Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 9800/2025, udienza del 4 marzo 2025, ha ribadito che l’assunzione solo formale della carica di amministratore di una società, poi dichiarata fallita, non comporta l’automatica esenzione del soggetto che l’abbia rivestita da responsabilità per i reati di bancarotta documentale, fraudolenta o semplice, atteso che l’amministratore è il diretto destinatario dell’obbligo derivante dall’art. 2932 cod. civ. relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754).
Da qui il corollario per cui, qualora l’amministratore solo formale deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabilità o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società, egli non è esonerato dal dovere di vigilare sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatto e, conseguentemente, dalla responsabilità penale, eventualmente in forza del disposto di cui all’art. 40, comma 2, cod. pen., se viene meno a tale dovere (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Rv. 280133).
Se non sussiste alcuna automatica esenzione di responsabilità per l’amministratore solo “formale”, nemmeno può, però, altrettanto automaticamente affermarsi la sua responsabilità dolosa per le condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell’integrazione dell’elemento materiale del reato: in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27, comma 1, Cost., intesa come responsabilità per il fatto proprio e colpevole, è, infatti, necessaria la dimostrazione, non solo astratta e presunta, ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, Rv. 282280).
Con riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale c.d. “generica” di cui alla seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2), LF, per la sussistenza del dolo – che è quello generico – non è, dunque, necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati sulla contabilità.
È, piuttosto, necessario che l’amministratore “testa di legno” abbia abdicato ai propri obblighi pur essendosi rappresentato la significativa possibilità che i gestori di fatto della società ne alterassero fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della fallita, e, ciononostante, abbia deciso di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo onde evitare che ciò accadesse. Adesione volontaristica, nei termini anzidetti, all’eventualità di una tenuta fraudolenta della contabilità sociale da parti di altri di cui l’assunzione formale della carica costituisce un importante indizio, suscettibile di trasformarsi in prova diretta dell’elemento psicologico tipico del detto reato, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.
