Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 6278/2025, udienza del 30 gennaio 2025, ha analizzato approfonditamente la nozione di interesse ad impugnare ove riferito alla parte civile, specificamente declinato per il caso che questa contesti di aver contribuito con la propria condotta colposa al verificarsi dell’evento.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che una impugnazione è ammissibile ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. soltanto se la parte che la propone vi ha interesse. Un interesse che deve essere attuale e concreto: deve quindi «mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato» (per tutte, Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165).
Le Sezioni unite si sono specificamente occupate dell’interesse della parte civile a impugnare la decisione con la quale l’imputato sia stato prosciolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato” e hanno ritenuto sussistente un tale interesse anche quando la formula di assoluzione non ha efficacia preclusiva, osservando che, con la costituzione di parte civile nel giudizio penale, il danneggiato trasferisce «in sede penale l’azione civile di danno e ha quindi interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto» (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815).
L’interesse della parte civile ad impugnare è stato ritenuto sussistente anche con riferimento alle sentenze dichiarative di prescrizione se questa dichiarazione è avvenuta erroneamente e ha prodotto effetti sulle statuizioni civili.
Si è affermato che, «nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammissibile l’impugnazione della parte civile ove con la stessa si contesti l’erroneità di detta dichiarazione» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria c/ Papaleo, Rv. 275953-01).
Si è precisato a tal fine che, in questo caso, «la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva direttamente dalla previsione dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., mentre l’interesse concreto deve individuarsi nella finalità di ottenere, in caso di appello, il ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione di responsabilità dell’imputato, sia pure ai soli fini delle statuizioni civili, e, in caso di ricorso in cassazione, l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di appello, ex art. 622 cod. proc. pen., senza la necessità di iniziare “ex novo” il giudizio civile».
È stato così affermato l’ulteriore principio (che ha carattere generale e rileva nel caso oggetto del presente ricorso) secondo il quale: «la valutazione dell’interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria c/ Papaleo, Rv. 275953-02). Si è affermato inoltre che la concretezza dell’interesse ad impugnare deve essere «parametrata al raffronto tra quanto statuito dalla sentenza impugnata e quanto, con l’impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere» e la valutazione in ordine alla sussistenza di tale interesse «va operata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso» (così Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, pag. 19 e pag. 20 della motivazione).
Applicando questi principi, la giurisprudenza successiva ha affermato che «la sussistenza di un interesse concreto della parte civile ad impugnare una pronuncia di proscioglimento per prescrizione va verificata con riferimento alla prospettazione contenuta nell’atto di impugnazione degli specifici effetti favorevoli che la parte civile si ripromette di ottenere e valutando se l’accoglimento dell’impugnazione possa effettivamente comportare la situazione di vantaggio perseguita» (Sez. 5, n. 14015 del 18/02/2020, Rv. 278993).
Nella medesima prospettiva (anche in questo caso prendendo le mosse dai principi di diritto affermati dalle citate sentenze delle Sezioni unite), si è sostenuto che la parte civile ha interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione che abbia riconosciuto l’esimente di cui all’art. 599, comma secondo, cod. pen., pur se priva di efficacia preclusiva all’azione civile ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen. Si è osservato a tal fine: che, avendo scelto di perseguire i propri interessi in sede penale, la parte civile «ha diritto ad osteggiare mediante le impugnazioni una pronuncia diversa da quella a cui avrebbe aspirato» indipendentemente dal rilievo extra-penale che il codice di rito assegna alla pronunzia di proscioglimento; che «la possibilità di introdurre ex novo un giudizio civile senza vedersi opporre dalla controparte una pronunzia liberatoria normativamente rilevante», non consente di valutare «priva di interesse la scelta della parte civile di perseguire, mediante il potere di impugnazione che l’articolo 576 cod. proc. pen. le conferisce, il riconoscimento del proprio diritto da parte del giudice penale» (Sez. 5, n. 17941 del 07/02/2020, N., Rv. 279205, pag. 7 della motivazione).
Nel valutare se, nel caso oggetto del presente ricorso, le parti civili abbiano interesse alla impugnazione proposta ci si deve muovere all’interno di queste coordinate ermeneutiche e si deve tenere presente che, nel caso di specie, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della sentenza di appello nella parte in cui valuta come colposa la loro condotta attribuendole un ruolo concausale nel verificarsi dell’incidente e nella parte in cui, quantificato nella misura del 50% tale concorso di colpa, determina l’entità delle provvisionali in misura inferiore rispetto a quella indicata dal giudice di primo grado.
I ricorrenti deducono vizi di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui attribuisce loro un concorso di colpa nella causazione dell’evento. La difesa dell’imputato non si è limitata a contrastare tali deduzioni nel merito e ha sostenuto che le parti civili non avrebbero interesse ad impugnare questa statuizione.
Anche il Procuratore generale ha sostenuto l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso proposto dalle parti civili.
In questo senso si sono orientate due pronunce della Sesta sezione che, richiamando la giurisprudenza civile relativa alla interpretazione dell’art. 651 cod. proc. pen., hanno ritenuto «inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione della parte civile volto a censurare l’accertamento del giudice di merito in ordine al concorso di colpa della vittima nella determinazione causale dell’evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno» (Sez. 4, n. 17219 del 20/03/2019, Rv. 275874; Sez. 4, n. 44096 del 04/11/2021).
Le sentenze citate giungono a tali conclusioni sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza civile secondo la quale, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651 cod. proc. pen., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima (per tutte, Sez. 3 civile, sentenza n. 1665 del 29/01/2016, Rv. 638322; Sez.3 civile, ordinanza n. 21402 del 06/07/2022, Rv. 665209). Sottolineano, inoltre: che il primo comma dell’art. 651 cod. proc. pen. conferisce alla sentenza penale di condanna efficacia di giudicato nel giudizio civile restitutorio e risarcitorio promosso nei confronti del condannato «quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso»; che, pertanto, il giudicato investe solo la condotta del condannato; che all’accertamento della sussistenza del fatto si connette l’accertamento della sua illiceità e della sua commissione da parte dell’imputato e che l’accertamento dell’esistenza di una correlata condotta della vittima, rimane esterno a questo ambito.
Contrastano con queste considerazioni alcune sentenze delle sezioni civili della Suprema Corte che – pur avendo ribadito che il giudicato penale in sede civile ha ad oggetto solo l’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e l’affermazione che l’imputato lo ha commesso – hanno ridimensionato, almeno in parte, l’affermazione secondo la quale se, in sede penale si accerta un comportamento della vittima (costituita parte civile in giudizio) dotato di efficacia concausale nel verificarsi dell’evento, tale accertamento non ha valore di giudicato nel processo civile.
Rileva nel senso indicato la sentenza n. 15392 del 13/06/2018 (Rv. 649308 – 01) della Terza Sezione civile, secondo la quale: «Nel giudizio civile risarcitorio, il giudicato penale di condanna spiega effetto vincolante ai sensi dell’art. 651 c.p.p. in ordine all’accertamento del nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica e delle circostanze di tempo, luogo e modo di svolgimento di esso, ma non preclude al giudice civile l’accertamento dell’apporto causale del danneggiato – il quale, se di regola è inidoneo ad escludere la responsabilità penale, può ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – ove non sia stato considerato dal giudice penale ai fini dell’accertamento a lui demandato».
Il significato dell’affermazione secondo la quale l’accertamento dell’apporto causale del danneggiato non è precluso «ove non sia stato considerato dal giudice penale ai fini dell’accertamento a lui demandato» è chiarito alla pagina 5 della motivazione, ove si legge: per “fatto” accertato dal giudice penale ai sensi dell’art. 651 cod. pen., «deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale — e cioè l’apprezzamento e la valutazione di tali elementi — la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio. Altresì rimesso all’accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l’elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di «illiceità penale» di cui all’art. 651 cod. proc. pen.».
Sullo specifico tema delle concause e della possibilità di desumere dal giudicato penale effetti preclusivi dell’accertamento in sede civile del concorso di colpa del danneggiato, la sentenza in esame osserva quanto segue (pag. 6 e 7 della motivazione): «una concausa può bensì ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., ma non esclude di regola la responsabilità penale, per il principio di equivalenza causale ex art. 41 cod. pen.». Pertanto, «l’eventuale apporto causale colposo del danneggiato non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gli effetti di cui all’art. 651 cod. proc. civ. e può essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento».
La sentenza in esame aggiunge che «la ricostruzione storico-dinamica dell’accaduto è preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio», ma può «indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come nella specie il comportamento della parte lesa, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull’apporto causale nella produzione dell’evento». A sostegno di tali affermazioni, la sentenza cita: «Cass. 28/03/2001, n. 4504, che ha cassato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva ritenuto che la richiesta in sede civile di verifica del concorso di colpa del danneggiato fosse preclusa dall’intervenuto accertamento della sua responsabilità in sede penale in ordine all’omicidio colposo; v. anche Cass. 28/05/2015, n. 11117, che, in base a tale principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso che al giudice civile fosse preclusa l’affermazione della concorrente responsabilità del danneggiato da sinistro stradale dal giudicato penale di condanna della controparte, anche in considerazione del fatto che il giudizio penale si era svolto “sulla base di imputazioni che rendevano del tutto compatibile l’accertamento della responsabilità colposa [dell’imputato, n.d.r.] con l’accertamento, in sede civile, della eventuale corresponsabilità di altri soggetti, compreso il danneggiato”; Cass. 01/03/2004, n. 4118, che, in base al richiamato principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva affermato la responsabilità concorrente del danneggiato da sinistro stradale, per il mancato uso del casco protettivo, escludendo la dedotta efficacia preclusiva del giudicato penale sulla responsabilità dell’altro conducente; non difformemente Cass. 28/09/2004, n. 19387, proprio sulla base dell’esposto principio, ha accolto l’appello della danneggiata, cui il giudice di merito aveva attribuito un concorso di colpa nella causazione del danno, per violazione del giudicato penale di condanna del danneggiante, ravvisato in ragione del contrasto tra gli obiettivi elementi di fatto accertati dal giudice penale e quelli, incompatibili con taluni di essi, posti a base della sentenza civile)» (così, testualmente, pag. 7 della motivazione).
Così argomentando, la sentenza in esame mette in luce che, quando esclude l’efficacia preclusiva del giudicato penale rispetto alla affermazione della responsabilità concorrente del danneggiato, la giurisprudenza civile compie una valutazione del caso concreto verificando se vi sia contrasto tra il riconoscimento di tale responsabilità concorrente e l’accertamento compiuto in sede penale. In questa prospettiva, il giudice civile può ritenere sussistente il concorso di colpa del danneggiato, valorizzando aspetti del fatto «in nessun modo esaminati dal giudice penale»; ma, nel ritenere o escludere la responsabilità concorrente del danneggiato, non può procedere ad una «ricostruzione storico-dinamica dell’accaduto» diversa da quella accertata in sede penale. Se ne desume che, quando il giudice penale ha esaminato il comportamento della parte lesa attribuendogli rilevanza causale nella produzione dell’evento (e, per questo, ha ritenuto esistente il concorso di colpa della vittima costituitasi parte civile in giudizio), il giudice civile non può escludere la rilevanza causale di quel comportamento. Depone nello stesso senso la sentenza Sez. 3, n. 26009 del 06/09/2023 (Rv. 669098 – 01), che si riferisce ad un caso nel quale la Corte di cassazione penale aveva dichiarato la prescrizione del reato confermando le statuizioni civili delle sentenze di merito. Con questa decisione, la Terza sezione civile ha affermato che «L’accertamento in sede penale, con efficacia di giudicato, dell’assenza di un concorso di colpa del danneggiato – costituitosi parte civile – preclude, nel giudizio civile risarcitorio, la riduzione della responsabilità del danneggiante ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c.».
Leggendo la motivazione di questa sentenza si apprende che, in presenza di un reato dichiarato estinto per prescrizione e di un dispositivo contenente condanna generica al risarcimento dei danni, i giudici civili di merito avevano ritenuto il concorso di colpa del danneggiato, il quale ha proposto ricorso contro tale decisione. Tale ricorso è stato ritenuto fondato perché dalla motivazione delle sentenze penali (prodotte dal ricorrente) emergeva: che nel giudizio penale il concorso di colpa era stato esplicitamente escluso; che l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione contro la condanna sia a fini penali che a fini civili; che la Cassazione aveva dichiarato la prescrizione del reato confermando le statuizioni civili; che, pertanto, sulla non sussistenza del concorso di colpa della persona offesa (e parte civile costituita) si era formato il giudicato ed era preclusa al giudice civile una diversa decisione (Sez. 3, n. 26009 del 06/09/2023, Rv. 669098 – 01, pag. 6 della motivazione). 7. Nel valutare se la persona offesa costituita parte civile abbia interesse a impugnare una sentenza che abbia riconosciuto il suo concorso di colpa, non si può ignorare l’orientamento della giurisprudenza civile appena illustrato. In presenza di un tale orientamento, infatti, si deve ritenere che – se nell’ambito dell’accertamento a lui demandato – il giudice penale afferma che la persona offesa costituitasi parte civile ha contribuito causalmente al verificarsi dell’evento, la parte civile ha interesse a ricorrere per Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza che contiene un tale accertamento. Ed invero, poiché la concretezza dell’interesse ad impugnare deve essere valutata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso e «parametrata al raffronto tra quanto statuito dalla sentenza impugnata e quanto, con l’impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria c/Papaleo, già citata), la parte civile ha un concreto interesse all’annullamento di una sentenza che ha positivamente accertato il suo concorso di colpa, perché ha interesse ad evitare che il giudice civile possa ritenere preclusa una diversa decisione. Non contrasta con queste conclusioni – ed è utile precisarlo – la recente sentenza che, in un caso speculare a quello oggetto del presente ricorso, ha ritenuto «inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione con cui l’imputato lamenta la mancata verifica, da parte del giudice di merito, del concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell’evento, posto che tale accertamento non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel giudizio civile instaurato a tal fine l’efficacia di giudicato della condanna penale investe, ex art. 651 cod. proc. pen., la sola condotta del condannato e non anche quella della persona offesa, pur se costituita parte civile)» (Sez. 4, n. 14074 del 05/03/2024, Rv. 286187).
Nel caso esaminato da questa sentenza, infatti, l’imputato si doleva della mancata verifica del concorso di colpa della persona offesa sicché nel giudizio di merito cui il ricorso per cassazione si riferiva la rilevanza causale della condotta del danneggiato non era stata né accertata né esclusa.
È appena il caso di rilevare che le argomentazioni svolte valgono anche con riferimento alle sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. quale è quella oggetto del presente ricorso.
Le sezioni civili della Suprema Corte, infatti, sono concordi nel ritenere che «qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, e il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condanna resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione». (Sez. 2 civile, sentenza n. 14921 del 21/06/2010, Rv. 613677 — 01).
Nel ribadire tale principio, la Terza sezione civile ha affermato: «La sentenza del giudice penale che, nel dichiarare estinto per amnistia il reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare in sede civile i presupposti per l’affermazione della sua responsabilità, quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato e l’insussistenza di esimenti ad esso riferibili, nonché la “declaratoria iuris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma può contestare soltanto l’esistenza e l’entità in concreto di un pregiudizio risarcibile» (Sez. 3 civile, n. 2083 del 29/01/2013, Rv. 625080).
Depone nello stesso senso l’ordinanza n. 27055 del 18/10/2024 (Rv. 672491 – 01), secondo la quale: «Qualora il giudice penale, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, pronunci condanna generica dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, a tale statuizione deve riconoscersi efficacia vincolante, in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato, nel successivo giudizio civile risarcitorio, che resta deputato unicamente all’accertamento dell’esistenza ed entità in concreto di un pregiudizio risarcibile ex art. 1223 c.c.» (Sez. 3 civile, ordinanza n. 27055 del 18/10/2024, Rv. 672491 – 01).
Alla luce delle considerazioni sin qui sviluppate, nel caso di specie, l’interesse ad impugnare può essere ritenuto sussistente con riferimento ai motivi con i quali le parti civili ricorrenti contestano di aver contribuito con la propria condotta colposa al verificarsi dell’evento. Ne consegue che questi motivi devono essere esaminati nel merito.
