Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 1062/2025, udienza del 17 settembre 2024, si è pronunciata su due ricorsi che hanno censurato a vario titolo la legittimità dell’acquisizione all’estero mediante ordine europeo di indagine di messaggi scambiati attraverso criptofonini.
La decisione si è inserita nell’alveo delle sentenze Gjuzi e Giorgi ed altro delle Sezioni unite penali e ne ha ripercorso i principi essenziali, soffermandosi poi con particolare attenzione sulla presunzione relativa di rispetto dei diritti fondamentali ad opera degli Stati membri dell’UE e sull’onere gravante sulla difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende una causa di nullità o inutilizzabilità da essa eccepita.
Le due sentenze “gemelle” n. 23755 (ric. Gjuzi) e n. 23756 (ric. Giorgi e altro) emesse dalle Sezioni unite all’udienza del 29 febbraio 2024 hanno affermato plurimi e rilevanti principi di diritto in punto di acquisizione di atti tramite un ordine europeo di indagine (OEI).
Sono riassumibili nei termini che seguono:
a) in materia di OEI, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal PM italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 02; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, Rv. 286589 – 02);
b) in materia di OEI, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis, cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270, cod. proc. pen., e 78, disp. att., cod. proc. pen. Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 01; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, Rv. 286589 – 01);
c) in materia di OEI, la sua emissione, da parte del PM, diretta ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria etera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell’art. 6, Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale relativa alla circolazione delle prove, non è richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 03);
d) in materia di OEI, la disciplina di cui all’art. 132, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, relativa all’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad un’altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il PM può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende ut lizzarli (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 04);
e) l’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 05; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, Rv. 286589 – 04).
Ai fini dell’accertamento del rispetto dei diritti fondamentali, assumono rilievo i principi della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito di rapporti di collaborazione ai fini dell’acquisizione di prove, e dell’onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata. Il principio della presunzione di legittimità dell’attività compiuta al ‘estero ai fini dell’acquisizione di elementi istruttori è oggetto di costante e generale enunciazione da parte della giurisprudenza di legittimità (così, tra le tante: Sez. 6, n. 44882 del 04/10/2023, Rv. 285386 – 01; Sez. 3, n. 196 del 12/10/2021, dep. 2022, Rv. 282886 – 01; Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, Rv. 279246 – 01).
Nel sistema della Direttiva 2014/41/UE, poi, è espressamente riconosciuto il principio della «presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino i diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali» (Corte giustizia, 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19, § 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08/122020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19, § 40).
Tale principio, del resto, trova una precisa base testuale nel Considerando (19) della Direttiva cit., il quale afferma: “La creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia nell’Unione si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformità, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell’Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali. Tuttavia, tale presunzione è relativa. Di conseguenza, se sussistono seri motivi per ritenere che l’esecuzione di un atto di indagine richiesto in un OEI comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l’esecuzione dell’OEI dovrebbe essere rifiutata“.
Anche il principio secondo cui grava sulla difesa l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende una causa di nullità o inutilizzabilità da essa eccepita è ripetutamente e generalmente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni unite, in particolare, hanno affermato che, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del PM), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245 – 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, 284519 – 01, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Rv. 273007 – 01).
A fondamento di questa affermazione, si osserva che, “per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l’onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice dispone” (così Sez. U, n. 45189 del 2004, Esposito, cit., nonché Sez. 5, n. 1915 del 18/11/2010, dep. 2011, Rv, 249048 – 01, e Sez. 5, n. 600 del 17/12/2008, dep. 2009, Rv. 42551 – 01).
E l’osservazione deve essere ribadita perché l’art. 187, comma 2, cod. proc. pen., prevede che i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali sono oggetto di prova, né vi sono dati normativi da cui inferire l’inversione, in questo specifico ambito, della regola generale secondo cui chi afferma l’esistenza di un fatto è gravato dell’onere della relativa prova. Muovendo dai principi appena esposti, quindi, appare ragionevole concludere che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire la violazione di diritti fondamentali grava sulla difesa, quando è questa a dedurre l’inutilizzabilità o l’invalidità di atti istruttori acquisiti dall’autorità giudiziaria italiana mediante OEI.
