Furto realizzato all’interno di un b&b : configurabilità del furto in abitazione ? (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 8043/2025 ha esaminato la questione relativa alla configurabilità del delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. nel caso di furto commesso all’interno di una stanza di un b&b.

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 624-bis cod. pen. dubitando che la stanza di un B & B possa essere ritenuta “luogo di privata dimora“, perché difetterebbero due dei tre presupposti che le Sezioni Unite, nella sentenza n. 31345 del 2017 (ric. D’Amico, Rv. 270076), hanno individuato per assimilare un luogo diverso dall’abitazione alla “privata dimora” di cui alla disposizione codicistica, vale a dire la stabilità del rapporto che lega l’usuario al sito e lo ius excludendi alios.

Ebbene, la tesi propugnata nel ricorso non può trovare accoglimento, siccome infondata, dal momento che il ricorrente, pur partendo dalla lettura di un precedente di sicuro riferimento per l’interprete, ne trae conseguenze non corrette.

Secondo l’autorevole approdo — concernente la riconducibilità del concetto di privata dimora rilevante ex art. 624-bis cod. pen. ai luoghi di lavoro — gli indici cui ancorare la classificazione di un luogo come di privata dimora sono:

«a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne;

b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;

c) non accessibilità de/luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare».

La difesa dell’imputato contesta che, quando il furto avvenga nella stanza di un B & B, ricorrano i presupposti di cui alle lett. b) e c), ma si tratta di un’opzione ermeneutica che non può essere condivisa.

In particolare, non rileva che il luogo teatro dei fatti appartenesse ad una struttura ricettiva e che le persone offese non vi risiedessero o dimorassero stabilmente, non essendo detta delimitazione cronologica indice di un utilizzo del tutto momentaneo, quanto, piuttosto, la naturale conseguenza delle caratteristiche del rapporto che legava le vittime alla struttura e della funzionalità di quest’ultima a costituire il loro alloggio per le vacanze, caratteristiche connaturate alla destinazione del sito.

Ciò non toglie che, per il periodo in cui le persone offese utilizzavano la struttura, quest’ultima costituisse il luogo ove le medesime svolgevano atti della propria vita privata, luogo che doveva essere posto al riparo da intrusioni altrui perché integrante un contesto paradomestico.

Si reputa, infatti, che il concetto di “mera occasionalità” di cui hanno scritto le Sezioni Unite quale indicatore negativo per la definizione di un luogo come “privata dimora” di chi lo occupa vada riferito a situazioni diverse da quella sub iudice, situazioni nelle quali il rapporto tra l’offeso e il sito si instauri una tantum ed in maniera del tutto transitoria e non quando, sia pure in assenza di una stabilità della collocazione della persona offesa protratta per settimane, mesi o anni, il luogo venga adibito ad alloggio di quest’ultima per il tempo necessario a soddisfare l’esigenza per cui il soggetto se ne è procurato la disponibilità.

Non è senza rilievo evidenziare, a questo riguardo, due spunti in questa direzione che si colgono nella sentenza D’Amico.

Il primo è che la stabilità viene ravvisata nelle situazioni in cui «un luogo [….] sia stato adibito (in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico) allo svolgimento di atti della vita privata» dando, così, spazio ad una valutazione circa il connotato dell'”apprezzabilità” che ben si presta ad essere ravvisato quando si instauri il rapporto tra fruitore della stanza della struttura ricettiva e quest’ultima.

Il secondo indicatore ermeneutico va colto nel fatto che le Sezioni Unite hanno richiamato, nel loro percorso ricostruttivo, altro precedente del massimo Consesso — Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269 – 01.

Secondo tale arresto, infatti, il concetto di domicilio è collegato allo svolgimento in un determinato luogo di atti della vita privata, anche se per un periodo di tempo limitato, in modo da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne, da garantirgli quindi la riservatezza e da rendere meritevole di tutela da intrusioni esterne tale luogo indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché esso rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente.

Per acquisire autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità e per assurgere a luogo meritevole della tutela che il codice penale appresta al domicilio — concludono sul punto le Sezioni Unite — è necessario il requisito della “stabilità“, anche se quest’ultima deve essere intesa in senso relativo ed essere esclusa quando il luogo venga utilizzato dalla persona in maniera del tutto transitoria ed in relazione ad uno specifico e transitorio bisogno o attività.

In conclusione è dunque evidente — ribadisce la cassazione, ispirandosi agli spunti offerti dai precedenti evocati — che il concetto di stabilità debba essere riguardato rispetto al tempo in cui un soggetto ha la disponibilità del sito e che, nel caso di chi fruisca di una stanza di albergo o di struttura ricettiva a quest’ultimo assimilabile, esso vada valutato contestualizzando il rapporto della persona offesa con il iocus commissi delicti nell’ambito del rapporto contrattuale che lo lega all’albergatore e della fruizione del servizio alberghiero cui il pagamento del prezzo del servizio lo legittima.

Nel periodo cui si riferisce la conclusione del contratto tra albergatore e cliente, quest’ultimo ottiene la disponibilità di un alloggio all’interno del quale avvengono manifestazioni delle proprie primarie funzioni vitali (si pensi al riposo notturno) e della propria personalità e intimità che esigono l’esclusione di estranei (in termini Sez. 5, n. 19938 del 15/04/21, n.m., quanto ad un bungalow)

E qui veniamo al secondo aspetto rimarcato nel ricorso, vale a dire quello della pretesa inesistenza di uno ius excludendi alios in capo al cliente di una struttura ricettiva.

Sul punto va respinta la tesi sostenuta nel ricorso, secondo la quale la stanza di un B & B non sarebbe privata dimora di chi la adopera perché il personale della struttura può farvi ingresso, dal momento che ciò non può avvenire ad libitum, ma solo previo assenso del cliente.

Tale assenso è implicito nella conclusione del contratto di albergo qualora, per restare ad un esempio indicato nel ricorso, tra i servizi offerti dalla struttura per cui il cliente paga, vi siano anche pulizie, perché la loro esecuzione presuppone necessariamente l’accesso nella stanza; accesso che, tuttavia il cliente può impedire, rinunciando al servizio e non consentendo, così, l’ingresso al personale addetto.

Così come, se è vero — come pure sostiene il ricorrente — che il personale della struttura ricettiva normalmente ha un’altra copia delle chiavi della stanza e può farvi ingresso, questo può accadere solo, appunto, per eseguire le pulizie ovvero comunque per l’esecuzione di attività funzionali alla prestazione del servizio o alla manutenzione della struttura e sempre che il cliente, se in stanza, non si opponga all’ingresso ovvero non abbia fin dal principio rinunziato ai servizi complementari offerti dalla struttura.