Il difficile equilibrio tra l’intangibilità del giudicato e l’illegalità sopravvenuta della pena (Massimo Brazzi)

La questione sottoposta allo scrutinio della Suprema Corte trae la sua genesi nell’impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Perugia che aveva rigettato la richiesta del condannato di rideterminazione della pena “patteggiata”, inflitta per un modesto episodio di tentata rapina impropria di generi alimentari all’interno di un supermercato, tenuto conto che il procedimento era stato definito prima della nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 86 del 16 aprile 20124, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 2, c.p., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Il condannato, in definitiva, nel calcolo dosimetrico della pena, non aveva beneficiato della nuova circostanza attenuante.

Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Perugia, nell’ordinanza di rigetto, argomentava che, in forza dei principi generali, non era concesso – per di più in assenza di un nuovo accordo delle parti – operare una rivisitazione della pena a suo tempo concordata (nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione ed euro 300,00 di multa), essendo egli vincolato al giudizio di comparazione effettuato, con la sentenza irrevocabile, in termini di equivalenza tra la recidiva qualificata e le circostanze attenuanti generiche.

Con il ricorso per cassazione, il condannato denunciava la violazione e vizio di motivazione in relazione all’art. 69 c.p., che disciplina il concorso eterogeneo di circostanze attraverso l’istituto del bilanciamento, tanto che l’illegalità della pena sarebbe discesa dal mancato riconoscimento, in favore del ricorrente, dell’attenuante della lieve entità del fatto, la cui compatibilità con il reato al medesimo ascritto non era stata esclusa né dal giudice della cognizione, né da quello dell’esecuzione. Quest’ultimo avrebbe, quindi, errato nell’aver omesso di procedere ad un nuovo giudizio di bilanciamento tra le diverse circostanze, includente l’attenuante del fatto di lieve entità.

Con la recentissima sentenza n. 6225, depositata il 14 febbraio 2025 (allegata alla fine del post in versione anonimizzata), la 1^ Sezione penale della Corte di cassazione rigetta il ricorso sulla base dei seguenti principi:

  1. in conformità all’orientamento delle Sezioni unite “Marcon” del 2015 in tema di stupefacenti, qualora successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di “patteggiamento”, intervenga la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma il giudice della esecuzione dovrà rideterminare la pena, attesa la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. c.p.p. e solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvedere autonomamente ai sensi degli artt. 132-133 c.p.

Nel caso di specie, il pubblico ministero si è semplicemente opposto alla richiesta del condannato di rideterminazione della pena, ma non era stato attivato il procedimento di cui all’art. 188 disp. att. c.p.p. che disciplina le conseguenze di un mancato accordo in executivis tra il condannato ed il pubblico ministero.

  • La sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 16 aprile 2024, non avrebbe determinato l’illegalità della pena, che conseguirebbe al mutamento del c.d. “intervallo” edittale, ma avrebbe semplicemente riconosciuto un’attenuante prima non prevista e, di conseguenza, l’illegalità della pena «in concreto» dovrebbe passare per una serie di rivalutazioni del fatto di reato che non sarebbero “scontate” in quanto, nel caso di specie, la rapina si dovrebbe considerare di particolare tenuità e ciò determinerebbe il riconoscimento sia di tale attenuante, sia delle attenuanti generiche e tale eventuale riconoscimento avrebbe potuto altrettanto portare ad un diverso giudizio di bilanciamento delle circostanze.

La sentenza in commento lascia qualche perplessità in quanto l’illegalità della pena inflitta deriverebbe dalla violazione dell’art. 69 c.p., così come intrepretato da Cass. Pen., sez. VI, n. 38770 del 19.09.2024 – dep. il 22.10.2024, secondo cui il giudice, nell’esercizio della facoltà discrezionale riconosciutagli dalla legge in ordine al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti, deve fondare il proprio convincimento su una valutazione globale di tutte le circostanze e in considerazione della loro incidenza rispetto alla gravità del fatto e non già valorizzando il mero criterio della comparazione numerica.

Nel caso di specie, a seguito della citata sentenza additiva della Corte costituzionale, è stato precluso al condannato il giudizio globale di “tutte le circostanze”, ivi compresa quella sopravvenuta della “lieve entità”.

Nella sentenza in commento si legge che l’illegalità della pena non scaturirebbe automaticamente dalla pronuncia del Giudice delle leggi più volte citata, ma sarebbe, in concreto, subordinata a valutazioni discrezionali affatto eventuali e incerte del giudice dell’esecuzione medesimo.

Di conseguenza, per stimare la legalità della pena si dovrà compiere un “test di proporzionalità” innanzi al giudice dell’esecuzione e la circostanza che l’illegalità predetta non sia automatica ciò non vuol dire che, nel caso in concreto, non sia sussistente.