Arrivano in redazione, numerose segnalazioni di decisione del tribunale di Roma che dichiarano inammissibile la richiesta di liquidazione per l’udienza predibattimentale, avanzata da avvocati di parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato.
Nei provvedimenti si legge che i giudici ritengono l’istanza di liquidazione inammissibile, in “quanto la decisione di prosecuzione del dibattimento non conclude ed esaurisce una fase; pertanto, la relativa attività professionale andrà liquidata al termine del giudizio di primo grado”.
Le suddette ordinanze disattendono il recente protocollo del Tribunale di Roma firmato il 22 gennaio 2024 che prevede la liquidazione della fase predibattimentale all’ipotesi 5 indicando il compenso di euro 600,00 per il difensore.
Il “Protocollo di intesa per la liquidazione standardizzata dei compensi dei difensori dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato” sembra, sempre più una mera dichiarazione di intenti che si glorifica alla sottoscrizione ma nessuno poi si prende la briga di sollecitarne l’applicazione.
Segnaliamo che negare la liquidazione per l’udienza predibattimentale monocratica deve essere contrastata, altrimenti, si rischia a breve che la medesima interpretazione coinvolga l’udienza preliminare.
Anche perché le ordinanze di rigetto o inammissibilità sono motivate su un assunto errato che è il seguente: “quando la decisione di prosecuzione del dibattimento non conclude ed esaurisce una fase; pertanto, la relativa attività professionale andrà liquidata al termine del giudizio di primo grado”, sul punto vedi: Avvocato e liquidazione compensi per l’udienza predibattimentale: l’istanza è inammissibile “perché il giudizio prosegue” (di Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA
Questo presupposto è in aperto contrasto con la logica e l’interpretazione che la cassazione civile ha sviluppato dell’articolo 83, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002.
L’art. 83, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 prevede che il decreto di pagamento per gli onorari del difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato “è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta”.
La fase predibattimentale prevista dall’articolo 554-bis cpp ricalca l’udienza preliminare artt. 416-429 cpp e così ragionando si arriverebbe all’assurdo che anche per l’udienza preliminare la liquidazione andrebbe procrastinata all’esito del giudizio disposto.
Giusto per ricordare che l’udienza predibattimentale che si svolge in camera di consiglio:
richiede la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore dell’imputato;
prevede gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti e, qualora l’imputato non sia presente, l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 420 e ss. c.p.p.;
affronta e risolve tutte le questioni preliminari di cui all’art. 491 c.p.p., che devono essere decise “immediatamente” e non potranno essere riproposte all’udienza dibattimentale; nello stesso termine può essere disposto, d’ufficio o su richiesta di parte, il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio ai sensi del nuovo art. 24-bis c.p.p.;
prevede la necessaria verifica da parte del Giudice della possibilità di remissione della querela, qualora il querelante sia presente;
dispone che il giudice, anche d’ufficio, verifichi che l’imputazione rispetti i parametri di cui all’art. 552 lett. c) c.p.p., ossia che l’enunciazione del fatto e delle circostanze sia chiara e precisa e siano indicati gli articoli di legge violati;
il giudice, sulla base degli atti del fascicolo, ha la facoltà di invitare il P.M. a riformulare l’imputazione, nonché ad apportare le necessarie modifiche e, qualora il P.M. non vi provveda, con ordinanza dispone la restituzione degli atti;
nel caso di modifica dell’imputazione da parte del P.M., tale modifica viene inserita nel verbale e il verbale deve essere notificato all’imputato non presente (almeno dieci giorni prima della nuova udienza), con rinvio dell’udienza e sospensione del processo;
Il giudice dell’udienza predibattimentale, sulla base degli atti trasmessi dal P.M., deve valutare se sussistano i presupposti per una pronuncia di sentenza di non luogo a procedere nelle ipotesi già previste, come per esempio se sussiste una causa che estingue il reato o per cui l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, etc.
Inoltre, è chiamato a pronunciare sentenza di non luogo a procedere, e questa è un’importante novità introdotta sulla base della trasmissione di tutto il fascicolo del P.M. e che avvicina l’udienza predibattimentale all’udienza preliminare dinanzi al GUP, “anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”.
