Dichiarazione di assenza dell’imputato sottoposto a limitazione della libertà personale: non basta che non abbia chiesto la traduzione, occorre la sua espressa rinuncia a comparire (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 9277/2025, udienza del 20 febbraio 2025, ha affermato, in conformità al costante orientamento interpretativo delle Sezioni unite penali, che ove  l’imputato sia detenuto agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale, che non gli consente la presenza in udienza, sussiste per ciò stesso un suo impedimento a comparire legittimo, sicché il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, salvo che sia acquisito un espresso rifiuto dell’imputato.

Ricorso per cassazione

La difesa di OB ha dedotto inosservanza della norma processuale stabilita a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. c e 179 cod. proc. pen.), per la mancata traduzione dell’imputato, detenuto agli arresti domiciliari per altra causa, all’udienza pubblica del 25 giugno 2024.

Decisione della Corte di cassazione

Il motivo è fondato.

Dalla verifica degli atti processuali, dovuta in ragione del vizio processuale denunziato, è emerso che il giudizio di primo grado è stato celebrato con rito ordinario, nel pieno contraddittorio delle parti sulla prova in formazione; il giudizio di appello si è celebrato in pubblica udienza, stante la richiesta -accolta dei difensori degli appellanti.

Come si evince dalla lettura del verbale di udienza del 25 giugno 2024, emerge inequivocamente che la Corte di appello era pienamente a conoscenza dello stato detentivo (arresti domiciliari per altra ragione) dell’imputato appellante. Ciononostante, l’imputato non fu avvisato della facoltà di essere tradotto o autorizzato a comparire libero nella persona, per l’udienza pubblica già fissata. L’appellante OB è stato, dunque, giudicato in assenza, determinata da un legittimo impedimento (lo stato detentivo per altra ragione), che non poteva consentire, a prescindere dalla richiesta al giudice della misura dell’autorizzazione ex art. 22, disp. att., cod. proc. pen., la trattazione del processo di merito senza incorrere nel vizio invalidante correttamente prospettato con il primo motivo di ricorso.

La giurisprudenza di legittimità, resa peraltro nella espressione massima della collegialità (Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600; Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806), ha fornito indicazioni di principio non equivocabili.

La sentenza Arena ha affermato il principio di diritto in forza del quale la detenzione dell’imputato, per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

In particolare, la sentenza “Arena” ha osservato che «nell’ottica di un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell’imputato al processo in cui è coinvolto è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al fondamentale diritto di difesa (autodifesa) e non è perciò confiscabile».

Più di recente, la decisione Costantino, in continuità rispetto al precedente, ha affermato che nel giudizio ordinario deve essere sempre assicurata, in mancanza di inequivoca rinunzia alla partecipazione personale al processo, la presenza dell’imputato.

Di conseguenza, in virtù della norma generale fissata dall’art. 420-ter, cod. proc. pen., commi 1 e 2, qualora l’imputato non si presenti ed in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche di ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, finalizzato ad acquisire certezza della volontaria e consapevole rinunzia a presenziare o, viceversa, della volontà di partecipare, senza che sia necessaria una qualche richiesta dell’imputato in tal senso.

Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale, che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali ipotesi sussiste in re ipsa un impedimento a comparire legittimo, il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, salvo che sia acquisito un espresso rifiuto dell’imputato. La sentenza Costantino ha altresì rimarcato che con il precedente arresto delle Sezioni unite era stato messo in evidenza che «la detenzione per altra causa costituisce legittimo impedimento anche quando l’imputato avrebbe potuto avvisare il giudice della sua condizione in tempo utile per consentire la traduzione», dovendo ritenersi escluso che «l’imputato abbia un onere di chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento o di comunicare al giudice che procede la sua volontà di essere presente, avendo rilievo soltanto il fatto che il giudice abbia comunque conoscenza di una obiettiva situazione di impedimento».

Consegue che «l’assenza può costituire, quindi, chiara espressione della abdicazione del diritto a partecipare, solo ove non risulti in alcun modo la presenza di un impedimento e possa essere ricondotta univocamente ad una libera rinuncia dell’imputato ad esercitare il suo diritto. Tale condizione non sussiste in tutte le ipotesi nelle quali il giudice che procede ha conoscenza dell’esistenza di un impedimento dell’imputato a partecipare al processo a causa della limitazione della libertà personale e non sia stata manifestata da parte dell’interessato, in maniera inequivoca, la volontà di rinunciare a presenziare. In tal caso incombe sul giudice procedente l’obbligo di esercitare, di ufficio e senza ulteriori sollecitazioni da parte dell’imputato, tutti i poteri che l’ordinamento gli conferisce al fine di assicurare la partecipazione dell’imputato non rinunciante».

In tal senso le Sezioni unite hanno altresì precisato che «la difforme interpretazione si fonda sul disconoscimento della natura assoluta dell’impedimento, in quanto superabile da una manifestazione di interesse da parte dell’imputato, ma omette di considerare che tale attività, sicuramente possibile, non è però imposta dalla legge, che non pone a carico dell’imputato, citato in condizioni di libertà, e ristretto per altra causa, di attivarsi presso il giudice della cautela, o il magistrato di sorveglianza competente sulla restrizione in atto».

Il dato normativo di riferimento, alla luce dei principi costituzionali e convenzionali cui si ispira, impone dunque di escludere la legittimità di una interpretazione che appare fondata sulla configurazione della partecipazione dell’imputato come un interesse perseguibile su sua iniziativa, e non un diritto, e su esigenze di funzionalità e celerità del processo, più che sul rispetto della sua ritualità, secondo le precise scansioni dettate dalle disposizioni sul punto. Del resto, proprio la richiamata centralità della partecipazione dell’interessato al processo ha imposto la previsione di verifiche costanti della corretta instaurazione del giudizio in assenza, cosicché ogni controllo, il cui esito non rispetti i principi rigorosi fissati per la legittimità del giudizio in assenza, rischia di condurre allo svolgimento di attività processuale suscettibile di essere travolta da un successivo accertamento di nullità del procedimento. I principi affermati dalle due decisioni rese a Sezioni unite, riferiti a condizioni impeditive detentive, sono stati successivamente declinati dalle diverse Sezioni della Corte in relazione ad altre, meno coercitive, situazioni di impedimento giuridico alla personale partecipazione (Sez. 5, n. 37658 del 20/11/2020, Rv. 280139; Sez. 6, n. 1167 del 30/11/2021, del 2022, Rv. 282400-01; Sez. 6, n. 26622 del 19/05/2022, Rv. 283880; Sez. 6, n. 35190 del 30/03/2022, Rv. 283730; da ultimo, Sez. 5, n. 21859 del 08/03/2024, Rv. 286507, in motivazione, sub 3.4.).

Alla luce delle richiamate affermazioni di principio, qui assolutamente condivise, deve dunque ritenersi che la dichiarazione di assenza dell’imputato OB, resa all’udienza pubblica del 25 giugno 2024, sia affetta da invalidità tranciante, con la conseguente nullità, assoluta ed insanabile, del giudizio di appello celebrato nell’assenza, non consapevole e volontaria dell’imputato. Il- carattere assoluto ed insanabile della rilevata nullità rende irrilevante la presenza silente in udienza del difensore di fiducia.

L’accoglimento del motivo di ricorso impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Catania per l’ulteriore corso.