Spaccio organizzato e spaccio non organizzato: escluse l’unicità del disegno criminoso e l’applicabilità della continuazione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 4989/2025, udienza del 29 gennaio 2025, ha escluso la possibilità di considerare come esecutive di un medesimo disegno criminoso attività di spaccio svolte in forma organizzata ed attività analoghe svolte in forma non organizzata.

Provvedimento impugnato

Con ordinanza del 10 ottobre 2024 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di VS di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto delle seguenti sentenze di condanna emesse nei suoi confronti: 1. sentenza del 21 febbraio 2023 della Corte d’appello di Napoli, per reato di cui agli artt. 73 e 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi tra il 2017 ed il 3 giugno 2020 2. sentenza dell’11 ottobre 2018 del Tribunale di Torre Annunziata per reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 commesso il 10 ottobre 2018.

In particolare, nel respingere l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei reati, evidenziando in particolare che gli stessi, pur commessi in un arco temporale ristretto e, pur essendo omogenei tra loro, si differenziavano perché la prima condanna ha ad oggetto un’attività di spaccio svolta in contesto di crimine organizzato, mentre nella seconda non emergono elementi per ritenere che possa trattarsi di crimine organizzato per cui non si esclude che si possa trattare di una iniziativa criminale autonoma del condannato non programmata nel momento in cui questi è entrato a far parte della compagine criminale.

Ricorso per cassazione

Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con un unico motivo in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza nonostante che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile dalla omogeneità delle violazioni, dalla limitata distanza temporale, mentre non si comprenderebbe quale sarebbe il discrimine tra lo svolgimento di attività di cessione di stupefacente per conto del clan e quella svolta per conto proprio mentre è apodittica l’affermazione della ordinanza sulla estemporaneità della condotta; la circostanza che in occasione del reato oggetto della sentenza n. 2 non sia emersa l’esistenza dell’organizzazione criminale dipende soltanto dal fatto che si è trattato di un arresto in flagranza e di un processo per direttissima, in cui l’indagine più ampia non era stata disvelata in quanto ancora in corso.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è infondato.

La norma di cui è stata chiesta applicazione al giudice dell’esecuzione è l’art. 671, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., che dispone che “nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione”.

I presupposti sostanziali per l’applicazione di ciò che l’art. 671, comma 1, definisce “disciplina del reato continuato” si rinvengono nell’art. 81, comma 2, cod. pen., che la ammette per “chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.

La norma non detta una definizione di “medesimo disegno criminoso”, e, per riempire di contenuto la previsione, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che alla individuazione del “medesimo disegno criminoso” si debba arrivare attraverso criteri indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 – 01.

Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea).

Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata ha ritenuto di non riuscire ad individuare un unico disegno criminoso nei reati oggetto dell’istanza, evidenziando in particolare la natura non organizzata dell’attività di spaccio del reato oggetto della seconda sentenza di condanna. Il ricorso deduce che la natura non organizzata dell’attività di spaccio del reato oggetto di questa seconda sentenza non è emersa perché il processo si è svolto per direttissima, ma il giudice dell’esecuzione deve fondare la propria decisione su quanto riportato nella sentenza di condanna, da cui l’attività organizzata pacificamente non emerge, mentre la circostanza che essa sarebbe emersa se il processo fosse stato svolto in rito ordinario resta una mera congettura, in quanto tale non idonea a viziare il percorso logico della decisione impugnata (Sez. 1, n. 17102 del 15/02/2024; Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278237).

Peraltro, la natura non organizzata dell’attività di spaccio oggetto della seconda sentenza di condanna emerge anche dalla condotta oggetto del processo, che è relativo anche alla detenzione di piantine di marijuana, ovvero ad una attività di detenzione di stupefacenti che non si presta ad essere sussunta nelle ordinarie modalità di approvvigionamento dello stupefacente da parte dei clan criminali organizzati.

Il ricorso deduce che non vi sarebbero differenze sostanziali agli effetti di cui all’art. 671 cod. proc. pen.  tra una attività di spaccio organizzata ed una non organizzata, ma l’argomento è infondato, perché la circostanza che i reati non avessero una matrice organizzata comune non illogicamente è stato ritenuto indice dell’inesistenza di una volizione comune, perché, per ottenere l’applicazione dell’istituto della continuazione, “quello che occorre (…) è che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine” (Sez. 1, n. 24202 del 23/02/2022), che non si rinviene se uno dei reati nasce da una iniziativa autonoma, e non concordata con il sodalizio di appartenenza, dell’autore del reato. Posto che l’onere della prova dell’esistenza del “medesimo disegno criminoso”, in conformità alle regole generali, grava su chi la afferma, e quindi, in definitiva, sul condannato, se questi è l’istante che ha determinato l’apertura dell’incidente di esecuzione (cfr. Sez. 1, sentenza n. 35806 del 20/04/2016, Rv. 267580 – 01: in tema di esecuzione, grava sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso unitario quanto di un’abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti), deve ritenersi che in modo non manifestamente illogico nel caso in esame sia stato ritenuto non assolto tale onere.

Il ricorso è, pertanto, infondato.