Dichiarazioni accusatorie rese da coimputati del medesimo reato o da persone imputate in un procedimento connesso: valenza del riscontro reciproco e nozione di “altri elementi di prova” a supporto (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 6251/2025, udienza del 31 gennaio 2025, ha affermato, in adesione ad un consolidato indirizzo interpretativo di legittimità a proposito dell’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che le dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti ivi indicati devono essere sottoposte, con riguardo ad ogni singola chiamata in reità o correità e a ogni singolo episodio, a un duplice controllo volto ad accertare tanto l’attendibilità intrinseca del dichiarante, quanto l’affidabilità ab extrinseco delle accuse formulate, mediante l’individuazione e la valutazione di elementi processuali esterni di verifica, tra i quali possono annoverarsi anche le dichiarazioni accusatorie che provengano da altri soggetti, della stessa qualità del dichiarante da confermare, sempre che sia possibile escludere ipotesi di collusione o di reciproco condizionamento (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 – 01).

Ancora di recente si è ribadito che «Le dichiarazioni accusatorie rese da più collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi» (Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, Rv. 286327 – 01).

Vale, peraltro, ricordare che gli «altri elementi di prova» da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono possedere necessariamente i requisiti propri degli indizi di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Sez. 1, n. 31004 del 10/05/2023, Rv. 284840 – 01): essi possono, quindi, essere costituiti «da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità» (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Rv. 276744 – 01).