Giudizio direttissimo e stupefacenti : la convalida dell’arresto con l’eventuale richiesta di applicazione misura cautelare in assenza del narcotest o della consulenza (Riccardo Radi)

Buona parte dei giudizi direttissimi vertono sui reati in materia di stupefacenti, abbiamo ricevuto una richiesta da una lettrice di trattare il tema degli stupefacenti e dell’arresto in flagranza.

La domanda posta è: “… senza l’effettuazione del narcotest sulla sostanza sequestrata e indicata come stupefacente il giudice può convalidare l’arresto operato dalle forze dell’ordine e applicare una misura cautelare? Quale potrebbe essere l’esito del giudizio ?

Allora come al solito basiamoci su dei fatti concreti esaminati dalla Suprema Corte.

Fatto

Con ordinanza adottata in data 10 ottobre 2020, il Giudice monocratico ha rigettato la richiesta di convalida dell’arresto di R.S. per il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.

La condotta contestata a R.S. riguarda la detenzione di sostanza pari a 195,00 grammi lordi, suddivisa in due panetti, custodita all’interno di una pentola di rame appesa nella cucina dell’abitazione in cui il medesimo vive / unitamente a moglie e figlia.

Il Giudice ha rigettato la richiesta di convalida osservando che non è possibile ritenere quale sia la natura della sostanza rinvenuta, in quanto non sottoposta a narcotest, e che, inoltre, la sostanza è stata reperita in un luogo comune dell’abitazione in cui l’indagato vive con moglie e figlia.

Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe il Procuratore della Repubblica.

Decisione

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 30311/2021 ha stabilito che ai fini della convalida dell’arresto in flagranza per il reato di detenzione di stupefacente non è necessario il preventivo esame del narcotest, ma può essere sufficiente, in particolare, il riconoscimento della sostanza da parte degli operatori di polizia giudiziaria in base alla loro specifica esperienza professionale.

E, nella specie è incontestato che il quantitativo di sostanza rinvenuta, da un lato, non era certo modesto e, dall’altro, era anche suddiviso in panetti.

Seguiamo il ragionamento della Suprema Corte.

Occorre premettere che, secondo l’orientamento assolutamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di convalida dell’arresto, il giudice è tenuto ad accertare, con valutazione ex ante – ossia tenendo conto esclusivamente della situazione conosciuta o conoscibile al momento in cui l’arresto fu effettuato e non anche di elementi successivi – l’astratta configurabilità del reato per cui si procede e la sua attribuibilità alla persona arrestata, quali condizioni legittimanti la privazione della libertà personale (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 12954 del 12/01/2021, Rv. 280896-01, nonché, in termini analoghi, Sez. 6, n. 14071 del 04/03/2021, Rv. 281155-01).

In coerenza con questa indicazione, e del suo corollario, secondo cui ai fini della convalida dell’arresto non è necessario accertare l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, la giurisprudenza di legittimità ha già espressamente, e condivisibilmente, evidenziato che, per convalidare l’arresto effettuato in relazione a reati concernenti gli stupefacenti, non è necessaria la preventiva effettuazione dell’esame del narcotest.

Precisamente, si è osservato che, ai fini della convalida dell’arresto in flagranza per il reato di detenzione di sostanza stupefacente non è necessario il preventivo esame del narcotest, indispensabile, invece, per qualificare la gravità indiziaria ai fini dell’emissione della misura cautelare, ma può essere sufficiente, in particolare, il riconoscimento della sostanza da parte degli operatori di polizia giudiziaria in base alla loro specifica esperienza professionale (Sez. 4, n. 3380 del 15/12/2009, dep. 2010, Rv. 246417-01).

Alla luce dei principi indicati, le conclusioni dell’ordinanza impugnata debbono ritenersi viziate.

Invero, il GIP ha disposto la non convalida dell’arresto, effettuato per il reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente per grammi 195,00, suddivisa in due panetti, e custodita in una pentola di rame appesa nella cucina dell’abitazione in cui vivevano l’arrestato, la moglie e la figlia, rilevando, in primo luogo, che la precisata sostanza non era stata sottoposta a narcotest e, poi, che la stessa era stata rinvenuta in un luogo comune agli altri due familiari conviventi.

Tuttavia, in primo luogo, come si è precedentemente indicato, ai fini della convalida dell’arresto in flagranza per il reato di detenzione di stupefacente non è necessario il preventivo esame del narcotest, ma può essere sufficiente, in particolare, il riconoscimento della sostanza da parte degli operatori di polizia giudiziaria in base alla loro specifica esperienza professionale.

E, nella specie è incontestato che il quantitativo di sostanza rinvenuta, da un lato, non era certo modesto e, dall’altro, era anche suddiviso in panetti.

In secondo luogo, come evidenziato nell’impugnazione, l’arrestato non ha mai riferito ad altri la disponibilità della sostanza sequestrata, né contestato la natura stupefacente della stessa.

In considerazione degli esposti rilievi, deve ritenersi che legittimamente la polizia giudiziaria operante, alla luce della situazione conosciuta o conoscibile al momento in cui l’arresto fu effettuato e non anche di elementi successivi, e nonostante la mancata effettuazione del narcotest, ha ravvisato l’astratta configurabilità del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente e la sua attribuibilità alla persona arrestata. 

Note conclusive

Quindi per rispondere alla domanda iniziale possiamo dire che senza narcotest è possibile la convalida dell’arresto ma non possono essere applicate misure cautelari per l’impossibilità di qualificare la gravità indiziaria.

