Giudice monocratico che rilevi la competenza di quello collegiale: atti al PM solo in assenza di udienza preliminare (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 9124/2025, udienza del 26 febbraio 2025, ha ribadito che il giudice monocratico, ove rilevi che il reato appartiene alla competenza del collegio, deve disporre la trasmissione degli atti al PM solo quando l’imputato sia rimasto privo dell’udienza preliminare, a causa di una erronea valutazione addebitabile allo stesso PM e al fine di assicurare le garanzie connesse a detta udienza (tra cui, all’evidenza, la possibilità di accesso ai riti alternativi), dovendo altrimenti trovare applicazione la regola generale secondo cui l’accertata inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione della competenza al giudice collegiale o a quello monocratico comporta la mera trasmissione degli atti a quello di essi ritenuto competente.

Decisione impugnata

Con l’impugnata ordinanza emessa nel corso del giudizio dibattimentale instaurato nei confronti di IC per il delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen., il giudice monocratico del Tribunale

di Sassari rilevava che per tale reato la competenza apparteneva alla cognizione del giudice in

composizione collegiale; che non era stata celebrata l’udienza preliminare con conseguente preclusione all’imputato dell’accesso a riti alternativi, disponeva quindi la restituzione degli atti al PM.

Ricorso per cassazione

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il PM deducendone l’abnormità strutturale.

Rileva il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice, nei confronti dell’imputato IC era stata ritualmente celebrata l’udienza preliminare a seguito di richiesta di rinvio a giudizio (come facilmente rilevabile dagli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento), sicché il provvedimento di restituzione degli atti al PM – anziché al giudice collegiale come previsto dall’art. 33 septies, comma 2, cod. proc. pen. -, è atto abnorme in quanto macroscopicamente difforme dal paradigma normativo.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è fondato.

In via preliminare occorre innanzitutto evidenziare che la sequenza procedimentale richiamata dal PM ricorrente è senza dubbio corretta.

Dall’esame del fascicolo emerge pacificamente che nei confronti di IC era formulata richiesta di rinvio a giudizio per il reato di riciclaggio di un motoveicolo di provenienza furtiva a seguito della quale veniva regolarmente celebrata l’udienza preliminare con successiva emissione di decreto dispositivo del giudizio, erroneamente disposto avanti il giudice monocratico del Tribunale di Sassari anziché a quello in composizione collegiale, come previsto dall’art. 33 bis, comma 2, cod. proc. pen.

Nel corso del dibattimento il giudice, su sollecitazione delle parti, rilevava che l’addebito oggetto di imputazione apparteneva, appunto, alla cognizione del collegio e – nonostante l’avvenuta celebrazione dell’udienza udienza preliminare – con l’ordinanza impugnata disponeva la restituzione degli atti al PM.

Tanto premesso, va richiamato l’art. 33 septies, comma 1, cod. proc. pen. il quale dispone che “nel dibattimento di primo grado, instaurato a seguito dell’udienza preliminare, il giudice, se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diverso, trasmette gli atti, con ordinanza, al giudice competente a decidere sul reato contestato”; il secondo comma disciplina, invece, la diversa ipotesi nella quale il dibattimento sia stato incardinato senza la previa udienza preliminare e prevede che, in tal caso, il giudice dispone la trasmissione degli atti al PM.

Il chiaro disposto normativo consente di affermare – in continuità con il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia – che il giudice monocratico, ove rilevi che il reato appartiene alla competenza del collegio, deve disporre la trasmissione degli atti al PM solo quando l’imputato sia rimasto privo dell’udienza preliminare, a causa di una erronea valutazione addebitabile allo stesso PM e al fine di assicurare le garanzie connesse a detta udienza (tra cui, all’evidenza, la possibilità di accesso ai riti alternativi), dovendo altrimenti trovare applicazione la regola generale secondo cui l’accertata inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione della competenza al giudice collegiale o a quello monocratico comporta la mera trasmissione degli atti a quello di essi ritenuto competente, con diretta fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 420 ter, comma quarto, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, Rv. 264262; successivamente Sez. 6, n. 7482 del 26/01/2017, Rv. 269376; Sez. 2, n. 20203 del 21/04/2016, Rv. 266909; Sez. 1, n. 19512 del 15/04/2010, Rv. 247204).

L’ordinanza impugnata con la quale è stata disposta la restituzione degli atti al PM, ancorché l’udienza preliminare a carico dell’imputato fosse stata già celebrata, non solo vìola il disposto di cui all’art. 33 septies, comma 1, cod. proc. pen. ma è provvedimento affetto da abnormità strutturale, in quanto adottato in difetto del concreto potere da parte del giudice, deviando dal modello legale e fuori dalle ipotesi previste dall’ordinamento con indebita regressione del processo alla fase ormai conclusa delle indagini preliminari.

Evidenti ragioni di economia e speditezza processuale consentono tale retrocessione solo in presenza della necessità di assicurare le garanzie proprie dell’udienza preliminare tra cui quella di giovarsi dei benefici connessi all’adozione di un rito alternativo a cui, invece, l’odierno imputato risulta avere deliberatamente rinunciato nella consapevole prospettiva di un possibile giudizio dibattimentale.

La restituzione degli atti al PM non si è risolta dunque in un profilo di mera illegittimità ma si pone del tutto al di fuori delle ipotesi previste dall’ordinamento con conseguente alterazione dell’ordinata sequenza degli atti contemplata dal codice di rito, in violazione del principio di ragionevole durata del processo.

L’ordinanza impugnata ha peraltro anche determinato un’insuperabile stasi processuale, atteso che il rappresentante della pubblica accusa non potrebbe richiedere una nuova udienza preliminare, che è già stata ritualmente celebrata.