Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 10488/2025, udienza del 5 marzo 2025, ha affermato che l’istituto ex art. 131-bis, cod. pen., è una norma di natura sostanziale sicché le sue modifiche in peius, come quella che ne ha precluso l’applicazione per i reati di cui agli artt. 336, 337 e 341-bis cod. pen., sono soggette al divieto di retroattività.
L’istituto di cui all’art. 131-bis, cod. pen., costituisce una causa di non punibilità in senso stretto e ha la finalità di evitare la reazione punitiva dello Stato quando il fatto, pur essendo accertato in tutti i suoi presupposti, sia caratterizzato da un’offensività minimale che rende superflua l’applicazione della sanzione penale.
Si tratta di una norma di natura sostanziale il cui «scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo…» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266594).
L’art. 131-bis, comma 2, cod. pen. è stato modificato con la legge 8 agosto 2019, n. 77, (“Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”) e successivamente con la c.d. Riforma “Cartabia”.
Per quanto di interesse, con i menzionati interventi normativi, si è stabilito che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i reati di cui agli artt. 336, 337 e 341-bis cod. pen.
Detta innovazione legislativa, quindi, incidendo su norme penali sostanziali impone l’applicazione del principio, costituzionale e convenzionale, di irretroattività della legge più sfavorevole in forza degli artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU, per come ulteriormente declinato dall’art. 2, comma 4, cod. pen.: il concetto di disposizione più sfavorevole non si riferisce solo all’entità della sanzione della norma applicabile, ma riguarda tutte le disposizioni penali che apportano modifiche in peius al complessivo trattamento riservato al reo, ivi comprese le cause di non punibilità, come appunto quella in esame.
Nel caso in oggetto, la condotta di reato, di cui il ricorrente si è reso autore, si è consumata alla data del 28 luglio 2018, quando il testo della norma non riteneva ostativo il titolo di reato per cui si procede.
Pertanto, la Corte territoriale – ritenendo che la norma in oggetto escludesse «per la fattispecie criminosa in esame di cui si è reso responsabile l’imputato, che l’offesa possa [potesse] essere ritenuta di particolare tenuità», è incorsa nella violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen., applicando retroattivamente una norma sostanziale, sopravvenuta alla consumazione dei fatti-reato in contestazione e sfavorevole al reo (così Sez. 6^, n. 23623 del 21/05/2024, Rv. 286629 – 01).
