Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 10790/2025, udienza del 4 marzo 2025, ha affermato che anche nel procedimento di sorveglianza è consentita la dichiarazione di inammissibilità de plano di un’istanza che riproponga senza variazioni gli stessi elementi di un’altra precedente già rigettata e che, tuttavia, tale esito è precluso allorché la nuova richiesta contenga nuove domande o elementi di novità.
il modello procedimentale tipico in materia di sorveglianza, delineato dall’art. 666 cod. proc. pen., al quale rinvia l’art. 678, comma 1 del medesimo codice, si caratterizza per il ricorso alle forme dell’udienza in camera di consiglio con la partecipazione delle parti.
Tuttavia, in forza del disposto del comma 2 dell’art. 666 cod. proc. pen., la decisione di inammissibilità dell’istanza, con decreto motivato, è adottata de plano, sentito il PM, quando “la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge” ovvero quando essa “costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi“.
Configurandosi, dunque, l’inammissibilità disposta de plano in termini di eccezione alla regola generale del contraddittorio, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ricostruito in termini tassativi e comunque rigorosi le condizioni che consentono l’adozione del relativo decreto.
In questa prospettiva, si è affermato che la richiesta debba essere identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata ovvero che la valutazione di manifesta infondatezza non debba implicare alcun giudizio di merito e alcun apprezzamento discrezionale (Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, dep. 13/07/2018, Rv. 273714; Sez. 1, n. 53017 del 2/12/2014, Rv. 261662; Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Rv. 257017).
È, quindi, indubbio che anche nel procedimento di esecuzione e di sorveglianza operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (Sez. 1, n. 3736 del 15/1/2009, Rv. 242533).
Per arginare richieste meramente dilatorie, con tale limite si è inteso creare un filtro processuale, ritenuto dal legislatore necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale. In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esecutivo», impiegata in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un accertamento rebus sic stantibus: più correttamente, la stabilizzazione giuridica di siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione», proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato.
È, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, allorquando la precedente richiesta sia stata respinta, è ammissibile la proposizione di una nuova istanza solo quando si fondi su nuovi elementi. Infatti, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta rigettata configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengono dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (Sez. 1, n. 19358 del 5/10/2016, dep. 2017, Rv. 269841).
Il provvedimento del Tribunale di sorveglianza divenuto definitivo, pertanto, preclude una nuova pronuncia sul medesimo petitum non già in maniera assoluta e definitiva, ma rebus sic stantibus, ossia finché non si prospettino nuovi dati di fatto (o nuove questioni giuridiche), per tali intendendosi non solo gli elementi sopravvenuti, ma anche quelli preesistenti dei quali non si sia tenuto conto nella precedente decisione.
Nel caso in esame il presidente del Tribunale di sorveglianza non avrebbe potuto dichiarare l’inammissibilità della richiesta del ricorrente, considerando che nella nuova istanza il condannato aveva introdotto elementi di novità, quali, da un lato, la richiesta, mai prima formulata, di accesso alla misura alternativa della semilibertà, e dall’altro il rapporto di parentela con i fratelli M., quale elemento di giustificazione alla, in precedenza, ritenuta contiguità ad ambienti mafiosi.
Il potere di rilevare senza contraddittorio l’inammissibilità per difetto delle condizioni di legge, attribuito al presidente del Tribunale di sorveglianza dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., richiamato dal successivo art. 678 cod. proc. pen., è limitato invece ai casi in cui appaiono insussistenti ictu oculi i presupposti normativi per la concessione del beneficio (Sez. 1, n. 31999 del 6/7/2006, Rv. 234889), sicché deve essere riservata al collegio, col rito camerale, la delibazione di fondatezza nel merito dell’istanza.
Sulla scorta di quanto precede il decreto presidenziale impugnato deve essere annullato senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza di Catania per l’ulteriore corso.
