Accordo di ristrutturazione del debito tributario tra contribuente e amministrazione finanziaria: a differenza del piano di rateizzazione, comporta la riduzione proporzionale della confisca per equivalente anche se successivo all’irrevocabilità della condanna (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 44519/2024, udienza del 17 settembre 2024, ha precisato, in tema di reati tributari, che l’accordo di ristrutturazione del debito tributario tra contribuente e amministrazione finanziaria, sotto forma di transazione fiscale ritualmente omologata ex art. 182-ter legge fall., incide, riducendone l’ammontare, sul “quantum” del debito.

Ne consegue che il suo perfezionamento successivo all’irrevocabilità della condanna comporta che il giudice dell’esecuzione non possa mantenere la confisca del profitto del reato nella misura stabilita in sentenza, pena la violazione del principio di proporzionalità.

Occorre, in premessa, richiamato il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può sovrapporsi e anche entrare in contraddizione con quella eventualmente compiuta dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria (Sez. 3, n. 24225 del 14/03/2023, Rv. 284693; Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, Rv. 270476; v. anche Sez. 5, n. 40412 del 13/06/2019, Rv. 277120 – 01).

Tuttavia, è innegabile che il raggiungimento di un accordo con l’Amministrazione finanziaria non può ritenersi produttivo di effetti solo in ambito amministrativo, essendo, invece, necessario verificare la sua incidenza anche nell’ambito penale, onde attribuirgli, in determinati casi, rilevanza nella determinazione dell’imposta evasa e, quindi, incidenza sul quantum del profitto del reato confiscabile, in via diretta o per equivalente (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Rv. 265843; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Rv. 258903).

Nei casi di ammissione del debitore alla sola rateizzazione del debito tributario la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, ha costantemente affermato che la mera ammissione a un piano di rateizzazione non è sufficiente a legittimare una richiesta di revoca o riduzione della confisca, essendo necessario un quid pluris, costituito dal pagamento (integrale o parziale) del debito tributario (Sez. 3, n. 33602 del 24/04/2015, Rv. 265043).

La ratio delle norme che prevedono la confisca per equivalente del profitto dei reati tributari impone, infatti, di ritenere che solo l’adempimento dell’obbligazione tributaria possa far venir meno la ragione giustificatrice della misura ablatoria, non rilevando, quindi, ai fini della revoca della misura, la mera rateizzazione del pagamento, non essendo questa un’ipotesi equiparata all’adempimento (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409).

Tale rateizzazione, peraltro, è ora ritenuta rilevante dal legislatore, che, in relazione al sequestro, ha modificato il secondo comma dell’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000 stabilendo che “Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti“.

In ogni caso, la confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuta sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotta in misura corrispondente ai ratei via via versati per effetto della convenzione (Sez. 3, n. 6054 del 26/10/2016, dep. 2017, Rv. 268836; (Sez. 3, n. 33602 del 24/04/2015, Rv. 265043; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409, cit.).

Il presupposto per la riduzione della confisca va, dunque, individuato esclusivamente nella riduzione del debito tributario conseguente all’omesso versamento dell’imposta dovuta.

Nel caso in esame il ricorrente è stato condannato, con sentenza divenuta irrevocabile, per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000, per l’omesso pagamento dell’Iva per l’anno di imposta 2013, per un ammontare complessivo di euro 383.246,00.

Successivamente al passaggio in giudicato della sentenza il condannato ha presentato al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto istanza di omologazione della proposta di accordo di ristrutturazione del proprio debito tributario sottoposta all’Agenzia delle Entrate, avente a oggetto, tra l’altro, il pagamento dell’Iva non versata, garantito da polizza fideiussoria, ridotto al 15% rispetto all’ammontare originario; il Tribunale, pronunciandosi sull’istanza, ha omologato l’accordo di ristrutturazione del debito tributario, riducendo conseguentemente l’importo dovuto dal condannato alla minor somma di euro 57.486,90.

