Abbiamo ricevuto la richiesta di un lettore che ha scritto: “Nell’ipotesi che il pm si opponga alla richiesta difensiva di acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti del suo fascicolo d’ indagine, è consentito acquisirli ugualmente?”
Sul punto si è pronunciata Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 30645/2024, stabilendo che l’acquisizione di atti d’indagine al fascicolo del dibattimento, pur se richiesta dalla difesa dell’imputato, è preclusa in caso di opposizione o dissenso da parte del pubblico ministero, potendo avvenire nel solo caso in cui tutte le parti vi consentano.
Quindi sembrerebbe che la strada sia preclusa.
La lettura del combinato disposto degli articoli 493 comma 3 e 526 cpp porta a ritenere che la locuzione “le parti possono concordare l’acquisizione“, evoca un meccanismo negoziale, attuabile unicamente mediante una positiva ed inequivoca manifestazione di consenso: attesa la natura eccezionale della norma, che costituisce deroga alle regole fondamentali in tema di acquisizione della prova ai fini del giudizio – in considerazione del principio generale per cui non sono acquisibili in dibattimento gli atti di indagine – deve escludersi la possibilità di una interpretazione estensiva, che omologhi il “non opporsi” al “concordare” in caso contrario le prove sono inutilizzabili ai fini della decisione (Sez. 1, n. 12881 del 11/02/2005, Daci, Rv. 231252).
In sostanza, perché detta acquisizione possa essere validamente effettuata deve esservi un espresso consenso alla stessa, nulla significando un’asserita mancata opposizione da parte della difesa dell’imputato.
Tuttavia, in una sentenza (sezione 5 numero 1068/2022 depositata nel 2023) la Suprema Corte ha stabilito che la sanzione dell’inutilizzabilità, che colpisce le prove a carico acquisite in violazione di divieti di legge, è posta a garanzia della difesa e non può essere ritenuta al fine di non valutare un elemento di giudizio a questa favorevole, ma si aggiunge che da tale principio non consegue che possano violarsi le regole di ingresso degli atti nel fascicolo dibattimentale, in cui può essere inserito l’atto di querela, che è, tuttavia, utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell’azione penale, non rientrando nel novero dei verbali irripetibili contemplati dall’art. 431, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Nel caso esaminato la difesa si doleva della mancata acquisizione, al fine della prova del fatto, della querela sporta dalla persona offesa.
Vero è che l’inutilizzabilità – come esplicitato dalla giurisprudenza in relazione alla prova vietata per la sua intrinseca illegittimità oggettiva ovvero per effetto del procedimento acquisitivo la cui manifesta illegittimità lo pone completamente al di fuori del sistema processuale – è una sanzione processuale posta a tutela dell’imputato (cfr. Sez. 2, n. 17694 del 17/01/2018, Zavanese, Rv. 272894 – 01: “la sanzione della inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen. è posta a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove a carico illegittimamente acquisite contro divieti di legge; ne consegue che tale inutilizzabilità non può essere ritenuta al fine di ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri del processo”; cfr. pure Sez. 4, n. 30794 del 15/02/2022, Pescare, Rv. 283455 – 01).
Purtuttavia, da tale principio non consegue che possano violarsi le regole di ingresso degli atti nel fascicolo per il dibattimento, che il codice di rito tiene distinto (a prescindere da una prova illegittima nel senso sopra chiarito) dal fascicolo del pubblico ministero e da cui consegue l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova («coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 stesso codice»: cfr. già Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246 – 01; cfr. pura Sez. 3, n. 882 del 09/06/2017 – dep. 2018, Bellissimo, Rv. 272258 01).
Difatti: – a mente degli artt. 431, comma 1, lett. a), e 511 cod. proc. pen., la querela – salvo che le parti vi consentano – può essere inclusa nel fascicolo per il dibattimento ed è utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell’azione penale (cfr. Sez. 5, n. 21665 del 16/02/2018, Consentino, Rv. 273167 – 01, e Sez. 5, n. 51711 del 06/10/2014, Lamelza, Rv, 261735 – 01); ed essa – contrariamente a quanto assunto dalla difesa – non rientra nel novero dei verbali degli atti irripetibili contemplati invece dall’art. 431, comma 1, lett. b) e c), cit.; – «il contenuto della querela può essere legittimamente utilizzato nel corso della deposizione della persona offesa quale “aiuto alla memoria” ex art. 499, comma 5, cod. proc. pen.» – per quel che qui rileva – quando «sia stata proposta oralmente e ricevuta in apposito verbale, trattandosi di dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nei fascicolo del pubblico ministero» (cfr. Sez. 2, n. 16026 del 12/02/2020, 5orrentino, Rv. 279226 – 01); – nella specie non rileva e non ricorre il caso «in cui per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela», ipotesi in cui «la lettura è consentita ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., anche per utilizzarne il contenuto al fini della prova» (cfr. Sez. 5, n. 21665/2018, cit.; Sez. 5, n. 51711/2014, cit,), atteso che la persona offesa ha deposto in giudizio.
In conclusione, il bel principio enunciato, che ripetiamo: la sanzione della inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen. è posta a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove a carico illegittimamente acquisite contro divieti di legge; ne consegue che tale inutilizzabilità non può essere ritenuta al fine di ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri del processo.
Nel caso esaminato dalla Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 17694/2018, la Corte d’appello, preso atto che la tesi difensiva dell’asserita buona fede dell’imputato quanto alla provenienza delittuosa degli assegni che si assumevano ricettati fondava sul contenuto delle sommarie informazioni dallo stesso rese alla P.G. in data 13.5.2008 in qualità di persona informata sui fatti, ha osservato che le predette dichiarazioni erano affette da inutilizzabilità c.d. patologica, poiché rese da soggetto che avrebbe dovuto essere sentito come persona indagata, con le relative garanzie difensive) quindi, come già ritenuto dal primo giudice, esse non erano valutabili, neppure – in ipotesi – in favore dell’imputato.
La Suprema Corte è stata di diverso avviso ed ha chiarito che la sanzione della inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen. è posta a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove a carico illegittimamente acquisite contro divieti di legge; ne consegue che tale inutilizzabilità non può essere ritenuta al fine di ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri del processo.
A coronamento di un lungo e travagliato percorso culturale e normativo, scaturito in epoca risalente da una sentenza della Corte costituzionale (sentenza 6 aprile 1973, n. 34), che per prima aveva ammonito in ordine al rischio che i principi costituzionali di riferimento potessero risultare gravemente compromessi, se “a carico dell’interessato potevano valere, come indizi o prove, attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino“, il nuovo codice di procedura penale, attraverso la previsione, nell’art. 191, della sanzione della «inutilizzabilità” delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, ha inteso attuare una più efficace tutela giurisdizionale della prova nel processo penale, a tal fine predisponendo un’articolata disciplina normativa che quell’ambita finalità consentisse di realizzare.
La Relazione al progetto preliminare del nuovo codice espressamente precisa, in argomento, che la sanzione dell’inutilizzabilità colmava una “lacuna del precedente ordinamento processuale“, in relazione a tutti i “divieti probatori” che, se fossero stati ancora affidati soltanto alla tutela sanzionatoria assicurata dalle nullità, avrebbero continuato a fruire delle possibili sanatorie, con la conseguenza che il giudice poteva assumere e motivare la sua decisione utilizzando “prove vietate“, sia pure soltanto nei casi in cui nessuna tempestiva ed appropriata iniziativa processuale fosse stata assunta dalle parti ai fini dell’accertamento e della declaratoria di nullità della prova, illegittimamente formata, acquisita ed utilizzata.
Pur operando entrambe nell’area della patologia della prova, le categorie della nullità e della inutilizzabilità risultano, infatti, distinte ed autonome, perché correlate a diversi presupposti (Sez. U, sentenza n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204644): – la nullità attiene sempre e soltanto all’inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova, vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti; – l’inutilizzabilità, come sanzione di carattere generale, presuppone la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo la cui manifesta illegittimità lo pone completamente al di fuori del sistema processuale. Come chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, l’istituto della inutilizzabilità disciplinato dall’art. 191 cod. proc. pen., è essenzialmente posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile, ovvero come prove a carico.
Ne consegue che l’istituto non può essere applicato per ignorare elementi di giudizio astrattamente favorevoli alla difesa che, invece, pur quando l’atto che li contenga risulti affetto da inutilizzabilità, devono essere considerati e, quindi, “utilizzati”, secondo i canoni logico razionali propri della funzione giurisdizionale (Sez. I, sentenza n. 11027 del 26 novembre 1996, Usai, Rv. 207332: applicazione relativa all’ipotesi di inutilizzabilità prevista dall’art. 195, comma primo, cod. proc. pen.; Sez. V, sentenza n. 32465 del 25 giugno 2001, Graziano, Rv. 219705: applicazione relativa a dichiarazioni del curatore fallimentare riguardanti fatti appresi dall’imputato, acquisite in asserita – e peraltro insussistente – violazione del divieto di cui all’art. 62 c.p.p.; Sez. III, sentenza n. 19496 del 24 settembre 2015, dep. 2016, Carambia ed altri, Rv. 266782: applicazione relativa all’acquisizione di corrispondenza epistolare intrattenuta dal detenuto, ritenuta oggettivamente inutilizzabile perché intercettata, a sua insaputa, ai sensi degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen.).
L’assunto dei giudici del merito è, pertanto, in diritto errato, e va emendato.
L’inutilizzabilità a tutela dell’imputato è un bel principio ma non sposta di un centimetro la preclusione relativa all’acquisibilità al fascicolo del dibattimento degli atti di indagine in caso di opposizione del pubblico ministero.
Questa conclusione speriamo sia presto smentita da un lettore che ci fornisca materiale in proposito.
