La Cassazione civile sezione 2 con ordinanza numero 4539 del 20 febbraio 2025 ha stabilito che la partecipazione dell’avvocato di ufficio alle udienze di mero rinvio non esclude il diritto al compenso, ma incide solo sulla sua quantificazione.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte un difensore ha presentato ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che aveva rigettato la richiesta di liquidazione dei compensi sostenendo che le udienze fossero di mero rinvio e quindi non compensabili.
L’avvocato nel ricorso ha sostenuto che l’art. 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, non consente al giudice, in ragione della modesta durata dell’attività svolta dal difensore, di negare il compenso maturato, tanto più che l’attività svolta, per quanto modesta, rimarrebbe priva di retribuzione.
La Cassazione ha ricordato che la partecipazione alle udienze di mero rinvio non esclude il diritto al compenso ma al più il tempo necessario all’espletamento dell’attività difensiva incide sulla quantificazione della stessa.
In proposito è stato richiamato il precedente della Cassazione sezione 6 civile numero 18791/2020 che in riferimento al compenso dell’avvocato per l’attività svolta in una udienza preliminare ha stabilito che: “l‘art. 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, infatti, prevede che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per le prestazioni professionali dallo stesso rese nel giudizio penale, si tiene conto, tra l’altro, “del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all’espletamento delle attività medesime”.
Il tempo necessario per lo svolgimento della prestazione professionale, quindi, purché svolta in udienza che non sia di mero rinvio, rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso conseguentemente maturato ma non può in alcun modo comportare che, in ragione della asserita brevità temporale di esecuzione della stessa, il compenso relativo possa essere addirittura negato”.