Il debito tributario è stato, dunque, oggetto di un accordo di ristrutturazione, mediante il quale esso è stato ridotto sulla base di un accordo transattivo, che non può essere assimilato a un mero accordo di rateizzazione, stante la diversità di contenuto ed effetti.

Mediante l’accordo di rateizzazione, infatti, il debitore si accorda con il creditore solamente in ordine alle modalità di pagamento del proprio debito, che non viene estinto per intero in un’unica soluzione, bensì dilazionato nel tempo. La rateizzazione, dunque, consente di suddividere il pagamento dell’intero debito, immediatamente dovuto, in più rate, senza incidere sul quantum debeatur, che rimane nella misura originariamente stabilita, ma solo sul tempo dell’adempimento, cosicché un tale accordo non può, come ricordato, determinare una riduzione della confisca del profitto del reato (che non è stato rideterminato né ridotto), se non in corrispondenza dei vari pagamenti rateali effettuati nel corso del tempo e in misura pari agli stessi.

L’accordo di ristrutturazione del debito ha, invece, contenuto transattivo non limitato al solo termine di adempimento, in quanto con esso il creditore effettua una concessione al debitore in considerazione delle difficoltà finanziarie e dello stato di crisi in cui lo stesso si trova, che si sostanzia nella rinuncia ad alcuni diritti (in particolare alla riscossione di tutto il credito). Tale accordo, quando intervenuto con l’Amministrazione finanziaria, sotto forma di transazione fiscale ex art. 182-ter l.f., incide direttamente sull’entità del debito erariale, che subisce una modifica quantitativa, incidendo, di conseguenza, anche sul profitto del reato.

Alla luce di tale differenza, allora, risulta chiaro come l’accordo di ristrutturazione del debito, ex art. 182-bis 1.f., incidendo direttamente sul quantum della somma di denaro dovuta all’Amministrazione finanziaria per l’Iva non versata, che costituisce il profitto del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000, esplichi necessariamente i propri effetti anche sulla confisca per equivalente del profitto di tale reato, nel senso di determinare una necessaria rivisitazione dell’ammontare del quantum del profitto del reato e, con esso, della somma da assoggettare a confisca, quando la misura di quella originariamente disposta risulti eccedente rispetto all’attuale debito tributario da estinguere (che costituisce il profitto del reato).

D’altronde, è principio pacifico in giurisprudenza che la confisca “per equivalente”, per sua intrinseca natura, non può avere a oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, imponendosi quindi una valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’attuale entità del profitto del reato (quale risultante a seguito dell’accordo di ristrutturazione del debito, per effetto del quale l’Amministrazione finanziaria ha rinunziato a parte della propria pretesa creditoria, determinando una riduzione dell’imposta dovuta e, quindi, anche del profitto del reato tributario, che non può essere superiore al debito fiscale).

Nel caso in esame, vertendosi in una ipotesi non già di mera rateizzazione del debito, bensì di ristrutturazione dello stesso, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tenere conto dell’intervenuto accordo di ristrutturazione del debito medio tempore intervenuto tra il debitore e l’Amministrazione finanziaria, in conseguenza del quale è stato ridotto l’importo dovuto dal primo alla seconda per l’IVA non versata e, quindi, è corrispondentemente diminuito anche il profitto del reato tributario commesso dal ricorrente medesimo.

La confisca non può che corrispondere al profitto del reato, sicché se, in forza di un accordo di ristrutturazione del debito, questo sarà stato rideterminato, non potrà essere mantenuta la confisca nel suo quantum originario, pena la violazione del principio di proporzionalità. Ragionando a contrario, quindi mantenendo inalterato il quantum della confisca anche dinanzi a una novazione del debito tributario, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’abiezione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Rv. 265843, cit.; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409, cit.), che è pari all’imposta effettivamente dovuta, da determinare anche sulla base degli accordi intercorsi con l’Amministrazione che ne abbiano comportato una rideterminazione.