Affidamento in prova : la disoccupazione non è ipso facto ostativa alla concessione del beneficio (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 6553 del 17 febbraio 2025 ha ricordato che in tema di misure alternative alla detenzione deve ritenersi che lo svolgimento di attività lavorativa può costituire un mezzo di reinserimento sociale ed è, quindi, valutabile nel più generale giudizio di idoneità della misura alternativa dell’affidamento in prova.

Tuttavia, tale circostanza, da sola, non costituisce, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità della misura in questione, trattandosi di parametro apprezzabile in relazione ad altri elementi – quali i precedenti penali, la condotta inframuraria, la partecipazione al trattamento rieducativo – sottoposti alla valutazione del giudice, dovendosi ritenere che tale carenza possa eventualmente essere surrogata dallo svolgimento di attività socialmente utili, anche di tipo volontaristico.

Ricordiamo che la medesima sezione aveva già statuito in senso conforme, con la sentenza numero 37131/2023 che aveva sottolineato che lo stato di disoccupazione non è una condizione che ipso facto ostativa alla concessione dell’invocato beneficio (Sez. 1°, n. 26789 in data 18.06.2009, Gennari, Rv, 244735; così anche Sez. 1, n. 1619 del 13/03/1996, De Palma, Rv. 204611, a mente della quale: “In tema di misure alternative alla detenzione deve ritenersi che lo svolgimento di attività lavorativa può costituire un mezzo di reinserimento sociale ed è, quindi, valutabile nel più generale giudizio di idoneità della misura alternativa dell’affidamento in prova.

Tuttavia tale circostanza, da sola, non costituisce, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità della misura in questione, trattandosi di parametro apprezzabile in relazione ad altri elementi – quali i precedenti penali, la condotta inframuraria, la partecipazione al trattamento rieducativo – sottoposti alla valutazione del giudice”).

Tale carenza, infatti, può eventualmente essere surrogata dallo svolgimento di attività socialmente utili, anche di tipo volontaristico.

La prestazione di attività di tal genere riveste una tale positiva valenza, da consolidare nel condannato un iter virtuoso, informato al progresso nella rieducazione sociale e nel reinserimento all’interno di un contesto non deviante (Sez. 1, n. 18939 del 26/02/2013; E. A., Rv. 256024).

Nella concreta fattispecie, il Tribunale di sorveglianza ha apoditticamente disatteso la richiesta, non prendendo in considerazione la documentata possibilità di espletamento, da parte della condannata, di attività di volontariato.

Il provvedimento impugnato ha contraddetto, dunque, il sopra richiamato insegnamento della Suprema Corte.