“Mozzarella di bufala campana” contenente latte vaccino: frode nell’esercizio del commercio (Riccardo Radi)

Sulla qualità della mozzarella di bufala non si transige al Palazzaccio.

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 4251/2025 ha stabilito che vendere come “mozzarella di bufala campana” prodotti caseari contenenti latte vaccino, comunque non prodotte esclusivamente con latte di bufala, integra il delitto di cui all’articolo 515 Cp poiché si consegna all’acquirente una cosa mobile diversa, per qualità, da quella dichiarata e/o pattuita, laddove tale condotta offende l’interesse dello Stato di assicurare l’onesto, il leale e corretto svolgimento dell’esercizio del commercio presidiato dalla fattispecie penale ed integra, a tutti gli effetti, il delitto contestato.

La Suprema Corte premette che è incontestato che la società della ricorrente commercializzasse mozzarelle con l’indicazione: “mozzarelle di bufala” contenenti una percentuale di latte vaccino superiore all’1%.

La denominazione di origine protetta “mozzarella di bufala campana” è stata iscritta nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette giusta regolamento (CE) n. 1107 della Commissione del 12 giugno 1996.

Il disciplinare di produzione della denominazione “mozzarella di bufala” è stato modificato ed approvato con regolamento della Comunità Europea 04/02/2008, n. 103/2008.

La proposta di modifica, approvata con il regolamento di cui al § 3.3 che precede, è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea n. C/90/7 del 24/04/2007 e prevede espressamente che la «Mozzarella di Bufala Campana» sia prodotta esclusivamente con latte di bufala intero fresco.

Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha pubblicato il disciplinare modificato con provvedimento dell’11 febbraio 2008 che espressamente ribadisce che la «Mozzarella di bufala campana» deve essere prodotta esclusivamente con latte di bufala fresco.

Peraltro, le modifiche non hanno riguardato la prescrizione dell’uso esclusivo del latte di bufala da sempre contenuta nel disciplinare (art. 3, comma 1) approvato con DPCM 10 maggio 1993 emesso in attuazione della legge n. 125 del 1954 e del relativo regolamento, approvato con d.P.R. n. 667 del 1955, e del decreto del Presidente della Repubblica del 28 settembre 1979 con il quale e’ stata riconosciuta la denominazione tipica del formaggio “Mozzarella di bufala”.

La questione posta dalla ricorrente appare, dunque, in tutta la sua fragilità e inconsistenza logica ove solo si consideri che, così ragionando, basterebbe non essere soci del Consorzio per la tutela della mozzarella di bufala per poter liberamente spacciare per mozzarella di bufala un prodotto che non risponde ai requisiti stabiliti con provvedimento vincolante per tutti coloro che intendono produrre e vendere mozzarella di bufala.

Ne consegue che vendere come “mozzarella di bufala campana” mozzarelle contenenti latte vaccino, comunque non prodotte esclusivamente con latte di bufala, integra il delitto di cui all’art. 515 cod. pen. poiché si consegna all’acquirente una cosa mobile diversa, per qualità, da quella dichiarata e/o pattuita.

Tale condotta offende l’interesse dello Stato di assicurare l’onesto, il leale e corretto svolgimento dell’esercizio del commercio presidiato dalla fattispecie penale ed integra, a tutti gli effetti, il delitto contestato (Sez. 3, n. 35121 del 30/05/2024, Rv. 286909 – 01; Sez. 3, n. 14017 del 04/12/2018, Rv. 275357 – 01; Sez. 2, n. 48026 del 04/11/2014, Rv. 261325 – 01; Sez. 3, n. 2291 del 07/07/1994, Rv. 198851 – 01)