Registrazioni conversazioni tra presenti in ambienti destinati all’esercizio di attività lavorativa: invocabile l’inutilizzabilità per lo “ius excludendi”? (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 9253/2025 torna ad occuparsi delle registrazioni tra presenti nei luoghi di lavoro e della possibile inutilizzabilità delle stesse, nello specifico la cucina e l’ufficio di un ristorante.

Fatto:

Nel ricorso, la difesa lamentava l’inutilizzabilità delle registrazioni effettuate dal M.L. di alcuni suoi colloqui con l’imputato, che i giudici di merito hanno ritenuto confermativi delle accuse.

Si tratterebbe, infatti, di registrazioni clandestine, effettuate all’interno di luoghi di privata dimora (l’ufficio e la cucina del ristorante dell’imputato) e, quindi, in violazione dell’art. 615-bis, cod. pen., oltre che dell’art. 13, Cost.; non pertinente, poi, sarebbe il riferimento a quanto stabilito dalle Sezioni unite della Cassazione con sentenza n. 36747 del 2003, operato dai giudici di merito per disattendere la relativa eccezione difensiva, trattandosi di decisione relativa a registrazioni effettuate dalla polizia giudiziaria.

Decisione:

La Suprema Corte sezione 6 premette che la “sentenza Torcasio” delle Sezioni unite (n. 36747 del 28 maggio 2003, Rv. 225465, 225466), là dove afferma che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile alla nozione di intercettazione, quantunque eseguita clandestinamente, ma costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234, cod. proc. pen., enuncia un principio di ordine generale, non limitato alle captazioni così eseguite da operatori di polizia giudiziaria in corso d’indagini.

Nello specifico, poi, la circostanza per cui i colloqui registrati da M.L. sarebbero avvenuti nell’ufficio dell’imputato e nella cucina del ristorante da lui gestito è una pura asserzione difensiva; e, comunque, in quanto entrambi ambienti destinati all’esercizio di attività lavorativa da parte di una pluralità di persone, essi costituiscono luoghi aperti al pubblico, in ragione della possibilità pratica e giuridica di accedervi per un numero non predeterminato di soggetti, benché selezionati dal titolare dell’ufficio, il quale non è investito di un incondizionato “ius excludendi” (Sez. 6, n. 11345 del 02/02/2023, Calabrò, Rv. 284470).

Nella sentenza richiamata della sezione 6 n. 11345/2023 si indica che ai fini della qualificazione di un dato ambiente come “luogo aperto al pubblico“, è essenziale la sua destinazione alla fruizione dì un numero indeterminato di soggetti, che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi (per tutte: Sez. 6, n. 26028 dei 15/05/2018, D.R., Rv. 273417).

I luoghi di lavoro destinati allo svolgimento di compiti istituzionali, qual è, al pari di qualsiasi ufficio pubblico, anche la stanza del sindaco situata all’interno della sede del municipio, sono accessibili ad una pluralità di soggetti, anche senza la necessità, di volta in volta, del preventivo consenso dell’avente diritto e senza un incondizionato ius excludendi di quest’ultimo: si pensi ai collaboratori, ai soggetti investiti di funzioni istituzionali, anche esterni all’organizzazione municipale, ma anche, in presenza di certe condizioni, ai cittadini.

A tali luoghi, pertanto, è estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla intrusione altrui, poiché accessibili ad un numero non predeterminato di altri soggetti, benché selezionati dal titolare dell’ufficio.

Di conseguenza, chiosa la cassazione nella sentenza in commento, non si tratta della documentazione di comportamenti non comunicativi, non possono trovare applicazione nel caso in esame i limiti di utilizzabilità delineati dalla “sentenza Prisco” della Sezioni unite (n. 26795 del 28 marzo 2006, Rv. 234267) e dalla conforme giurisprudenza di legittimità successiva richiamata in ricorso.