Decreto di sequestro di dati informatici emesso dal PM: requisiti della motivazione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 8376/2025, udienza del 28 gennaio 2025, ha ribadito che il decreto di sequestro di dati informatici emesso dal PM è legittimo ove contenga una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporlo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante”, in maniera più specifica, l’oggetto del sequestro. La motivazione deve, cioè, essere tale da far emergere, sia pure per relationem rispetto alle condotte descritte, l’oggetto del sequestro e la plausibile aspettativa del rinvenimento di ciò che si ricerca ai fini di prova proprio attraverso le cose da sequestrare.

In relazione ad un computer o altro dispositivo informatico o elettronico, il cui, ampio, contenuto non è conoscibile preventivamente, il criterio di selezione non può che essere quello della pertinenzialità del dato rispetto al reato ipotizzato ed è pertanto sufficiente che emerga l’ambito – circoscritto – entro il quale deve eseguirsi il sequestro.

Provvedimento impugnato

Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame di Ancona ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di LL, personalmente e nella qualità di legale rappresentante della “P. SRL”, avverso il decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Ancona nei confronti, tra l’altro, di LL, indagato per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e truffa ai danni dello Stato.

Ricorso per cassazione

Avverso il suindicato provvedimento, ricorre per cassazione LL, personalmente e nella qualità di legale rappresentante della “P. SRL, tramite il difensore di fiducia, munito di procura speciale, deducendo per ciò che qui interessa la nullità del sequestro per mancanza di convalida da parte del giudice in violazione dell’articolo 355, comma 2, del codice di rito. In ordine a tale censura, già avanzata in sede di riesame sul presupposto della genericità del decreto di perquisizione e sequestro, il Tribunale ha evidenziato come la stessa sia inammissibile, oltre che destituita di fondamento, in quanto la Procura della Repubblica di Ancona ha pedissequamente descritto l’oggetto del sequestro e ha individuato tempo e ragioni per le quali si rendeva necessaria la temporanea apprensione dei supporti o strumenti informatici per l’estrazione di copia forense dei contenuti.

Ciò posto, in ordine all’ammissibilità del predetto motivo, il ricorrente evidenzia che il PM, ex art. 247, cod. proc. pen., ha disposto la perquisizione e sequestro dei supporti informatici con un’indicazione generica.

L’iscrizione dei beni a determinate categorie, quando genericamente indicate, come ha fatto la Procura di Ancona, implica che l’individuazione dei beni da sequestrare avvenga nella fase esecutiva con conseguente necessità anche in tal caso di un successivo provvedimento di convalida. Il gravame interposto dal ricorrente aveva ad oggetto non la fase esecutiva del decreto emesso dal PM ma il decreto medesimo, stante l’evidente indicazione nel corpo dello stesso di estendere a tutti i supporti informatici la perquisizione, posto che lo stesso PM riteneva ab origine impossibile la loro immediata individuazione.

A conferma della necessità della convalida del sequestro anche da parte del GIP, recentemente la Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella causa c-548/21, ha affermato che l’accesso ai dati dei telefoni cellulari deve essere subordinata ad un controllo preventivo effettuato da un giudice o da un organo amministrativo indipendente, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati.

Decisione della Corte di cassazione

Il motivo è infondato.

Giova, al riguardo, premettere che la Suprema Corte, in tema di sequestro probatorio, sia pure con riferimento ad indagini relative al delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti di cui all’art. 612-ter, cod. pen. commesso mediante accesso alla “rete”, ha già avuto modo di osservare che l’attività della PG non necessita di convalida nel caso in cui, il decreto del PM disponga, senza ulteriori specificazioni, l’ablazione di dispositivi informatici in uso all’indagato, in quanto, trattandosi di beni correlati alla tipologia del reato per cui si procede, l’indicazione non lascia spazio alla discrezionalità degli operanti (Sez. 5, n. 38219 del 15/09/2022, Rv. 283800 – 01).

Ciò che rileva è che il PM adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre il sequestro, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante”, in maniera più specifica, l’oggetto del sequestro. La motivazione deve, cioè, essere tale da far emergere, sia pure per relationem rispetto alle condotte descritte, l’oggetto del sequestro e la plausibile aspettativa del rinvenimento di ciò che si ricerca ai fini di prova proprio attraverso le cose da sequestrare.

In relazione ad un computer o altro dispositivo informatico o elettronico, il cui, ampio, contenuto non è conoscibile preventivamente, il criterio di selezione non può che essere quello della pertinenzialità del dato rispetto al reato ipotizzato ed è pertanto sufficiente che emerga l’ambito – circoscritto – entro il quale deve eseguirsi il sequestro.