Su questo assunto ricordiamo che la cassazione sezione 6 con la sentenza numero 45680 depositata il 2 dicembre 2022 ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura della Repubblica che censurava l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva annullato la misura cautelare stigmatizzando l’assenza della consulenza tossicologica sullo stupefacente in sequestro.

Giova precisare che il GIP aveva ritenuto sufficiente il narcotest per applicare la misura cautelare custodiale.

Sempre in tema di narcotest è interessante ricordare la sentenza della cassazione sezione 6 numero 40044 del 2022 che ha stabilito l’insufficienza del solo narcotest a provare l’efficacia drogante della sostanza stupefacente, in quanto è evidente la mancanza di idoneo accertamento sulla valenza drogante della sostanza e, dunque, sulla offensività in concreto della condotta contestata.

La Suprema Corte premette che il “narcotest” consente di provare la natura stupefacente di una sostanza, ma non anche la quantità di principio attivo in essa contenuto (cfr. Sez. 6, n. 2599 del 14/12/2021, dep. 2022, Rv. 282680; Sez. 6, n. 6069 del 16/12/2016, dep. 2017, Rv. 269007).

Secondo un indirizzo interpretativo di legittimità, in tema di stupefacenti, il giudice non è tenuto a procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del principio attivo di una sostanza drogante, in quanto può attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti, fermo restando il rigoroso rispetto dell’obbligo di motivazione (tra le tante, da ultimo, Sez. 3, n. 15137 del 15/02/2019, Rv. 275968 – 02, relativa, tuttavia a fattispecie relativa ad incidente cautelare; Sez. 4, n. 22238 di 29/1/2014, Rv 259157 relativa a fattispecie in cui vi era stata la confessione degli imputati).

Tale principio merita di essere ulteriormente chiarito alla luce di quanto affermato da una remota e mai smentita pronuncia che ha inaugurato l’orientamento ermeneutico in esame.

Si è, infatti, affermato che il giudizio sulla qualità e quantità della sostanza stupefacente può essere basato anche su elementi diversi da valutazioni di ordine peritale – quali ad esempio, le regole di esperienza, da sole o congiunte ad altri elementi – con la sola ovvia condizione che il giudice dia del suo convincimento giustificazione congrua e logicamente argomentata, in tal caso incensurabile in sede di legittimità.

Fermo restando tale principio, si è, inoltre, aggiunto che il convincimento del giudice di merito che la percentuale di stupefacente puro della sostanza sequestrata sia di livello molto modesto può essere logicamente fondato e incensurabile soltanto se la composizione della miscela non sia “aliunde” accertabile, posto che in tal caso il principio del “favor rei” consente di tener conto dell’ipotesi meno gravosa per l’imputato.

Nell’ipotesi, invece, che la sostanza sia sottoposta a sequestro, una siffatta conclusione del giudice di merito ai fini della qualificazione del fatto appare illogica per evidente arbitrarietà, ben potendosi conseguire, con un’indagine peritale, quei risultati certi non attingibili sulla base di altri elementi di prova (Sez. 6, n. 5577 del 30/01/1991, Rv. 187600).

Sviluppando ulteriormente il principio affermato da tale sentenza alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma incriminatrice, anche laddove sia prospettata una alternativa configurazione della detenzione della sostanza stupefacente – come destinata all’uso personale piuttosto che come fatto non punibile per altre ragioni, quali, ad esempio, la carenza di efficacia drogante – e sia possibile procedere ad un accertamento peritale sulla sostanza in sequestro, deve ritenersi illegittima una pronuncia di condanna basata sul solo narcotest e in assenza di elementi univoci dotati di elevata significatività della qualità e quantità della sostanza stupefacente, in quanto resa in violazione non solo del principio del favor rei, ma anche dei principi costituzionali di principio di offensività e della funzione rieducativa della pena.

In altre parole, una pronuncia di condanna relativa ad una delle condotte di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 può anche essere emessa in assenza di un accertamento peritale sulla sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, e sulla sola base del narcotest, ma solo nel caso in cui il giudice fornisca adeguata motivazione in merito alla sussistenza di elementi univocamente significati della qualità e quantità di detta sostanza, correlabili, ad esempio, all’accertamento del prezzo corrisposto, a precisi quantitativi negoziati, ovvero ad una confessione degli imputati.

Da ultimo, la Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 16 del 2025 ha stabilito che l’accertamento svolto – come nel caso di specie – mediante il solo narcotest consente di provare la natura stupefacente di una determinata sostanza, pur non fornendo la prova relativa alla quantità del principio attivo contenuto che determina il riconoscimento della fattispecie del fatto di lieve entità.

La Suprema Corte ha sottolineato, con riferimento alla lamentata effettuazione di accertamenti tecnici finalizzati a verificare le caratteristiche della sostanza sequestrata, è sufficiente rammentare come, secondo il pacifico orientamento esegetico, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti l’accertamento svolto con “narcotest” consenta di provare la natura stupefacente di una determinata sostanza, ma non fornisce la prova relativa alla quantità del principio attivo contenuto (così, tra le molte, Sez. 6, n. 6069 del 16/12/2016, dep. 2017, Sez. 6, n. 2599 del 14/12/2021, dep. 2022); con la conseguenza, come ritenuto in tale ultimo arresto, che – in applicazione del principio del favor rei e in mancanza di prova dell’entità del principio attivo – è consentito al giudice di merito, come avvenuto nel caso di specie, ritenere sussistente la fattispecie del fatto di lieve entità (in tal senso, Sez. 6, n. 47523 del 29/10/2013) ma fermo restando che il predetto esame deve ritenersi idoneo a dimostrare il perfezionamento del reato contestato ai sensi dell’art.73, T.U. stup.