
Il divieto di patto di quota lite viene ben delineato ed argomentato nella sentenza numero 351/2024 del Consiglio Nazionale Forense (per esteso in calce al post), che ricorda che una volta accertata la violazione del divieto del patto di quota lite (art. 13 L. n. 247/2012 e art. 25 cdf), nessun rilevo assume l’eventuale proporzionalità e ragionevolezza del compenso così pattuito.
Inoltre, il divieto di patto di quota lite ex art. 13 L. n. 247/2012 è applicabile sia all’attività stragiudiziale, quando si fa riferimento alla prestazione, sia all’attività giudiziale, quando si fa riferimento alla ragione litigiosa.
Ed è doveroso sottolineare che ai sensi dell’art. 13 L. n. 247/2012, “sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”, mentre è valida la pattuizione con cui si determini il compenso “a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.
L’accennata dicotomia legislativa deve essere intesa nel senso che la percentuale può essere rapportata al valore dei beni o agli interessi litigiosi, ma non lo può essere al risultato.
In tal senso deve infatti interpretarsi l’inciso “si prevede possa giovarsene”, che appunto evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale, ditalché deve in ogni caso ritenersi illecito l’accordo sul compenso stipulato (non a monte dell’incarico professionale, ma a valle di quest’ultimo, cioè) ad incarico pressoché terminato, ovvero allorché l’an ed il quantum della fattispecie contenziosa siano già stati di fatto delineati in entrambe le sue componenti.
Ed è questa la differenza tra il consentito e il non consentito, cioè legare il compenso al valore della controversia o all’esito previsto (consentito) piuttosto che al risultato (non consentito).
Nota:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Stoppani, rel. Di Campli), sentenza n. 206 del 9 novembre 2022.
Infine, dal combinato disposto del terzo (nota 1) e del quarto (nota 2) comma dell’art. 13 L. n. 247/2012, si ricava che il compenso dell’avvocato può essere pattuito quale percentuale rapportata al valore dei beni o degli interessi litigiosi, ma non può essere commisurato al risultato pratico dell’attività svolta (c.d. “patto di quota lite”).
La ratio del divieto in parola è quella tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, enfatizzando il distacco del legale dagli esiti della lite, al fine di evitare la commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato che invece si avrebbe qualora il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con conseguente trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo, con una non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione
Nel caso di specie, il compenso professionale era stato fissato nel 15% delle somme che sarebbero state incassate dall’assicurazione.
Nota:
In senso conforme, da ultimo, Corte di Cassazione (pres. Manna, rel. Giannaccari), sentenza n. 23738 del 4 settembre 2024.
(1) Il comma è ribadito nell’art. 25 co. 1 cdf.
(2) Il divieto è ribadito nell’art. 25 co. 2 cdf.
La decisione: Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Corona), sentenza n. 351 del 27 settembre 2024

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