Semilibertà: la sua concessione richiede due distinte indagini, una sui risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa alle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 9936/2025, udienza del 6 marzo 2025, ha ribadito che, ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà, sono richieste due distinte indagini, l’una delle quali concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società ed implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento.

Provvedimento impugnato

CU – in espiazione della pena dell’ergastolo in relazione ad una sentenza di condanna, irrevocabile il 14 dicembre 2004, per i delitti di associazione per delinquere, omicidio, sfruttamento della prostituzione e violazione della normativa sull’immigrazione – veniva ammesso in data 13 giugno 2018 al regime della semilibertà, con autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa presso la carrozzeria S. gestita in Torino da suo figlio DU.

A seguito dell’arresto di quest’ultimo – destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita il 7 febbraio 2024 per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del Testo Unico sugli stupefacenti – il magistrato di sorveglianza di Torino disponeva la sospensione della misura alternativa, con provvedimento del 29 febbraio 2024, che veniva ratificato il 20 marzo 2024 dal Tribunale di sorveglianza di Torino, che constatava essere «venuto meno uno dei requisiti essenziali per la prosecuzione della misura, ovvero l’opportunità lavorativa offerta dal figlio dell’interessato».

Il difensore di CU presentava in data 3 maggio 2024 istanza di “riammissione” alla semilibertà, allegando dichiarazione di disponibilità all’assunzione da parte della cooperativa D. corrente in Torino.

Con ordinanza del 24 settembre 2024 il Tribunale di sorveglianza di Torino rigettava l’istanza, ritenendo, per un verso, che, pur non emergendo elementi di reità a carico dell’istante, vi era la «ragionevole certezza» che egli sapesse delle attività illecite del figlio, «avendo frequenza quotidiana con il medesimo per via del comune impegno lavorativo», e «si è astenuto da qualsiasi azione volta ad impedire la prosecuzione delle condotte delittuose [..] o quanto meno dall’effettuare una denuncia all’autorità, e ciò non lo rende meritevole di ulteriori benefici premiali», e, rilevando, per altro verso, che «la tipologia di lavoro che il soggetto intenderebbe svolgere presso la ditta D. [..] appare del tutto inappropriata, trattandosi di affidare al soggetto (privo di qualsiasi competenza in materia) “un ruolo commerciale .. che contemplerebbe la ricerca nel territorio (di Torino) di aziende dove collocare il personale della cooperativa e la vendita di gadget”; in altri termini, si consentirebbe al condannato di muoversi liberamente sul territorio in assenza di qualsiasi controllo, circostanza non compatibile con l’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, che presuppone la possibilità di essere sottoposti in qualunque momento alle verifiche delle forze dell’ordine, dalle quali il soggetto sarebbe di fatto svincolato, sia in merito ai suoi spostamenti, sia con riferimento alle sue frequentazioni».

Ricorso per cassazione

I difensori di fiducia di CU hanno presentato ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza, articolando un unico motivo con il quale deducono il vizio della motivazione del provvedimento impugnato.

Rilevano che il Tribunale di sorveglianza, dopo aver preso atto dell’inesistenza di elementi diretti di reità a carico del condannato, ha, con argomentazioni platealmente illogiche e contraddittorie, presunto «con ragionevole certezza» che egli fosse a conoscenza dell’attività illecita ascritta a suo figlio DU, censurando il fatto che egli non abbia fatto nulla per impedirne la prosecuzione (pur riconoscendo, qualche rigo dopo, che «la mera connivenza non costituisce reato ed il reato di favoreggiamento personale non può configurarsi nei confronti dei prossimi congiunti»).

Si dolgono della mancata valutazione di quanto rappresentato nelle relazioni elaborate dalla psicologa esperta della Casa circondariale di Torino, ad avviso della quale il condannato ha provato profonda sofferenza per quanto accaduto al figlio DU, esprimendo al contempo rammarico «per non essere stato presente durante la crescita dei suoi figli» e «per non aver saputo vigilare sul figlio ed allontanarlo da un contesto che ha generato già troppe sofferenze al nucleo familiare d’origine».

Chiedono, infine, censurarsi il provvedimento impugnato nella parte in cui hanno ritenuto «inappropriata» la nuova attività lavorativa proposta dal condannato, omettendo qualsiasi accertamento sulla D., che è cooperativa sociale che lavora abitualmente con i detenuti della Casa circondariale torinese, e sull’attività lavorativa che avrebbe impegnato CU (si sottolinea, in proposito, che «dalla lettera di disponibilità all’assunzione [..] emerge un orario di lavoro definito, un controllo all’inizio della giornata, una tracciabilità dei movimenti sulla base di un piano di lavoro ed un controllo a fine giornata con la rendicontazione sul lavoro svolto»), e omettendo, altresì, di valutare che in passato il ricorrente aveva lavorato in regime di semilibertà per una tipografia «con mansioni analoghe e con possibilità di spostarsi nel territorio di Torino e provincia, senza che mai sia andato incontro a violazione delle prescrizioni impostegli».

Al ricorso è allegata l’ordinanza dell’8 ottobre 2024 con la quale lo stesso Tribunale di sorveglianza di Torino, accogliendo il reclamo di CU, gli ha concesso un permesso premio di due giorni, valutando i recenti fatti in maniera diametralmente opposta rispetto al provvedimento qui impugnato.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è fondato, e deve pertanto essere accolto.

Secondo l’univoca giurisprudenza di legittimità, l’art. 50, comma 4, ord. pen. («L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società») deve essere interpretato nel senso che «Ai fini dell’applicazione della misura alternativa della semilibertà, sono richieste due distinte indagini, l’una delle quali concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società ed implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento» (Sez. 1, 197 del 25/10/2023, dep. 2024, Rv. 285550 – 01).

Il provvedimento impugnato si è immotivatamente discostato da questa costante linea esegetica: ha del tutto pretermesso la valutazione dei plurimi aspetti positivi ricavabili dalle più recenti relazioni psicologiche in atti (cfr., da ultimo, le conclusioni che l’equipe ha formulato nell’aggiornamento di sintesi del 18 settembre 2024, favorevoli alla concessione della invocata misura alternativa), assegnando valore decisivo a mere congetture, non essendo emerso alcun concreto elemento che consentisse anche solo di sospettare che il ricorrente fosse a conoscenza dell’attività delittuosa perpetrata dal figlio (vale, in proposito, sottolineare che la misura alternativa era stata revocata non certo perché l’odierno ricorrente aveva posto in essere condotte tali da arrecare un vulnus al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento, ma solo perché era «venuto meno uno dei requisiti essenziali per la prosecuzione della misura, ovvero l’opportunità lavorativa offerta dal figlio dell’interessato»); non ha, altresì, considerato né il positivo comportamento serbato dal ricorrente in occasione delle precedenti esperienze lavorative intraprese nell’ambito della misura alternativa, né la possibilità di imporre vincoli o limitazioni agli spostamenti ed agli orari di lavoro che rendessero  l’attività lavorativa presso la D. compatibile con le esigenze connesse al regime di semilibertà.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il provvedimento impugnato dev’essere annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Torino, perché provveda a nuovo giudizio, emendando i rilevati vizi motivazionali, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito.