“Solo sì è sì”: la riforma spagnola dei delitti contro la libertà sessuale e l’opinione dissenziente di Gonzalo Quintero Olivares (Vincenzo Giglio)

La recente proposta di legge dell’On. Laura Boldrini volta a modificare l’art. 609-bis, cod. pen., (a questo link per il nostro post di presentazione) è destinata a rivitalizzare i dissidi giuridici e ideologici che hanno sempre accompagnato la disciplina normativa della libertà sessuale praticamente per ogni aspetto che conta: il regime di procedibilità, il bene giuridico tutelato, la descrizione della condotta tipica, le manifestazioni del consenso o del dissenso ad attività sessuali, la specializzazione indispensabile per chi ha la responsabilità dei procedimenti in esame, i modi di acquisizione del contributo conoscitivo delle parti offese e della sua cristallizzazione, le cautele necessarie per evitare il fenomeno della cosiddetta “vittimizzazione secondaria” delle stesse parti offese, l’apporto dei detentori di saperi qualificati e così via.

Si è pensato di fare cosa utile ai lettori, allargando lo sguardo alla riforma dei delitti contro la libertà sessuale attuata in Spagna ad ottobre del 2022 allorché è entrata in vigore la Ley Orgánica n. 10/2022, de garantía integral de la libertad sexual.

Si è ritenuto a tal fine di riportare integralmente e letteralmente il commento che ne ha fatto Gonzalo Quintero Olivares, ordinario di diritto penale nei più prestigiosi atenei spagnoli e avvocato, nel suo scritto “La recente evoluzione della legislazione penale in Spagna, tra populismo, demagogia e disprezzo del diritto penale” in Percorsi Penali, n. 3/2022.

Eccolo.

In Spagna, le leggi penali sono molto attrattive per i governi: le modifiche che vi vengono introdotte possono avere una buona “vendita elettorale” e, per di più, non serve conoscere il diritto per opinare su come dovrebbero essere, o almeno così crede qualsiasi politico medio. Ciò che dicono gli specialisti viene liquidato come opinione reazionaria ed emarginato. È chiaro che c’è una dimensione del problema che i riformatori nella loro ignoranza disprezzano, ed è che, quando le leggi lasciano le mani del legislatore, si inglobano nel diritto positivo, integrandosi come parti di un sistema e cominciando a essere interpretate in tale condizione.

Tutto questo è avvenuto con i delitti contro la libertà sessuale: appena formato l’attuale governo, è stata annunciata la “necessità urgente” di riformare i crimini contro la libertà sessuale, basata soprattutto su due considerazioni, ognuna più assurda dell’altra: il problema delle aggressioni sessuali era caratterizzato dalla “debolezza” del codice penale e, in secondo luogo, era imprescindibile una formulazione di questa tipologia di delitti che esprimesse l’ideologia femminista e, inoltre, che limitasse la facoltà dei giudici di discostarsi da un criterio vincolante.

I promotori, o meglio, le promotrici della legge non hanno incontrato alcun ostacolo nel difendere la “necessità imperativa” che le leggi penali non siano interpretate primariamente secondo l’oggetto della tutela, che è la libertà sessuale (funzione metodologica del bene giuridico), ma secondo una “prospettiva di genere”, che, così espressa, equivale ad affermare che l’oggetto della protezione non è più la libertà sessuale, o non principalmente, ma un altro differente interesse, che è la prostrazione storica della donna, marginalizzando ciò che avviene nella specifica vicenda oggetto di giudizio.

È risaputo che il “movimento riformista” diede vita al famoso caso del “branco” (uno stupro commesso da più individui).

Si diceva che quel caso fosse la prova definitiva che il Codice penale era in gran parte responsabile dell’accaduto e della “modesta pena” inflitta all’imputato, di modo che era urgente ricorrere al bisturi legislativo, poiché non di tutto era   possibile incolpare il tribunale. Grosso errore, perché è stata la sentenza del 20 marzo 2018 del Tribunale Provinciale di Navarra che non ha saputo o voluto apprezzare l’esistenza in quel caso di violazioni intimidatorie, che invece la Suprema Corte ha apprezzato. Ma non c’era niente da fare: la discrepanza è stata respinta e il dibattito è stato anatemizzato in nome della verità necessaria.

Si è così giunti al Progetto di Legge Organica per la garanzia integrale della libertà sessuale, presentato il 26 luglio 2021, una delle cui parti era destinata alla riforma del Codice penale e, con lievi modifiche, approvato il 26 maggio 2022, sebbene sia ancora in attesa dell’approvazione del Senato.

Il contenuto del Progetto era ampiamente noto, e il suo punto di partenza è stato segnato da una ministra socialista, che certamente non conosceva il diritto penale, annunciando che era essenziale modificare le leggi penali affinché in materia di reati contro la libertà sessuale fosse chiaro, una volta per tutte, che, in termini di consenso, “no è no” o, per meglio dire, “solo sì è sì”.

È evidente che la ministra non aveva consultato il Codice spagnolo, o non lo aveva compreso, poiché sembrava che il diritto penale non accogliesse quell’idea “rivoluzionaria”. Ma questo è stato il segnale di partenza per la corsa alla riforma penale, che le ministre di Unidas Podemos assunsero presto come una crociata, senza che questo giustifichi l’esonero del Partito socialista dalla sua parte di responsabilità nel dispositivo legislativo che sarebbe stato approvato dal Congresso dei Deputati.

La riforma era stata bocciata frontalmente da molti settori, e cito ad esempio le critiche del Gruppo di studi di politica criminale spagnola – per nulla sospettabile di conservatorismo – così come altri rapporti come quello del Consiglio generale della magistratura, oltre a molteplici studi pubblicati da penalisti autorevoli. Ma è stato tutto inutile perché i promotori del Progetto erano convinti di un imperativo categorico: che la verità è dalla loro parte e che il loro compito messianico è frainteso da molti, a parte, ovviamente, il fatto che non si tratta di una questione giuridica. La ministra dell’Uguaglianza, Sig.ra Montero, ha affermato nella presentazione del Progetto che si trattava, soprattutto, di un’espressione dei “progressi femministi” e del “trionfo contro la giustizia ‘patriarcale’”.

Come ho detto prima, solo una parte della legge ha influito sulle disposizioni del codice penale, poiché la maggior parte degli articoli è destinata, oltre a modificare alcuni articoli del codice di procedura penale, a lodevoli misure di prevenzione, educazione sessuale in tutte le fasi educative, assistenza alle vittime o riparazione dei danni, argomenti che non tratterò, anche se, e come esempi a campione del rigore tecnico del previgente legislatore, si possono trovare articoli destinati, expressis verbis, ad evitare la “vittimizzazione secondaria” o a “rafforzare le vittime”, concetti tipici del linguaggio criminologico attuale ma del tutto inadeguati al diritto penale.

Le riforme di ordine strettamente penale non si sono limitate alle questioni relative alla libertà sessuale, ma comprendono modifiche in questioni quali i periodi di sicurezza (condanne detentive minime obbligatorie) dell’art. 36 c.p., ovvero le condizioni per concedere la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena ai condannati per delitti contro la libertà sessuale o per il reato di trattamenti degradanti o la diffusione di immagini intime, che peraltro erano già tipizzati, o l’incriminazione di molestie sessuali di strada, nella quale rientrerà qualche complimento di cattivo gusto.

Ma, senza dubbio, il “tema protagonista” è la soppressione della differenziazione finora in vigore tra aggressione sessuale e abuso, e, insieme a questo, la descrizione di quando ricorre il consenso.

La soppressione di tale differenza era stata l’asse della riforma e, secondo i suoi promotori, la formula magica per evitare applicazioni eccessivamente benigne della legge, propiziata da un’evoluzione storica iniziata con il passaggio dalla vecchia distinzione tra violenza, stupro e abuso, a quello di separare aggressività, maltrattamenti e molestie, per arrivare finalmente all’unificazione di tutto nel concetto di aggressione. La “chiave di volta” del sistema sarà l’assenza di consenso, e non i mezzi o il modo con cui si verifica l’attacco alla libertà sessuale.

I promotori della riforma sostengono che qualsiasi condotta sessuale non preceduta da una richiesta espressa o un consenso chiaro, inequivocabile e concludente è violenza sessuale, e che, inoltre, ciò è stabilito dalla Convenzione di Istanbul, il che, d’altra parte, non è vero, perché tale Convenzione non uniforma tutti i comportamenti sessuali non consensuali, ma prevede piuttosto che gli atti non consensuali di natura sessuale debbano essere inclusi tra i presupposti della violenza sessuale, il che non equivale a trattare qualsiasi atto che violi la libertà come un’aggressione determinazione e scelta sessuale.

Logicamente, l’entità del consenso, o, se si preferisce, la realtà della presenza del rifiuto (idea che i promotori della legge hanno riassunto con il pleonasmo semplicistico che “no è no” o che “solo sì è sì” presentato come una “rivoluzione legale”), dovrà essere quantomeno provata davanti ai tribunali, a meno che i legislatori non scelgano di sopprimere la presunzione di innocenza – cosa che farebbero se potessero – riguardo ai reati di violenza sessuale.

La Riforma contiene una descrizione del consenso, all’art. 178-1, secondo comma, e recita come segue: “…si intenderà che vi è consenso solo quando è stato liberamente espresso con atti che, in considerazione delle circostanze del caso, esprimono in modo chiaro la volontà della persona…” Certamente non è un esempio di chiarezza, per un concetto destinato nientemeno che a decidere quando c’è stata una violazione. Decidere quale “atto esprime la volontà” non sarà facile, ma è così che deve essere tradotta la lotta per l’attuazione del “no è no” o del “solo sì è sì”.

Il concetto di consenso è un tema di diritto penale di per sé complesso, e che, assiologicamente, è presente in molte altre figure delittuose, senza che sia possibile adottare un’interpretazione identica in ogni caso. L’equiparazione tra atti di violenza sessuale e quelli in cui la vittima è intimidita, da un lato, e quelli in cui vi è abuso per prevalenza, dall’altro, è ingiusta per sproporzione. Inoltre, imporrebbe una riforma di tutti le tipologie penali in cui si distingue, oggi, tra violenza e intimidazione. Implicare che, nel campo dei rapporti sessuali, un vizio nel consenso (ad esempio il vecchio tema della falsa promessa di matrimonio nello stupro legale) equivale all’assenza del consenso, e, quindi, dà luogo alla trasformazione in aggressione sessuale, è un grave errore.

È certo che è difficile comprendere l’idea di un rapporto sessuale non consensuale ottenuto senza violenze o intimidazioni, quindi realizzato senza forzare la volontà dell’altra persona, ma non è impossibile: la persona che accetta di avere un rapporto sessuale con il suo superiore, che detesta così come teme di offenderlo per il potere che ha, non “consente profondamente”, ma non è stata aggredita, né può pretendere che il diritto penale la consideri tale, ed equiparare, senz’altro, l’assenza di consenso profondo con l’aggressione violenta è più che un errore: è un errore che scardina la funzione giuridica del consenso.

L’assenza di passione o di interesse, incluso il disgusto, per il mantenimento di una relazione sessuale volontariamente concordata, può avere un rilievo penale insieme ad altri elementi (soprattutto l’età della vittima e un atteggiamento prepotente nei suoi confronti), ma non in modo generale. La molteplicità delle situazioni immaginabili è incompatibile con il riduzionismo semplicistico e l’equivocità di gesti o atteggiamenti. Ma l’unica soluzione tecnica dovrebbe essere la via dell’errore invincibile, se non fosse, e c’è da averne paura, che il femminismo radicale ritiene che il concetto penale di errore sia una figura maschilista, eterosessuale e patriarcale”.

Non si aggiungono commenti di alcun genere dato lo scopo di partenza che è quello di offrire senza filtri il pensiero di un giurista di elevato valore.

Ci si riserva invece di intervenire di seguito con ulteriori post di approfondimento.