Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 8246/2025, udienza del 14 gennaio 2025, ha ribadito, in accordo ad un consolidato orientamento interpretativo, che la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo dell’imputato il quale può esercitarlo solo dopo la maturazione del relativo termine e solo mediante una dichiarazione esplicita di volontà non sostituibile da atti equipollenti.
Ai sensi dell’art. 157 comma 7 cod. pen., come riscritto dalla legge n. 251 del 2005, “la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato”.
Vigente l’originaria formulazione dell’art. 157 cod. pen., la Consulta, con la sentenza n. 275/1990, ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere rinunciata dall’imputato, ciò in base al rilievo secondo cui l’interesse generale dell’ordinamento a non più perseguire il reato (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle parti) non può sempre prevalere su quello dell’imputato a ottenere una sentenza di merito, con la conseguenza di privarlo del diritto fondamentale al giudizio e, con esso, di quello alla prova.
D’altro canto, l’art. 157 comma 7 cod. pen., si limita a consentire all’imputato il diritto di rinunciare alla prescrizione, senza specificarne in quali forme e in che tempi tale opzione debba manifestarsi, desumendosi tuttavia dagli avverbi “sempre” ed “espressamente” che la rinuncia può essere esercitata in ogni fase processuale e va operata in modo esplicito e formale, e ciò anche alla luce delle conseguenze di tale iniziativa, avente valore di un atto dismissivo di un proprio diritto, cioè quello di far valere gli effetti dell’estinzione del reato per il decorso del termine prescrizionale.
Come chiarito dalle Sezioni unite penali, in definitiva, la rinuncia alla prescrizione implica l’opzione dell’indagato o dell’imputato per la prosecuzione del processo verso l’epilogo di una pronuncia nel merito della regiudicanda e comporta, pertanto, anche la rivitalizzazione della pretesa punitiva statuale, altrimenti affievolita dal decorso del termine di prescrizione (SU, sentenza n. 18953 del 25/02/2016, Rv. 266333).
Proprio in ragione degli effetti riconducibili a tale opzione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la rinuncia alla prescrizione rientra nell’alveo dei diritti “personalissimi”, che possono essere esercitati dall’interessato personalmente o, al più, con il ministero di un procuratore speciale, restando dunque estranea alla sfera delle facoltà e dei diritti esercitabili dal difensore, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. pen., in nome e per conto del suo assistito; in tal senso, è stato altresì precisato che la rinuncia alla prescrizione non è esercitabile dal difensore neppure nell’ipotesi in cui sia formulata alla presenza dell’imputato, che rimanga silente.
Del resto, già in un precedente intervento del 2010 (sentenza n. 43055 del 30/09/2010, Rv. 248379), le Sezioni unite penali avevano chiarito che la rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti, non potendo la stessa, quindi, essere desunta implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per cassazione.
Ciò posto, se può convenirsi circa il fatto che la rinuncia diventa efficace quando matura la prescrizione, deve tuttavia ritenersi che la dichiarazione di rinuncia, operata a reato ancora non prescritto, non può essere qualificata come un mero flatus vocis privo di alcun rilievo, perché, se così fosse, si sarebbe in presenza di una dichiarazione irricevibile da parte dell’autorità giudiziaria, il che deve essere escluso, e tanto anche alla luce della portata dell’art. 157 cod. pen., che non pone preclusioni temporali al riguardo.
Piuttosto, alla rinuncia alla prescrizione, operata quando la causa estintiva non è ancora maturata, pare corretto attribuire la natura di una dichiarazione che, ove non revocata, diventa pienamente efficace quando interviene la prescrizione.
Sul punto è stato affermato il principio secondo cui la rinuncia alla prescrizione non è suscettibile di revoca (Sez. 6, n. 17598 del 18/12/2020; dep. 2021, Rv. 280969), ma tale affermazione è stata riferita alla sola ipotesi in cui la rinuncia è stata formulata a reato prescritto e dunque l’atto abdicativo era già efficace; in effetti, proprio sulla falsariga di tale impostazione, deve pervenirsi alla conclusione che, quando la rinuncia è stata formulata a reato non ancora prescritto, la stessa è sì inefficace, ma non per questo invalida, verificandosi i suoi effetti nel momento in cui si realizza l’evento cui la rinuncia è collegata, cioè il maturare del termine di prescrizione: fino a questo momento, la rinuncia è sempre revocabile, proprio perché non ancora efficace, mentre tale revoca non è più possibile, quando si è verificata la causa estintiva, e ciò proprio in base al principio, elaborato dalla richiamata sentenza n. 17598/2021, secondo cui la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato diviene irrevocabile allorquando sia portata a conoscenza dell’Autorità giudiziaria, in quanto, una volta scelta la via del giudizio sul merito a fronte della potenziale estinzione del reato, la rinuncia esplica i suoi effetti “hic et nunc”, dando immediatamente luogo all’espletamento dell’attività processuale volta ad accertare la consistenza del tema di accusa.
Dunque, intervenuta la rinuncia alla prescrizione quale atto dismissivo attraverso cui l’interessato estromette un diritto già acquisito nella propria sfera giuridica, la rinuncia non è più revocabile e la non operatività della causa estintiva deve considerarsi definitiva perché superata da una contraria manifestazione di volontà il cui contenuto, solo in apparenza negativo, esprime in realtà l’esercizio del diritto dell’imputato a ottenere un bene maggiore, ossia un giudizio nel merito, con l’eventuale riconoscimento della sua piena innocenza attraverso il proscioglimento dall’addebito, anche se resta ovviamente salva la possibilità che il processo si chiuda con un epilogo sfavorevole al rinunciante, cioè con la sua condanna. Analogamente, quando la prescrizione non è ancora maturata, la rinuncia alla prescrizione rimane consentita, ma i suoi effetti si verificano solo quando matura il termine prescrizionale: fino a questo momento, deve ritenersi che la rinuncia possa essere revocata, proprio perché non ancora operativa.
Si deve quindi ribadire che, una volta maturata la causa estintiva, la rinuncia alla prescrizione, ove non sia revocata dal diretto interessato, diventa efficace, perché la precedente dichiarazione non è affetta da alcun vizio, ma esprime una manifestazione di volontà che recupera la sua piena efficacia nel momento in cui si verifica la condizione cui la rinuncia era implicitamente subordinata.
Diversamente ragionando, si finirebbe con l’attribuire alla rinuncia alla prescrizione operata formalmente dall’imputato, sia pure a reato non prescritto, il valore di una mera dichiarazione ioci causa destinata a restare priva di effetti nel corso dell’intero giudizio, pur se mai ritirata dal diretto interessato, il che renderebbe inspiegabile l’osservanza delle forme che invece correttamente sono pretese dal legislatore, per la gravità degli effetti che la rinuncia comporta. In definitiva, la rinuncia alla prescrizione, operata quando non è ancora maturata la causa estintiva del reato, non è né nulla né irricevibile, ma è semplicemente inefficace, producendo i suoi effetti nel momento in cui la prescrizione maturi, senza che prima di tale momento la dichiarazione di rinuncia sia stata revocata.
Non bisogna dimenticare, del resto, che, nella sua scarna formulazione, l’art. 157 comma 7 cod. pen., nel riconoscere all’imputato il diritto di rinunciare alla prescrizione, utilizza due avverbi significativi, cioè “espressamente” e “sempre”, ciò a voler dire che la rinuncia può essere operata in ogni momento, dunque anche prima che maturi la prescrizione, dovendo tale rinuncia essere espressa, proprio perché, per effetto di tale dichiarazione di volontà, il divieto di procedere nell’azione penale è sostituito dal dovere di procedere, con la precisazione che, finché la causa di estinzione non matura, la rinuncia è valida ma non efficace e dunque revocabile, mentre, una volta decorso il termine prescrizionale, la rinuncia precedente, ove non revocata in tempo utile, dispiega i suoi effetti, al pari della rinuncia formalizzata dopo la prescrizione e prima della sua declaratoria; è invece tardiva e inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata (così Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Rv. 278983-02).
Sul punto deve solo aggiungersi che la rinuncia tempestivamente formulata a reato prescritto, a differenza della prima, va ritenuta irrevocabile, in quanto con essa l’imputato ha di fatto “autorizzato” la prosecuzione dell’azione penale nei suoi confronti e non può sottrarsi alle conseguenze, e agli inevitabili rischi, anche di una condanna, derivanti dalla scelta processuale operata.
