La frase “Ma, insomma, è anziana ‘sta donna, come dobbiamo fare?” pronunciata da un medico non dà vita ad un atto arbitrario e non legittima il figlio della paziente a reagire picchiandolo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 8628/2025, udienza del 14 febbraio 2025, ha affrontato i temi della reazione legittima ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale e della attenuante della provocazione.

Provvedimento impugnato

Con sentenza del 30/11/2023 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma di quella del Tribunale di Macerata in data 13/01/2022, ha ridotto a mesi sei di reclusione la pena irrogata a PC in relazione ai reati di cui agli artt. 341-bis, 581, 612 cod. pen., commessi in danno del medico dott. AP, che stava visitando la madre del primo.

In particolare, la Corte ha escluso che nella condotta della persona offesa potessero ravvisarsi gli estremi di atti arbitrari o di una provocazione, giuridicamente rilevante.

Ricorso per cassazione

Ha proposto ricorso PC tramite il suo difensore.

Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis cod. pen.

La Corte aveva erroneamente ritenuto che l’espressione del medico «ma insomma è anziana ‘sta donna, come dobbiamo fare?», pur reputata non professionale, non costituisse atto arbitrario tale da scriminare la condotta.

A fronte del dovere del medico di prendersi cura dei pazienti e di indirizzarli verso visite specialistiche opportune, prescrivendo terapie di supporto, la Corte non aveva valutato l’oggettiva sconvenienza e illegittimità della condotta della persona offesa rispetto al fine cui le funzioni avrebbero dovuto indirizzarsi.

Con il secondo motivo denuncia in subordine violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen.

La condotta avrebbe dovuto ritenersi tenuta in violazione di doveri deontologici, tale da produrre lo stato d’ira del ricorrente, alla base della sua reazione. La deduzione è riferita alle condotte verbali sia del medico che del ricorrente, rispetto alle quali avrebbe dovuto ritenersi inconferente che non fosse provata la negligenza del sanitario e che vi fosse stata anche un’aggressione fisica tale da integrare il delitto di percosse, profilo non assorbito dalle ragioni poste alla base del riconoscimento delle attenuanti generiche.

Decisione della Corte di cassazione

I motivi di ricorso sono di per sé infondati.

In primo luogo, deve escludersi che la condotta tenuta dalla persona offesa possa essere inquadrata nell’ambito degli atti arbitrari, ai fini dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 393-bis, cod. pen.

In particolare, deve aversi riguardo a condotte immediatamente motivanti e non possono dunque prendersi in considerazione profili inerenti ad una solo assertivamente dedotta colpa del medico nell’approccio diagnostico, pur a fronte del dato di fatto del decesso della madre del ricorrente, intervenuto qualche mese dopo i fatti. In tale prospettiva va considerata la frase pronunciata dal medico al cospetto del ricorrente («ma insomma è anziana ‘sta donna, come dobbiamo fare?»), cui è seguita la reazione del predetto.

Orbene, pur dovendosi valutare l’eccesso e l’arbitrarietà, presi in considerazione dall’art. 393-bis cod. pen., in modo da ricomprendere non solo atti illegittimi e pervicacemente provocatori, ma anche atti eccedenti dalle attribuzioni perché connotati da difetto di congruenza tra modalità e finalità per le quali è attribuita la funzione, in ragione della violazione di elementari doveri di correttezza e civiltà (così Corte cost. sent. n. 140 del 1998; Sez. 6, n. 7255 del 26/11/2021, dep. 2022), comunque, nel caso di specie correttamente la Corte ha rilevato che la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non fosse comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter essere qualificata come illegittima e comunque arbitraria nel senso indicato e da poter dare causa alla reazione del ricorrente, in quanto tale da risolversi in realtà in una cruda presa d’atto, non implicante, tuttavia, alcunché di diverso da una constatazione.

In secondo luogo, deve escludersi la configurabilità dell’attenuante della provocazione ai sensi dell’art. 62, comma secondo, n. 6 cod. pen.

In questo caso, anche volendo ravvisare una differenza tra gli elementi che integrano l’esimente e quelli che connotano l’attenuante (sul punto Sez. 6, n. 34089 del 07/07/2003, Rv. 226329, che peraltro muove da un inquadramento dell’esimente non in linea con quello prospettato dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra richiamata), assumono comunque dirimente, da un lato, la circostanza che l’espressione usata dal medico non potesse qualificarsi come del tutto sconveniente e, dall’altro, il fatto che la condotta del ricorrente fosse trasmodata in una reazione manifestamente sproporzionata, tale da esondare dai limiti di un collegamento eziologico e psicologico con il fatto altrui, a tal fine non potendosi aver riguardo alle sole espressioni oltraggiose, ma dovendosi considerare l’intera condotta, connotata da minacce e percosse in un crescendo di intensità e pericolosità.

Deve comunque rimarcarsi come i giudici di merito abbiano tenuto conto del contesto in cui si è sviluppata la condotta, in sede di determinazione della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche.