evidenziando gli effetti più favorevoli che deriverebbero dall’esito di tale procedimento (in caso di superamento positivo della messa alla prova) rispetto all’archiviazione per particolare tenuità del fatto.

Diversamente da quanto sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, non vi è alcuna disposizione di legge che impedisca all’indagato di richiedere con l’atto di opposizione una forma di definizione del procedimento più favorevole dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto quale una diversa modalità di estinzione del reato.

Quest’ultima, per le ragioni già chiarite, è comunque una forma di definizione più favorevole.

A fronte, dunque, di siffatta richiesta, il giudice per le indagini preliminari ha esercitato legittimamente un potere che rientra nell’alveo dei casi consentiti dalla legge: quello, cioè, previsto dall’art. 409 comma quinto cod. proc. pen. che disciplina la cd. imputazione coatta.

Anche in tal caso la formulazione dell’art. 409 comma quinto cod. proc. pen. (“[…]il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione. […]“) si riferisce a tutti i casi in cui il giudice non accolga la richiesta di archiviazione, salvo che non ritenga che il pubblico ministero debba compiere ulteriori investigazioni ai sensi dell’art. 409 comma quarto cod. proc. pen.

L’imputazione coatta si presenta, in realtà, nel caso di specie, atto necessario e funzionale a decidere sulla suddetta richiesta di messa alla prova. Il provvedimento impugnato, preso atto che in virtù del principio del favor rei la richiesta avanzata dall’indagato era meritevole di accoglimento, ha evidenziato che “[..] l’unico modo per poter dar seguito alla richiesta dell’indagato è formulare ‘ordinanza di imputazione coattiva, permettendo così poi al difensore di presentare correttamente richiesta di elaborazione del programma UEPE [..].

Né può ritenersi dal punto di vista funzionale che l’ordinanza determini una ipotesi di indebita regressione del procedimento ad una fase precedente.

Alcuna regressione, infatti, può ravvisarsi, atteso che il procedimento camerale che si instaura a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione ha inizio e si esaurisce nella fase delle indagini preliminari.

Inoltre, il potere che esercita il giudice per le indagini preliminari è legittimamente finalizzato a permettere l’esercizio di un diritto spettante all’indagato e non determina la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.

Né siffatte conclusioni risultano in contrasto con quanto affermato dalla Suprema Corte, secondo cui, in tema di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, l’opposizione dell’indagato, il cui interesse è quello di dimostrare l’insussistenza del reato, deve essere informata, a pena di inammissibilità, agli stessi requisiti di concretezza e pertinenza previsti, per l’opposizione della persona offesa, dall’art. 410 cod. proc. pen., sia pur con riferimento alle ragioni del dissenso contemplato dall’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. rispetto alla fondatezza della notizia di reato (Sez.3, n. 14740 del 19/12/2019, dep.2020, Terzo, Rv. 279380).

In motivazione la sentenza richiamata, nel respingere la censura del ricorrente di non avere potuto fruire – a seguito del provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto – della possibilità di accedere all’oblazione e dell’estinzione del reato che da essa deriva, ha affermato che “[..]non possono essere addotte al fine di paralizzare la disposta archiviazione cause estintive in fieri, peraltro legate ad una condizione meramente potestativa in quanto dipendente da una futura ed incerta manifestazione di volontà dello stesso indagato. In tanto può essere invocata la causa estintiva in quanto si siano realizzate in concreto le condizioni per accedervi [..]“.

Dunque, la sentenza non ha certo escluso che possano essere fatte valere cause estintive del reato in sede di opposizione ex art. 411 comma 1-bis cod. proc. pen., ma ha ritenuto che in quel caso esaminato la semplice manifestazione della volontà di “oblare” ex art. 162- bis cod. pen. non potesse essere interpretata come interesse effettivo e concreto.

Con riferimento al caso in esame va invece evidenziato che il pubblico ministero non ha censurato il provvedimento impugnato in relazione all’effettività e alla concretezza con cui si è espressa la volontà dell’indagato di definire il procedimento in via alternativa, ma ha escluso in radice la possibilità che siffatta strada potesse essere percorsa; possibilità che invece la sentenza di questa Corte richiamata non esclude affatto.