Non potrebbe giungersi a conclusione diversa rispetto al caso di specie, dal momento che, come si evince dalla mera lettura del provvedimento impugnato, questo ha descritto l’oggetto del sequestro e individuato tempi e ragioni per le quali si rendeva necessaria la temporanea apprensione dei supporti o strumenti informatici per l’estrazione di copia forense dei contenuti, indicando anche í criteri di selezione. Ha, in particolare, precisato le finalità della perquisizione e sequestro, evidenziando che si tratta di ricostruire la vicenda criminosa che si va delineando, segnatamente le modalità di consumazione delle condotte distrattive e di frode, i rapporti tra tutte le parti coinvolte e, in particolare, tra gli amministratori della C. e i soggetti che risultano formalmente legali rappresentanti delle società affittuarie all’atto della sottoscrizione dei contratti, gli accordi intercorsi tra gli stessi nelle fasi immediatamente precedenti e successive alla stipula dei contratti di affitto, nonché le comunicazioni, anche mediante strumenti di messaggistica, intercorse tra le medesime parti durante lo svolgersi della procedura di concordato preventiva, tuttora in corso anche a seguito delle relazioni dei commissari giudiziali.

Tali specifiche finalità, unitamente ai criteri dettati per la selezione dei contenuti da porre in sequestro, strettamente connessi alle prime e alla tipologia delle condotte che si reputano già venute in evidenza, consentono di ritenere che il provvedimento del PM non sia affatto generico e non lasci spazio alla discrezionalità degli operanti che devono eseguirlo.

Quanto, poi, alla necessità della convalida da parte del giudice alla stregua della sentenza della Corte di Giustizia Europea citata in ricorso (Grande Camera, 4 ottobre 2024, Causa C-548/21), è il caso di precisare che tale pronuncia ha concluso che “non osta a una normativa nazionale che concede alle autorità competenti la possibilità di accedere ai dati contenuti in un telefono cellulare, a fini di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale, se tale normativa: definisce in modo sufficientemente preciso la natura o le categorie dei reati in questione, garantisce il rispetto del principio di proporzionalità, e subordina l’esercizio di tale possibilità, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati, ad un controllo preventivo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente“.

Ente amministrativo autonomo certamente individuabile, quanto all’ordinamento italiano, nella figura del PM, quale autorità giudiziaria che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell’indagato.

Rimane solo da precisare che, essendo il sequestro delegato alla PG nel caso di specie supportato, a monte, dal provvedimento autorizzativo del PM – di perquisizione e sequestro – del cui legittimo contenuto si è sopra detto, si deve escludere che nella fattispecie in esame assuma rilievo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 170 del 2023 e dalla Suprema Corte a seguito di tale sentenza.

Avendo il Giudice delle leggi chiarito che «lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenta, di per sé, una forma di corrispondenza», e ciò anche nel caso in cui si tratti di messaggi già ricevuti e letti dal destinatario, con l’unica eccezione che, in ragione del tempo trascorso, il messaggio non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”, la Suprema Corte, facendo tesoro delle chiare indicazioni della Corte costituzionale, ha abbandonato l’orientamento precedente ed ha affermato che i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico costituiscono corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”, sicché, fino a quel momento, la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall’art. 254 cod. proc. pen. per il sequestro della corrispondenza (Sez. 2, n. 25549 del 15/05/2024, Rv. 286467) ovvero, quanto al sequestro in questione, con decreto motivato del pubblico ministero (da ultimo, Sez. 6, n. 39548 del 11/09/2024, Rv. 287039 – 01 che ha affermato che in tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi “WhatsApp” acquisiti, in violazione dell’art. 254 cod. proc. pen., mediante “screenshots” eseguiti dalla PG, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del PM).

Tale conclusione è stata condivisa anche dalle Sezioni unite penali, che, risolvendo un contrasto in tema di ordine europeo di indagine non rilevante nel caso in esame, oltre ad abbracciare le indicazioni della Corte costituzionale sulla nozione di corrispondenza, hanno chiarito che la tutela prevista dall’art. 15 Cost. non richiede che per la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza e, dunque, per la sua acquisizione ad un procedimento penale, sia necessario un provvedimento del giudice (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, in motivazione, par. 14.2; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, in motivazione, par. 11.2).

Ciò in quanto, come emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C584/19), il sintagma «autorità giudiziaria» indica una categoria in cui sono compresi sia il giudice che il PM.

Sicché, anche sotto tale profilo, alla stregua delle ulteriori considerazioni di recente sviluppate nella giurisprudenza di legittimità, si deve ritenere “chiuso il cerchio” quanto alla non necessarietà del provvedimento di un giudice ai fini del sequestro di dati informatici assimilabili al concetto di corrispondenza – e alla sufficienza, invece, di un provvedimento dispositivo del PM – che nel caso di specie sussiste e, per le ragioni suesposte, presenta contenuti idonei a supportare ciò che è stato poi acquisito in sede di esecuzione da parte della PG (sicché non necessitava alcun provvedimento successivo di convalida né da parte di un giudice né da parte del PM).