Sul punto appaiono applicabili i parametri normativi e di formazione giurisprudenziale sulla analoga pronuncia ex art. 425 c.p.p., che dovranno essere ampliati sulla base di una valutazione logico-giuridica affidata al Giudice e che comporti una previsione di mancata sentenza di condanna.
Secondo la Suprema Corte Sezione 2 Num. 22448 Anno 2019 lo scopo della norma sarebbe sollecitatoria per avvocati e magistrati: “La funzione della novella sia essenzialmente sollecitatoria, al fine di raccomandare ai difensori ed al giudice, ai primi di immediatamente attivarsi per la richiesta di liquidazione, ed ai secondi di altrettanto rapidamente decidere sulla liquidazione, in prossimità della definizione della causa dinanzi a sé, potendo in tal modo meglio apprezzare la natura e la qualità delle prestazioni rese dall’avvocato, militano poi varie considerazioni di carattere pratico che, sebbene non risolutive, e di per sé sole idonee a sovvertire il testo della norma, ben possono orientare in chiave funzionale l’interpretazione della legge”.
Lo scopo della norma sarebbe quindi quello di accelerare la decisione, avendo lo scopo di favorire liquidazioni del compenso tempestive, ma senza che possa addivenirsi alla conclusione per cui il giudice perderebbe la potestas decidendi ove la richiesta di liquidazione fosse presentata dopo la definizione del processo e comunque una volta definita la causa cui si riferisce l’attività professionale per la quale si richiede la liquidazione dei compensi. Civile Ord. Sez. 2 Num. 7550 Anno 2023.
Ancora: “va qui ribadito il principio., affermato da questa Corte, secondo cui nel patrocinio a spese dello Stato non è prevista alcuna decadenza per l’avvocato che depositi l’istanza di liquidazione dei compensi in un momento successivo alla pronuncia (Cassazione civile sez. II, 09/09/2019, n.22448); – l’articolo 83, comma 3-bis, del DPR n. 115/2002, per il quale il decreto di pagamento deve essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento, ha lo scopo di raccomandare la sollecita definizione delle procedure di liquidazione del compenso del difensore, senza tuttavia imporre alcuna decadenza a carico del professionista” cassazione Civile Ord. Sez. 6 Num. 19733 Anno 2020.
Quindi la cassazione esclude che l’avvocato ritardatario nel deposito della richiesta di liquidazione decada dalla legittima richiesta di pagamento e invece a Roma si interpreta esattamente al contrario per eludere e procrastinare di anni il compenso dell’avvocato.
Infine, rammentiamo che recentemente la Cassazione civile sezione 2 con ordinanza numero 4539 del 20 febbraio 2025 ha stabilito che la partecipazione dell’avvocato alle udienze di mero rinvio non esclude il diritto al compenso, ma incide solo sulla sua quantificazione.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte un difensore ha presentato ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che aveva rigettato la richiesta di liquidazione dei compensi sostenendo che le udienze fossero di mero rinvio e quindi non compensabili.
L’avvocato nel ricorso ha sostenuto che l’art. 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, non consente al giudice, in ragione della modesta durata dell’attività svolta dal difensore, di negare il compenso maturato, tanto più che l’attività svolta, per quanto modesta, rimarrebbe priva di retribuzione.
La Cassazione ha ricordato che la partecipazione alle udienze di mero rinvio non esclude il diritto al compenso ma al più il tempo necessario all’espletamento dell’attività difensiva incide sulla quantificazione della stessa.
In proposito è stato richiamato il precedente della Cassazione sezione 6 civile numero 18791/2020 che in riferimento al compenso dell’avvocato per l’attività svolta in una udienza preliminare ha stabilito che: “l‘art. 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, infatti, prevede che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per le prestazioni professionali dallo stesso rese nel giudizio penale, si tiene conto, tra l’altro, “del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all’espletamento delle attività medesime”.
Il tempo necessario per lo svolgimento della prestazione professionale, quindi, purché svolta in udienza che non sia di mero rinvio, rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso conseguentemente maturato ma non può in alcun modo comportare che, in ragione della asserita brevità temporale di esecuzione della stessa, il compenso relativo possa essere addirittura negato”.
