Esecuzione penale: istanza del condannato di estinzione della pena e rito applicabile (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 45985/2024, udienza del 19 novembre 2024, si è soffermata sulle differenze, in tema di esecuzione penale, tra il rito ordinario e il rito speciale ed ha chiarito quale dei due sia applicabile all’istanza di estinzione della pena presentata dal condannato.

Provvedimento impugnato

Con ordinanza del 3 luglio 2024 il GIP del Tribunale di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, accogliendo l’opposizione del PM ex art. 667 cod. proc. pen., ha respinto l’istanza del condannato DM di dichiarare l’estinzione, per decorso del tempo, della pena inflitta con sentenza del Tribunale di Savona del 12 novembre 2004, irrevocabile il 6 gennaio 2005, che lo ha condannato alla pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione e 2.800 euro di multa.

In particolare, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che, come osservato dal PM nell’atto di opposizione, la pena sospesa concessa con quella sentenza era stata revocata per effetto della commissione di reato nel quinquennio, in particolare il reato commesso il 4 dicembre 2008, accertato con sentenza della Corte d’appello di Genova del 1° aprile 2014, irrevocabile il 29 dicembre 2014; la circostanza impedisce la dichiarazione di estinzione, per decorso del tempo, della pena inflitta con la sentenza del 2004.

Ricorso per cassazione

Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.

Con il primo motivo deduce violazione di legge, perché il giudice dell’esecuzione ha deciso sull’opposizione de plano e senza fissare udienza camerale.

 Con il secondo motivo deduce violazione di legge con riferimento alla mancata dichiarazione di estinzione della pena, atteso che la sentenza della Corte di appello, causa di revoca della sospensione, è divenuta irrevocabile oltre il termine di estinzione della pena per decorso del tempo.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è fondato.

È fondato, in particolare, il primo motivo, di carattere procedurale.

Nella fase dell’esecuzione penale, disciplinata dal libro X del codice di procedura penale, esistono due riti.

Un rito, per così dire, “ordinario”, disciplinato dall’art. 666, cod. proc. pen., in cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione è emesso a seguito di udienza camerale con la partecipazione necessaria del difensore e del PM, salvo che la richiesta appaia a prima lettura manifestamente infondata – in quanto proposta in difetto proposta in difetto delle condizioni di legge o in quanto mera riproposizione di altra analoga istanza già rigettata – nel qual caso il provvedimento deve essere emesso senza formalità di procedura.

Contro il provvedimento emesso a seguito dell’udienza camerale, o contro il provvedimento di inammissibilità emesso de plano, non è prevista l’opposizione allo stesso giudice (Sez. 1, n. 6378 del 11/12/2023, dep. 2024), ed è ammesso quale unico mezzo di impugnazione il ricorso per cassazione.

Il rito, per così dire, “ordinario” dell’art. 666 cod. proc. pen. si applica in via generale e residuale a tutte le competenze attribuite al giudice dell’esecuzione per le quali non è espressamente stabilito che si proceda in modo diverso.

Un secondo rito, per così dire, “speciale”, prevede, invece, che il giudice provveda sempre senza formalità di procedura, mediante ordinanza comunicata al PM e notificata all’interessato. In tal caso, avverso tale provvedimento emesso de plano, l’art. 667, comma 4 cod. proc. pen. prevede, quale mezzo di impugnazione, l’opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata, che dovrà valutare l’opposizione a seguito di contraddittorio orale in udienza camerale.

Avverso il provvedimento emesso a seguito dell’udienza camerale, in cui è decisa l’opposizione, può essere poi proposto ricorso per cassazione.

Il rito “speciale” si applica alle competenze del giudice dell’esecuzione per cui tale rito sia espressamente previsto, e quindi, allo stato, a quelle disciplinate dall’art. 667 cod. proc. pen., e dall’art. 676 cod. proc. pen., che richiama l’art. 667 citato, che sono: 1) dubbio sull’identità fisica della persona detenuta; 2) estinzione del reato dopo la condanna; 3) estinzione della pena quando questa non consegue alla liberazione condizionale o all’affidamento in prova al servizio sociale; 4) pene accessorie; 5) confisca; 6) restituzione delle cose sequestrate; 7) riduzione della pena in executivis per effetto dell’applicazione della norma di cui all’art. 442, comma 2- bis, cod. proc. pen.

Nel caso di specie, l’incidente di esecuzione ha oggetto una istanza di estinzione della pena, competenza che, come detto, segue il rito “speciale”.

Ne consegue che la pronuncia emessa dal Tribunale senza formalità di procedura poteva essere impugnata con opposizione davanti allo stesso giudice, secondo le regole del rito “speciale”, che prevede, però, come correttamente rilevato in ricorso, che l’opposizione debba essere trattata in udienza camerale.

A questa regola non è si è attenuto il giudice dell’esecuzione, che ha deciso l’opposizione con provvedimento emesso de plano senza passare attraverso il contraddittorio orale in udienza camerale.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che sia nulla l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione de plano, anziché in udienza camerale (Sez. 3, sentenza n. 35500 del 20/06/2007, Rv. 237529), e che tale nullità sia assoluta, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 1, sentenza n. 12304 del 26/02/2014, Rv. 259475; Sez. 1, sentenza n. 44859 del 05/11/2008, Rv. 242196).

Ne consegue che il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo, e che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio.